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Sclerosi multipla, disturbi dello spettro della neuromielite ottica e sindromi da overlap

Nella pratica quotidiana, il medico si trova spesso a fronteggiare quadri clinici che non si adattano bene ai criteri nosografici validi per diagnosticare una determinata malattia in quel contesto storico. Questo, ovviamente, vale anche per la sclerosi multipla (SM) e per le malattie a essa correlate.

In questo articolo, voglio suggerire una riflessione sul fatto che non dobbiamo solo impegnarci a migliorare la diagnosi differenziale tra le forme che classifichiamo nella nosografia attuale, ma ammettere la presenza di “overlap syndrome” e di provare a introdurre raccomandazioni sulla loro diagnosi, follow-up e, soprattutto, sul loro trattamento.

Dalla fine dell’Ottocento, quando Eugène Devic descrisse il termine neuromielite ottica (neuro-myélite optique, NMO), la questione della relazione tra NMO e SM è rimasta sempre controversa, essendo prevalente, per un lungo periodo, l’idea che si trattasse di varianti cliniche diverse di una stessa malattia [1]. Il concetto della NMO come variante di SM si è ribaltato quando alla NMO si è riconosciuto uno specifico inquadramento nosografico con criteri diagnostici ad hoc [2], dopo che si sono evidenziate le differenze neuropatologiche [3-5] e si è giunti alla scoperta degli anticorpi sierici anti-aquaporina-4 (Ac anti-AQP4) [6]. Questi anticorpi, denominati anche NMO-IgG, sono dosabili nel 60-90% delle persone che hanno un quadro clinico caratteristico per NMO [7], ovvero i sintomi e i segni di lesioni infiammatorie principalmente a carico dei nervi ottici e del midollo spinale. In epoca più recente, è considerato tipico anche l’interessamento di alcune specifiche aree dell’encefalo ad alta espressione di aquaporina-4 (proteina canale per l’acqua particolarmente espressa a livello dei pedicelli astrocitari), ovvero le aree periependimali del tronco encefalico, in particolare area postrema/parte dorsale del bulbo, ed il diencefalo [8]. La NMO classica, associata ad Ac anti-AQP4 è in effetti una astrocitopatia. Sebbene con minore frequenza, gli Ac anti-AQP4 si ritrovano anche in persone con forme isolate di interessamento del midollo spinale (cosiddette longitudinally extensive transverse myelitis, LETM) oppure dei nervi ottici (neurite ottica isolata, che può assumere carattere recidivante). Da ciò, è derivato il concetto di NMO spectrum disorders (NMOSD) che, in attesa di nuove acquisizioni scientifiche, permette di portare avanti la ricerca e la pratica clinica in tale ambito. Dunque, con il termine NMOSD, identifichiamo quadri sindromici di astrocitopatia immuno-mediata, prevalentemente anticorpo-mediata, al momento non meglio discernibili ma da tenere distinte dalla SM. In letteratura, si classificano i NMOSD anche all’interno della famiglia nosografica delle “canalopatie neurologiche autoimmuni” [9].

A complicare il quadro, abbiamo espressioni fenotipicamente inquadrabili in NMOSD negativi per Ac anti-AQP4 che presentano un altro tipo di anticorpi che si esprimono nei confronti della myelin oligodendrocyte glycoprotein (Ac anti-MOG) [10]. La presenza degli Ac anti-MOG è stata stimata pari al 42% in pazienti con quadro suggestivo di NMOSD ma Ac-AQP4 negativi [11]. In più, gli Ac anti-MOG sono stati identificati, seppure raramente, in persone alle quali era stata posta diagnosi di SM [10]. Come dice il nome, la MOG è espressa sugli oligodendrociti, sulla superficie della mielina. Si ritiene che la presenza di Ac anti-MOG identifichi un’altra malattia immuno-mediata del sistema nervoso centrale (SNC), distinta da SM e daNMOSD-Ac AQP4 positivi. Dal punto di vista clinico, a parte la già citata espressione con quadro sindromico sovrapponibile ai NMOSD, la malattia associata ad Ac anti-MOG (MOGAD)si può presentare come una encefalomielite disseminata acuta (acute disseminating encephalomyelitis, ADEM) o come un’encefalite del tronco-encefalico; la malattia può avere decorso monofasico o recidivante [12].

Ancora, ci sono persone che, pur soddisfacendo i criteri per una classica SM (lesioni encefaliche e/o midollari tipiche che soddisfino disseminazione spaziale-temporale, positività per bande oligoclonali ecc.) [13], presentano contemporaneamente Ac anti-AQP4 [14].

