Archives: Dicembre 22, 2020

Diagnosi e terapia della sclerosi multipla aggressiva

Una sessione del 51° Congresso della Società Italiana di Neurologia (SIN) ha presentato i più recenti aggiornamenti sulla diagnosi e sulla terapia della sclerosi multipla aggressiva, citando anche, tra i trattamenti, il trapianto di cellule staminali.

La sessione “Strategie terapeutiche nella sclerosi multipla aggressiva” è stata moderata da Giovanni Luigi Mancardi, Professore Ordinario di Neurologia, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Genova. I relatori sono stati: Marco Capobianco, Neurologo, Dirigente Medico dell’A.O.U. San Luigi Gonzaga di Torino, che ha parlato della definizione di sclerosi multipla aggressiva, Lucia Moiola, Neurologa e Coordinatrice del Centro della sclerosi multipla dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che ha trattato il ruolo delle terapie approvate ad alta efficacia, e Matilde Inglese, Professoressa di Neurologia, Responsabile del Centro della Sclerosi Multipla del Policlinico San Martino di Genova, che ha parlato del ruolo del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche. La disponibilità di trattamenti di diversa potenza ha stimolato la messa a punto di criteri per distinguere le forme più aggressive di sclerosi multipla, da quelle con un andamento meno progressivo. Marco Capobianco ha aperto la sua lettura con il quesito: “Cos’è la sclerosi multipla aggressiva?” In proposito ha segnalato che, per definire le forme più aggressive di sclerosi multipla recidivante remittente, oltre all’aggettivo “aggressiva”, si usano anche i termini “ad alta attività” o “maligna” e ciò può complicare il problema della classificazione. Il relatore ha citato un criterio, proposto nel 2014, che identifica i casi a maggiore aggressività con recidive più gravi e recupero incompleto della sintomatologia al termine della recidiva con accumulo e mantenimento nel tempo della disabilità. Inoltre, ha aggiunto che l’identificazione precoce dell’andamento più aggressivo della malattia è essenziale per definire i protocolli di diagnosi e di cura. D’altra parte, nonostante tale andamento riguardi una discreta percentuale di malati, variabile fra il 4 e il 14%, non c’è consenso su aspetti, come la soglia di disabilità e il tempo impiegato per raggiungere tale soglia, che definiscano l’aggressività della sclerosi multipla. Sono stati proposti fattori che possono suggerire l’andamento aggressivo: dal sesso maschile alla comparsa oltre i 40 anni, dalla necessità di impiegare corticosteroidi per curare i sintomi o di ricoverare il malato in occasione delle recidive, al raggiungimento di un EDSS di 3 entro cinque anni dalla prima diagnosi. Vari esperti hanno cercato di elaborare dei sistemi di definizione dell’aggressività che tenessero conto, sia delle variabili cliniche che di quelle raccolte con la risonanza magnetica, ma nessuno è oggi universalmente accettato. In questo campo si continua a lavorare, con l’obiettivo principale di definire quali sono i casi nei quali iniziare la cura con i farmaci più potenti, per poi mantenere l’effetto nel tempo con altri più tollerabili nelle somministrazioni prolungate.

Lucia Moiola ha approfondito l’argomento delle cure farmacologiche, spiegando che qualsiasi scelta terapeutica deve partire da un’analisi dettagliata delle caratteristiche di ciascun malato. Fra queste, oltre ai fattori che fanno prevedere l’andamento più o meno aggressivo della sclerosi multipla, vanno considerati aspetti come la pianificazione familiare, le malattie associate, eventuali alterazioni delle funzioni cognitive e le abitudini di vita. Un ulteriore fattore importante da tenere presente è il livello di rischio che medico e malato sono disposti ad affrontare per controllare la malattia. La relatrice ha quindi ricordato i due principali tipi di approccio alla sclerosi multipla: la terapia incrementale e la terapia di induzione. Oltre alla scelta relativa alla prima cura da somministrare, Lucia Moiola ha illustrato le possibili soluzioni, riportando dati sul’efficacia dei prodotti più potenti impiegati nella pratica clinica come: natalizumab, fingolimod, ocrelizumab, alemtuzumab e cladribina. Attraverso la descrizione di alcuni casi clinici, la relatrice ha confermato la necessità di un’accurata personalizzazione del trattamento delle forme aggressive di sclerosi multipla. Matilde Inglese ha ricordato il razionale e le principali impostazioni dei protocolli di trapianti di cellule staminali e ha riportato le evidenze raccolte finora, in termini di efficacia e di sicurezza. Ha concluso che il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche è stato proposto come terapia nei casi di sclerosi multipla aggressiva, che non rispondono in maniera adeguata ai farmaci e sviluppano rapidamente quadri gravi di disabilità.                                              