Per esprimere la complessità e l’indeterminazione che avvolge una parte del nostro sapere sulle malattie infiammatorie del SNC è stata proposta la “famiglia” nosografica delle “malattie idiopatiche infiammatorie demielinizzanti del SNC” [15] che peraltro include malattie di tuttora incerto inquadramento come le ADEM e le più rare e controverse forme ad andamento iperacuto/subacuto (malattia di Marburg, sclerosi concentrica di Baló, malattia di Schilder) ecc.

A parte le forme di sovrapposizione tra NMOSD Ac anti-AQP4+, MOGAD e forme di SM, è interessante ricordare en passant come in tali diagnosi di possano riscontrare anche alterazioni sierologiche o addirittura sintomi tipici di altre malattie immuno-mediate, reumatologiche e non, che possono colpire il SNC. Tra tutte ricordiamo la coesistenza tra SM [16] oppure NMOSD Ac AQP4+ e/o lupus eritematoso sistemico e/o sindrome di Sjögren [17] e/o altre malattie immuno-mediate sistemiche o anche a sola espressione neurologica come l’encefalite associata ad anticorpi anti-recettore NMDA [18].

Quali problemi di gestione pongono questi casi di overlap?

Possiamo iniziare dalla comunicazione della diagnosi. Infatti, si tratta di casi “grigi” in cui gli specialisti consultati possono dare conclusioni diverse, con un discreto grado di indeterminazione. L’indeterminazione in Medicina è un problema sempre presente che va apertamente affrontato [19]; pertanto situazioni del genere pongono, senza dubbio, difficoltà di comunicazione con il paziente, anche per la prognosi. Su quest’ultimo punto, la “classica NMO” ha prognosi generalmente considerata peggiore in letteratura rispetto ad esempio alla SM, almeno in era precedente agli odierni trattamenti disease-modifying [20]. Dunque al malato si pongono diagnosi diverse, con indeterminazione prognostica maggiore.

Ne consegue poi il problema della terapia con farmaci disease-modifying (DMD) da proporre.

Sappiamo oggi che NMOSD e SM rispondono differentemente a trattamenti immunomodulatori e/o immunosoppressivi e si ritiene che alemtuzumab, dimetil-fumarato, fingolimod, glatiramer acetato, i vari tipi di interferone beta e natalizumab, DMD approvati per la terapia della SM, siano inefficaci, se non addirittura dannosi, nei NMOSD [21].

La soluzione che si propone è l’uso di farmaci che possono ritenersi efficaci sia nella SM sia nei NMOSD. In primo luogo si può pensare ad azatioprina. L’azatioprina è utilizzata in Italia per la SM secondo le modalità previste dalla lista dei farmaci approvati “per uso consolidato” ex Legge 648/96. In particolare, uno studio indipendente ha dimostrato che, nella SM recidivante remittente (SMRR), azatioprina ha un‘efficacia non inferiore a quella degli interferoni beta [22] e una revisione Cochrane ha evidenziato un effetto positivo nella SMRR [23]. Azatioprina viene utilizzata come terapia di prima linea nelle varie forme di NMOSD [24] ed è proposta anche per la MOGAD [25].

Ciclofosfamide è stata in passato un’opzione utilizzata in forme di SM aggressiva [26] ed è proposta nei NMOSD [27] e nella MOGAD [25].

Micofenolato mofetile, proposto per NMOSD [28] e MOGAD [29], non ha mai accumulato prove di efficacia tali da giustificarne l’uso nella SM, seppure alcuni studi abbiano evidenziato una potenzialità [30].

Particolare menzione è da attribuire a rituximab. Numerosi studi ci permettono di affermare che rituximab è efficace nelle varie forme di SM [31-34] e nel contesto dei NMOSD [27] e nella MOGAD [29,35].

Per quanto riguarda le nuove terapie per NMOSD (eculizumab, inebilizumab, satralizumab, tocilizumab) [27] non abbiamo dati per comprenderne la loro efficacia nella SM [36-38].

Il trattamento ciclico con immunoglobuline endovena è stato proposto per NMOSD e MOGAD [39,40]; i dati di efficacia nella SM non sono univoci [41].

Rituximab è da considerare, pertanto, la terapia più affidabile per le sindromi da overlap qui trattate allo stato dell’arte.

Oltre a continuare la ricerca per definire effettivamente un migliore inquadramento diagnostico, dovremo cercare di abbandonare il concetto di dover necessariamente soddisfare il principio del “rasoio di Occam”, ovvero il principio metodologico che indica di scegliere, tra più soluzioni possibili di un problema, quella più semplice. Tale principio, applicato in Medicina, presume che, quando un paziente ha multipli sintomi/segni, il clinico debba cercare una singola diagnosi piuttosto che diagnosi multiple. In realtà, la complessità della biologia in generale, e in particolare nelle malattie correlate a un disordine immunologico, deve farci porre in posizione critica rispetto all’applicazione del “rasoio di Occam” e ammettere l’esistenza di più disordini all’interno dello stesso individuo, eventualmente dettati da una medesima predisposizione, da coincidenti fattori di rischio ecc.

Source: Fondazione Serono SM


Disturbi del linguaggio nella sclerosi multipla: dall’afasia al disturbo di comprensione delle metafore

I sintomi più comuni della sclerosi multipla (SM) sia d’esordio sia in corso di ricadute sono caratterizzati da un deficit funzionale dei sistemi sensoriali primari o del sistema motorio: ad esempio un calo della vista, una perdita di sensibilità a un arto o deficit di forza a uno o più arti [1]. Nel corso degli ultimi anni, si è tuttavia addivenuti a una notevole espansione del possibile corteo sintomatologico associato alla SM includendo deficit non facilmente diagnosticabili se non altrimenti attentamente valutati. I deficit cognitivi sono esemplificativi di tali sintomi cosiddetti below-the-radar, ovvero che sfuggono alla normale valutazione clinica. Circa il 50-70% dei pazienti affetti da SM manifesta un deficit cognitivo con un grosso impatto negativo sulla loro qualità della vita [2]. Con l’accumularsi delle evidenze scientifiche a conferma di tale diffuso coinvolgimento della funzione cognitiva in SM, oggi in molti Centri dedicati alla diagnosi e cura della SM si effettuano valutazioni cognitive e si adattano le strategie terapeutiche anche in funzione della presenza o assenza di tale deficit. Se tanto è stato possibile è stato anche grazie all’introduzione di un test di screening della durata di 90 secondi, il symbol digit modality test che permette una rapida e specifica valutazione delle funzioni cognitive anche in un contesto clinico dai tempi ristretti [3].

Tra gli altri sintomi che i pazienti affetti da SM possono manifestare below-the-radar vi sono i deficit del linguaggio, uno degli strumenti che gli umani utilizzano per veicolare messaggi, per comunicare. Sebbene i pazienti affetti da SM raramente manifestino una completa afasia (mancanza di comprensione e produzione verbale) [4], sovente a una valutazione più estesa è possibile evidenziare deficit di denominazione, comprensione di frasi complesse, lettura e comprensione uditiva [5]. Tuttavia, questi aspetti del linguaggio appena citati tengono conto della conoscenza dei vocaboli e della struttura della frase ma non del contesto in cui tale frase viene pronunciata, né delle modulazioni non verbali associate a esse. Immaginiamo per esempio che un ragazzo si ritrovi con il suo gruppo di amici e, parlando di una partita di calcio, esclami che “tale calciatore è stato una saetta in campo”. Dal punto di vista strettamente semantico dovremmo immaginarci che mettendo al replay la partita a un certo punto il “tale calciatore” dovrebbe trasformarsi nell’immagine di un fulmine. Eppure, riguardando quel match, l’unica cosa che vedremo è che quel “tal giocatore” corre velocemente da un lato all’altro del campo ma non si trasforma. Nella frase “tale calciatore è stato una saetta in campo”, si è fatto infatti uso di un aspetto del linguaggio non convenzionale, in cui si utilizza un’immagine per eccellenza della velocità per descrivere l’abilità del calciatore. Pochi studi sono disponibili sulla valutazione degli aspetti non convenzionali del linguaggio in SM. Questo in parte è ascrivibile al fatto che solo nel 2013, per la prima volta, nella tassonomia dei disturbi mentali si è introdotto il termine “comunicazione sociale” e “pragmatica” facendo riferimento alla “capacità dell’uso sociale della comunicazione verbale e non verbale”.