Le forme più aggressive di sclerosi multipla possono avere un impatto molto negatovo sulla vita dei malati e ciò giustifica l’impegno che gli esperti stanno profondendo, nel definire i criteri per identificarle e le cure per controllarle.

Tommaso Sacco

Fonte: Strategie terapeutiche nella sclerosi multipla aggressiva

Source: Fondazione Serono SM


Come affrontare i sintomi della sclerosi multipla grave

Al 51° Congresso della Società Italiana di Neurologia (SIN), una sessione è stata dedicata alla cura dei sintomi della sclerosi multipla. In particolare, una delle relazioni ha illustrato gli approcci disponibili per la cura delle forme di sclerosi multipla con manifestazioni più gravi.

Francesco Patti è Professore Associato di Neurologia dell’Università di Catania ed è il Responsabile del Centro della Sclerosi Multipla e dell’Ambulatorio di Riabilitazione del Policlinico G. Rodolico della stessa città. È un esperto del trattamento dei sintomi della sclerosi multipla e ha curato, per il sito della Fondazione Cesare Serono, l’Angolo dello Specialista dedicato alla terapia riabilitativa. A Francesco Patti è stata affidata, in una sessione del Congresso della SIN, la lettura sul trattamento dei sintomi della sclerosi multipla grave. Nell’introdurre la sua relazione, ha spiegato che ci possono essere vari modi di definire la gravità della malattia e che questo concetto è comunque relativo. Facendo riferimento all’intensità dei sintomi e al livello della disabilità, si associa il concetto di gravità al peso della malattia sulla vita di chi ha la sclerosi multipla e, quindi, si definisce in maniera concreta la gravità stessa. Il relatore ha mostrato i classici schemi che semplificano il decorso della malattia, evidenziando che la forma primariamente progressiva ha una frequenza variabile fra il 10 e il 12%. Un aspetto sul quale si è soffermato è quello dei costi generati dalla disabilità provocata dalla sclerosi multipla. Fra i dati riportati, c’è il 33% di perdita del lavoro o di cambio di attività dovuto ai sintomi della sclerosi multipla e il 43% di malati che necessita, quando la disabilità peggiora, di un’assistenza per 6-14 ore al giorno. In una delle diapositive mostrate si è potuto rilevare che la stima del costo annuale per ciascun malato in Italia è di circa 40.000 euro, considerando sia i costi diretti che quelli indiretti, e tale valore si colloca circa a metà fra quello della Spagna (80.000 euro/malato/anno) e quello della Gran Bretagna (10.000 euro/malato/anno). Per alleviare le conseguenze della disabilità sulla vita delle persone con sclerosi multipla, Francesco Patti ha proposto il modello definito “dei circoli della vita”, che combina in un unico approccio terapie neurologiche, riabilitazione e trattamenti palliativi. Come esempio della progressione dell’evoluzione dei sintomi e della disabilità, il relatore ha presentato un caso clinico che si era manifestato nel 1991 con disturbi dell’equilibrio risoltisi spontaneamente, per arrivare a un EDSS di 8.5 nel 2015. Francesco Patti ha quindi passato in rassegna i trattamenti di riabilitazione e quelli palliativi, premettendo che, così come ci sono poche terapie farmacologiche per la sclerosi multipla progressiva, altrettanto è difficile utilizzare in questi casi approcci di riabilitazione fisica. Purtroppo esistono anche pochi studi che abbiano indagato l’efficacia di queste cure nei malati con livelli peggiori di mobilità e di disabilità. Il relatore ha presentato alcune raccomandazioni per il trattamento della spasticità formulate da una Conferenza di Consenso dedicata all’argomento. Quanto alla cura dell’astenia, si può ricorrere a farmaci, anche se impiegati fuori indicazione. Per le alterazioni delle funzioni cognitive si impiegano programmi di riabilitazione. Approcci specifici si utilizzano in persone con alterata funzione della cistifellea o dell’intestino. Anche la disfagia merita attenzione, in quanto si rileva in un quarto dei casi più gravi. Infine, Francesco Patti ha parlato della cura del dolore, per la quale si usano vari tipi di farmaci, dagli antidepressivi triciclici agli anticonvulsivanti, e anche approcci chirurgici.