Nello specifico, un disturbo della comunicazione sociale (pragmatica) si caratterizzava per un deficit in quattro aspetti del linguaggio: 1) uso di una comunicazione appropriata allo scopo da raggiungere; 2) modulazione della comunicazione al fine di adeguarsi alla situazione e all’ascoltatore (ad es., se ci riferiamo a un bambino o a un adulto); 3) capacità di seguire regole di strutturazione della narrazione; 4) comprensione di ciò che non è esplicitamente detto, ad esempio sarcasmo, idiomi, metafore. Altro motivo per cui la pragmatica rimane ancora poco valutata nelle patologie del sistema nervoso centrale è legato alla mancanza di uno strumento validato nelle diverse lingue per la valutazione di tali deficit. Un primo sforzo nella valutazione dei deficit comunicazionali sociali nella SM ha messo in evidenza come i pazienti possano manifestare deficit nella comprensione di frasi ambigue, di metafore e di un discorso narrativo [6]. A una valutazione ancora più estensiva, utilizzando uno strumento validato in italiano per la valutazione della pragmatica detto Assessment of Pragmatic Abilities and Cognitive Substrates (APACS) [7,8], si è osservato che il 55% dei pazienti affetti da SM mostra un deficit della pragmatica indipendentemente dalla durata di malattia o dalla gravità della medesima [9]. Nello specifico, i pazienti affetti da SM mostrano una performance non ottimale nella comprensione del linguaggio non letterale (linguaggio figurato e umorismo) e nella produzione di un quantitativo adeguato di contenuto in risposta a domande dell’intervistatore, risultando sotto-informativi [9]. Tali deficit non sono legati a deficit degli aspetti basilari del linguaggio e, soprattutto, non sono legati a un decadimento cognitivo globale, risultando tuttavia associati a un selettivo deficit delle funzioni cognitive esecutive frontali [9]. Questo dato sottolinea come, nonostante una valutazione estensiva dei pazienti affetti da SM, alcuni sintomi possono comunque passare inosservati se non opportunamente valutati.

La ricerca dei substrati patologici determinanti deficit comunicativi ha subito negli ultimi 30 anni un grosso interesse grazie allo sviluppo di tecniche convenzionali e avanzate di risonanza magnetica (RM) che permettono l’osservazione diretta del danno cerebrale e di relazionarlo allo specifico deficit comunicativo. A lungo si è ritenuto che mentre le lesioni in determinate aree dell’emisfero sinistro del cervello fossero responsabili di afasia, lesioni nelle stesse aree cerebrali ma all’emisfero destro si manifestassero come deficit del linguaggio sociale. Questa dicotomia si è però rivelata non proprio corretta dal momento che studi di attivazione cerebrale misurata attraverso RM funzionale hanno dimostrato che i soggetti che svolgevano compiti di comprensione di metafore, idiomi e ironia, funzioni tipiche della comunicazione sociale (pragmatica), attivavano aree cerebrali di entrambi gli emisferi [10,11]. A partire da questi e altri successivi studi oggi è noto che la comunicazione è una funzione che richiede l’integrità di una rete di network neuronali distribuiti in entrambi gli emisferi cerebrali, diversi a seconda dello specifico aspetto del linguaggio esplorato con un alto livello di integrazione e scambio dati tra networks e un ruolo specifico di una regione cerebrale detta giunzione temporo-parientale nella modulazione della comunicazione pragmatica [12]. Nella SM, le lesioni demielinizzanti a carico dei fasci di connessione tra diverse aree del cervello provocano una disconnessione tra aree cerebrali distanti tra loro, esitando in una rimodulazione non sempre funzionale all’interno dei network funzionali e nei processi di integrazione tra i medesimi [13].

Il primo studio pilota condotto nei pazienti affetti da SM volto a esplorare i correlati neuropatologici dei deficit pragmatici ha sottolineato una ridotta connettività funzionale tra la giunzione temporo-parietale (prevalentemente di destra) e la corteccia del paracingolo nei pazienti con deficit pragmatici [14]. La corteccia del paracingolo rappresenta un’area corticale fortemente implicata sia in processi cognitivi quali le funzioni esecutive frontali sia nella risoluzione dei problemi sociali complessi [14]. Pertanto, per quanto si tratti ancora di un risultato preliminare, la corretta funzione della giunzione temporo-parietale e della corteccia del paracingolo, nonché la loro connessione, sembra rivestire un ruolo primario nella corretta comprensione e produzione della comunicazione, soprattutto nelle sue componenti “sociali”.

Purtroppo, a oggi ancora non esistono farmaci efficaci per poter trattare deficit della comunicazione nei pazienti affetti da SM. Tuttavia, un forte contributo in tal senso potrebbe giungere da protocolli riabilitativi ad hoc. Uno studio molto promettente in tal senso è stato pubblicato di recente e ha mostrato l’efficacia terapeutica del protocollo riabilitativo Cognitive Pragmatic Treatment nei pazienti affetti da schizofrenia con deficit di pragmatica [15]. Per l’applicazione di tale protocollo nella SM si attendono nuovi studi in merito.

Source: Fondazione Serono SM