Nelle conclusioni il relatore ha esposto quelli che tuttora sono i bisogni insoddisfatti riguardo alla cura dei sintomi più gravi della sclerosi multipla. I farmaci efficaci sono pochi, la riabilitazione non è sempre offerta a tutti i malati che se ne gioverebbero, vanno organizzati meglio gli approcci multidisciplinari per la cura dei sintomi ed è necessario un addestramento specifico dei diversi operatori coinvolti.                     

Tommaso Sacco

Fonte: Riconoscere e curare i sintomi: Evidenze scientifiche sul trattamento dei sintomi: il caso della sclerosi multipla grave

Source: Fondazione Serono SM


Progressione secondaria della sclerosi multipla

Dal 28 al 30 novembre 2020 si è tenuto, in forma virtuale, il 51° Congresso della Società Italiana di Neurologia. Una lettura è stata dedicata ai meccanismi fisiopatologici che portano alla progressione della sclerosi multipla. Tra gli aspetti discussi c’è stato anche quello dell’opportunità di dividerla in forme più o meno progressive o, piuttosto, di considerare tali forme come fasi diverse di un’unica storia di malattia.

La lettura sui meccanismi fisiopatologici della progressione della sclerosi multipla e approcci più efficaci per contrastarli è stata presentata da Massimo Filippi, Professore di Neurologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e Direttore del Centro della Sclerosi Multipla dell’Ospedale San Raffaele di Milano e la moderatrice della sessione è stata Maria Trojano, Professoressa di Neurologia e Direttrice dell’Unità di Neurofisiopatologia, nonché del Dipartimento di Scienze Mediche di Base, Neuroscienze e Organi di Senso dell’Università di Bari. Massimo Filippi ha iniziato la sua presentazione mostrando una delle classiche diapositive impiegate per schematizzare l’andamento della malattia nelle diverse forme di sclerosi multipla, ma anche per descrivere la storia complessiva della sclerosi multipla e dei suoi meccanismi fisiopatologici, da quando si presenta come Sindrome Clinicamente Isolata, a quando evolve nel quadro secondariamente progressivo. In tale diapositiva si evidenziava che c’è una fase pre-clinica, caratterizzata da rare manifestazioni che purtroppo, a volte, non vengono neanche attribuite alla sclerosi multipla, ma che sono i primi risultati di uno stato infiammatorio che è già ai massimi livelli. Ciò significa che, in una fase in cui i sintomi sono scarsi e la disabilità manca del tutto, la malattia esprime i meccanismi di infiammazione più attivi. La fase pre-clinica è seguita da quella recidivante remittente nella quale, a fronte di una progressiva riduzione dell’attività infiammatoria, aumenta sensibilmente la frequenza delle recidive, durante le quali si verificano alterazioni più o meno gravi di alcune funzioni del sistema nervoso centrale. Rispetto a queste temporanee limitazioni delle funzioni, inizialmente si manifesta la tendenza a un recupero pressoché totale delle funzioni stesse. Con il passare del tempo, però, il recupero diventa sempre meno completo e si accumulano carenze che si traducono in disabilità. Alla fase recidivante remittente segue quella secondariamente progressiva, caratterizzata da recidive meno numerose, rispetto alla fase recidivante remittente, maggiore gravità delle alterazioni funzionali temporanee ed evoluzione più rapida della disabilità, che poi tende a stabilizzarsi su un livello elevato. Pur considerando che ciascuna di queste fasi può variare, da un caso all’altro, sia per la durata che per la  gravità delle manifestazioni, è importante capire se esse sono forme diverse di una malattia che procede con una gravità crescente o se, piuttosto, si tratta di tre forme distinte di sclerosi multipla. Per chiarire questo dubbio, Massimo Filippi ha riportato varie proposte, formulate da esperti della malattia, per definire la progressione secondaria e per comprendere l’evoluzione della neurodegenerazione. Dal confronto fra le prime e le seconde emerge che tele tipo di danno è già presente nella fase recidivante remittente e che, in quella secondariamente progressiva, si assiste solo a una sua accelerazione. Ciò conferma che la recidivante remittente e la secondariamente progressiva non sono forme diverse di malattia, ma fasi diverse di uno stesso decorso. Ma perché è tanto importante chiarire questo punto? Perché in passato, quando si tendevano a etichettare i casi di sclerosi multipla come recidivante remittente o secondariamente progressiva si prescrivevano cure di diverso livello di potenza, proprio in base a tale distinzione. Nella parte successiva della lettura Massimo Filippi ha spiegato perché il superamento della suddivisione in forme dovrebbe prevedere anche un cambiamento delle scelte terapeutiche, che però devono essere adattate al livello di attività riscontrato in ciascun malato nei diversi momenti. Nella fase recidivante remittente è possibile identificare con la risonanza magnetica e altri esami per immagini, come illustrato in un recente articolo pubblicato dal relatore, segni precoci di una progressione più grave dei meccanismi di neurodegenerazione. Questo tipo di danno deriva da azioni combinate di cellule del sistema immunitario che passano dal sangue al sistema nervoso centrale per danni alla barriera ematoencefalica, di cellule della microglia e di astrociti, che nel sistema nervoso centrale “risiedono”. Nella parte successiva della lettura Massimo Filippi ha descritto alcuni riscontri, di recente identificazione, che sono altrettante spie di un andamento più aggressivo della sclerosi multipla. Fra essi ci sono: follicoli di cellule B che si osservano nelle meningi, quelle che in inglese sono definite smouldering lesions (termine che indica lesioni che “covano” nelle strutture del sistema nervoso centrale) e i danni al midollo spinale. Nell’ultima parte della sua presentazione, Massimo Filippi ha spiegato come gli approcci terapeutici debbano essere adattati a questi nuovi concetti di fisiopatologia e di evoluzione della sclerosi multipla.

Quali conclusioni di possono trarre dai contenuti di questa lettura? Che, esclusa la sclerosi multipla primariamente progressiva, che è una forma a parte della malattia e, secondo alcuni, è addirittura un’altra malattia, quelle che in passato erano considerate forme di sclerosi multipla, sono in realtà fasi successive di un’unica evoluzione. Questo però non deve modificare l’atteggiamento mentale delle persone affette della malattia rispetto al loro futuro, perché la disponibilità di un’ampia scelta di cure permette di ottimizzare la risposta e fermare o rallentare molto la progressione della disabilità.

Tommaso Sacco

Fonte: La progressione secondaria nella SM: i suoi meccanismi fisiopatologici e le novità farmacologiche

Source: Fondazione Serono SM


Sclerosi multipla e vaccinazione anti-influenzale: l’intervista

Quello dell’opportunità di vaccinare contro l’influenza stagionale è un argomento ancora dibattuto, nonostante un recente articolo abbia fornito chiare indicazioni in merito. La Fondazione Cesare Serono ha chiesto a due degli autori di questo articolo di spiegare perché è importante che le persone con sclerosi multipla si vaccinino, specialmente quest’anno.

Nel settembre 2020 è stato pubblicato un articolo che ha riportato i contenuti di un documento di Consensus sulla somministrazione di vaccini ai malati di sclerosi multipla. Alla stesura di tale documento hanno contribuito 27 neurologi e 27 specialisti in malattie infettive italiani. Nell’articolo si davano indicazioni su molte vaccinazioni, prima fra tutte quella anti-influenzale, e di quest’ultima si specificava che è sempre indicata nei malati di sclerosi multipla, perché l’influenza è molto contagiosa e il suo sviluppo è significativamente ridotto dalla somministrazione del vaccino. Vari sono i motivi di tale raccomandazione. Come altre infezioni virali e batteriche, l’influenza aumenta la probabilità di comparsa di recidive, che a loro volta hanno conseguenze negative sul benessere e sulla qualità di vita dei malati di sclerosi multipla. Questi problemi sono ulteriormente amplificati in chi ha quadri di disabilità più avanzati. Nonostante l’autorevolezza degli esperti che hanno formulato le raccomandazioni e la rilevanza ancora maggiore di una indicazione di questo tipo in corso di epidemia da COVID-19, alcuni continuano a mettere in discussione l’opportunità di sottoporre alla vaccinazione anti-influenzale i malati di sclerosi multipla.

Lucia Moiola, Neurologa e Coordinatrice del Centro della sclerosi multipla dell’Ospedale San Raffaele di Milano, e Agostino Riva, Infettivologo e Professore Associato del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell’Ospedale Sacco di Milano, sono due degli autori dell’articolo sopra citato. La Fondazione Cesare Serono li ha intervistati, per chiarire eventuali residui dubbi circa la necessità di somministrare il vaccino anti-influenzale alle persone con sclerosi multipla.

Tommaso Sacco
Video: Marco Marcotulli

Source: Fondazione Serono SM


Sclerosi multipla pediatrica: i progressi nella gestione clinica

Un gruppo di specialisti britannici ha eseguito una valutazione retrospettiva dei casi di sclerosi multipla pediatrica seguiti presso due Centri di neuroimmunologia pediatrica. I risultati hanno dimostrato un progressivo miglioramento della gestione clinica, a partire da una maggiore tempestività della diagnosi.

La presentazione della sclerosi multipla in bambini e in adolescenti è simile a quella degli adulti, con due terzi dei casi che manifestano più di un sintomo. Nei bambini l’attività della malattia tende a essere più intensa, con un maggior carico di lesioni rilevate alla risonanza magnetica, ma la disabilità procede più lentamente, rispetto agli adulti, per una probabile maggiore plasticità neuronale. Se la forma di disabilità più frequente riguarda le funzioni cognitive, i casi pediatrici di sclerosi multipla arrivano a sviluppare una disabilità fisica che comporta l’uso della carrozzina in giovane età a causa dell’esordio precoce. Il trattamento tempestivo ha dimostrato di migliorare l’evoluzione a lungo termine negli adulti, ma in passato vari autori avevano segnalato un ritardo nella diagnosi e nell’inizio delle cure dei casi pediatrici. Smith e colleghi hanno valutato, in una casistica pediatrica, gli effetti dei progressi generali acquisiti nella gestione della sclerosi multipla negli ultimi anni. Sono state confrontate due casistiche seguite per dieci anni, mettendo in relazione gli approcci diagnostici e terapeutici con i risultati clinici. Dalle cartelle cliniche sono stati estratti i dati demografici, quelli clinici e quelli relativi alle funzioni cognitive, che sono poi stati analizzati. Dei 51 soggetti pediatrici valutati, 24 erano stati seguiti dal 2007 al 2010 e 27 dal 2015 al 2016, l’età media alla quale era comparsa la malattia è stata di 13.7 anni e il tempo intercorso fra la presentazione dei sintomi e la formulazione della diagnosi è stata in media di 9 mesi. I farmaci modificanti la terapia sono stati somministrati a 19 dei 24 soggetti seguiti fra 2007 e 2010 e a 24 dei 27 seguiti nel periodo 2015-2016. Il tempo medio intercorso fra la diagnosi e l’inizio della cura è stato di 9 mesi nel primo gruppo e di 3.5 nel secondo con una differenza statisticamente significativa: p=0.013. Nella casistica trattata dal 2007 al 2010 sono stati somministrati 4 farmaci diversi e in quella del 2015-2016 ne sono stati impiegati 7, dei quali 2 nell’ambito di studi clinici dedicati.  In ambedue le casistiche il farmaco più usato è stato l’interferone beta-1a e, negli anni, si è assistito a una progressiva introduzione delle molecole via via registrate per l’uso nella sclerosi multipla, anche se non avevano una specifica indicazione in pediatria. Dal confronto fra le due casistiche sono emersi anche miglioramenti nel livello delle funzioni cognitive e della qualità di vita e nella risposta al trattamento in termini di frequenza media annuale delle recidive. Tale frequenza, infatti, è passata da 2.7 a 0.74 nel gruppo di soggetti seguito dal 2007 al 2010 e da 1.7 a 0.37 in quello gestito dal 2015 al 2016.

Nelle conclusioni gli autori, pur premettendo i limiti relativi al carattere retrospettivo dell’analisi dei dati, hanno evidenziato che, nella loro casistica, si sono rilevati importanti progressi, sia in termini di tempestività della diagnosi che per quanto riguarda i risultati clinici.                

Tommaso Sacco

Fonte: Progress in the Management of Paediatric-Onset Multiple Sclerosis. Children 2020, 7, 222.

Source: Fondazione Serono SM


Vitamina D e sclerosi multipla: una revisione della letteratura

Un gruppo di esperti italiani dell’Università di Palermo ha pubblicato una revisione della letteratura sul ruolo della vitamina D nella sclerosi multipla. I risultati hanno suggerito che la relazione fra i livelli di questa vitamina e il rischio di sviluppare la malattia passa attraverso alcune varianti di geni coinvolti nel metabolismo della vitamina D e nel suo effetto sulle cellule.

Nell’introduzione del loro articolo, Scazzone e colleghi hanno ricordato che la prima ipotesi di relazione fra esposizione alla luce del sole e sviluppo della sclerosi multipla è stata formulata da Acheson e colleghi sessant’anni fa, nel 1960. Da allora, molti studi hanno fornito conferme all’ipotesi di questi autori, giungendo a identificare la vitamina D come anello di congiunzione fra la variabile esposizione al sole ed il conseguente andamento della prevalenza della sclerosi multipla. A proposito di questo nesso, Scazzone e colleghi hanno dedicato ampio spazio ai meccanismi metabolici che portano alla produzione della vitamina D, ricordando che nella pelle irradiata dai raggi solari, a partire dal colesterolo, viene prodotto un precursore della vitamina D che poi, attraverso ulteriori passaggi che avvengono nel fegato e nei reni, diventa calcitriolo, vale a dire la forma di vitamina D con la maggiore attività biologica nell’organismo umano. Un altro aspetto illustrato nell’articolo è quello del contributo fornito dai geni alla fisiopatologia della sclerosi multipla. Si spiega che questa patologia non è definibile ereditaria, in quanto la sua comparsa non dipende solo da geni trasmessi dai genitori ai figli, ma comunque alcune varianti di geni associate a fattori ambientali concorrono a predisporre le persone a sviluppare la sclerosi multipla. Fra le varianti di geni che ricoprono tale ruolo ce ne sono alcune che servono a produrre molecole coinvolte nel metabolismo della vitamina D. I geni CYP27B1 e CYP24A1 sono stati i primi geni di questo tipo a essere identificati. In particolare, il secondo ha un ruolo chiave nello smaltimento della vitamina D, avendo un effetto di contenimento delle concentrazioni nel circolo sanguigno della 25 (OH)D e della 1,25 (OH)2D, due delle forme che assume la vitamina nell’organismo. Un altro gene ampiamente studiato, da chi ha cercato relazioni fra carenza della vitamina D e rischio di sclerosi multipla, è quello denominato VDR che serve a produrre il recettore della vitamina D. Oltre a questi geni più conosciuti, Scazzone e colleghi ne citano molti altri di più recente individuazione. Nell’articolo si analizzano anche i risultati di molte ricerche che hanno valutato la relazione fra concentrazione nel sangue di vitamina D e probabilità di sviluppo della sclerosi multipla. Si tratta di un’analisi critica, che descrive anche le evidenze contraddittorie raccolte finora. Infatti, a fronte di tanti riscontri ottenuti in studi di laboratorio circa l’influenza della vitamina D sulle cellule del sistema immunitario che possono favorire o prevenire i danni al sistema nervoso centrale caratteristici della sclerosi multipla, non si sono mai raccolte prove definitive dell’efficacia della somministrazione della vitamina nel prevenire la comparsa della malattia o nel migliorane il decorso.

Gli autori hanno concluso che le evidenze disponibili indicano che, nella relazione fra la carenza della vitamina D o l’inadeguatezza del suo effetto da una parte e, dall’altra, la probabilità di ammalare di sclerosi multipla, giocano un ruolo alcune mutazioni di geni. D’altra parte, le attuali conoscenze non permettono di giungere a conclusioni definitive sul risvolto pratico di questi riscontri. Ricerche eseguite su ampie casistiche dovranno fornire le risposte che ora mancano.                 

Tommaso Sacco

Fonte: Vitamin D and genetic susceptibility to multiple sclerosis; Biochemical Genetics 2020

Source: Fondazione Serono SM


Sintomi e qualità della vita delle persone con sclerosi multipla

Uno studio eseguito negli Stati Uniti ha valutato, in soggetti adulti, gli effetti sulla qualità di vita di diverse combinazioni di sintomi della sclerosi multipla. I risultati hanno indicato che in particolare alcune associazioni di sintomi possono peggiorare marcatamente la qualità di vita e, quindi, vanno affrontate con approcci mirati ed efficaci.

Silveira e colleghi hanno eseguito uno studio che ha analizzato le associazioni di sintomi della sclerosi multipla e la loro gravità nelle diverse fasce di età dei malati. È stato valutato anche l’impatto delle associazioni di sintomi sulla qualità della vita delle persone con sclerosi multipla. Sono stati arruolati soggetti affetti dalla malattia, di età compresa fra 20 e 79 anni, per i quali erano state misurate astenia, depressione, ansia, qualità del sonno e qualità della vita, usando il questionario denominato 36-item Short Form Health Survey (abbreviato SF-36, in italiano: questionario sullo stato di salute in forma breve a 36 voci). Mediante analisi bivariate di tutte le variabili e correlazioni parziali, si sono cercate associazioni statistiche fra sintomi, qualità della vita e caratteristiche della sclerosi multipla. Tali analisi sono state eseguite sul totale della casistica e su sottogruppi di malati delle seguenti fasce di età: 20-39, 40-59 e 60-79. Il metodo statistico denominato ANOVA ha misurato le differenze dei livelli della qualità di vita fra le diverse associazioni di sintomi nella casistica totale e nei sottogruppi per fasce di età. I risultati hanno indicato che, nella casistica complessiva di 205 soggetti, i sintomi si sono correlati, in maniera significativa, con la qualità di vita e sono stati identificati tre diversi raggruppamenti di soggetti, differenziati per la gravità dei sintomi avvertiti: lieve, moderata e grave. I risultati sono stati costanti, sia nelle fasce di età più giovani, che nei soggetti più anziani. Nelle persone più avanti in età sono state identificate due associazioni di disturbi del sonno alle quali sono corrisposti livelli di gravità, rispettivamente moderata o severa, di astenia, depressione e ansia. Ulteriori analisi statistiche, eseguite sul totale della casistica, hanno indicato che le tre associazioni di sintomi sono variate significativamente, sia per i punteggi relativi alla funzione fisica, F(2, 202) = 12.03, p<0.001, n2 = .10, che per quelli indicativi del benessere mentale F(2, 202) = 137.92, p<0.001, n2 = .58. Le associazioni di sintomi gravi si sono correlate a un livello peggiore di qualità di vita. Gli andamenti nei sottogruppi per fasce di età sono stati coerenti con tali evidenze.

Nelle conclusioni gli autori hanno sottolineato che, data la stretta relazione fra le associazioni di sintomi e la qualità di vita, è necessario impiegare approcci che trattino i sintomi che danno luogo a tali associazioni.        

Quali indicazioni pratiche emergono dai risultati di questo studio? Che la presenza di sintomi più gravi peggiori la qualità di vita è intuitivo, ma dimostrarlo con dati e analisi specifiche è importante. Ancora più rilevante è individuare quali associazioni di sintomi hanno il peggiore impatto sulla vita quotidiana dei malati, perché questo permette di attribuire le opportune priorità alla gestione delle manifestazioni della sclerosi multipla nella pratica quotidiana degli specialisti che assistono le persone che ne sono affette.

Tommaso Sacco

Fonte: Symptom clusters and quality of life in persons with multiple sclerosis across the lifespan; Quality of Life Research, 2020 Nov 5

Source: Fondazione Serono SM


Video sulla Sclerosi Multipla

Descrizione Video
Francesco Patti, Professore Associato di Neurologia dell’Università di Catania e Responsabile del Centro della sclerosi multipla del Policlinico G. Rodolico di Catania, in questo brano di intervista spiega perché si sviluppano i sintomi e come le funzioni limitate o perse possono essere compensate con la riabilitazione.
Francesco Patti, illustra gli effetti che può avere la riabilitazione nella sclerosi multipla, quando ben fatta e personalizzata.
Il cervello della persona con sclerosi multipla deve compensare i danni provocati dalla malattia e ciò può rendere meno facile assolvere a più compiti contemporaneamente. Lo spiega Francesco Patti, .
Francesco Patti,  spiega come può essere gestito il passaggio da un trattamento all’altro.
I sintomi della Sclerosi Multipla sono diversi e dipendono dalla sede della lesione alla mielina. I sintomi più comuni sono perdita di coordinamento muscolare, disturbi visivi, senso di torpore o di formicolio alle gambe e alle braccia, stanchezza e incontinenza. Questa malattia può essere difficile da diagnosticare, in quanto la presenza dei sintomi, che possono durare giorni o mesi, comparendo e scomparendo, non segue uno schema ben preciso.
In un’epoca in cui la “falsa scienza” e le “false notizie” invadono i mezzi di comunicazione e la rete, è importante che, chi è interessato ad argomenti medici e scientifici acceda direttamente alle fonti più attendibili e abbia gli elementi per interpretare le informazioni che trova. Questo è tanto più importante se chi accede alle notizie è una persona affetta da una malattia come la sclerosi multipla perché dall’acquisizione delle informazioni dipendono le sue scelte e, da tali scelte, dipendono la sua salute e la sua qualità di vita. Saper interpretare i risultati di una ricerca sull’efficacia di una cura alla luce di come la ricerca è stata fatta, su quanti malati, seguiti per quanto tempo e con quale protocollo di studio, vuol dire capire quanto quei risultati sono attendibili e, in sostanza, se essi possono cambiare la vita di un malato.
Nell’ultima parte dell’intervista ad Antonio Uccelli, Professore Associato di Neurologia dell’Università di Genova, si parla delle reali prospettive di impiego del trapianto di cellule staminali, ad oggi.
Antonio Uccelli, Professore Associato di Neurologia dell’Università di Genova, ci parla del percorso sperimentale di un ulteriore approccio relativo alle cellule staminali, quello delle staminali neurali
Antonio Uccelli, Professore Associato di Neurologia dell’Università di Genova, parla delle ricerche in corso sull’impiego delle cellule staminali mesenchimali nella cura della sclerosi multipla.
Le cellule staminali sono cellule uniche presenti nel midollo osseo, o nel sangue periferico, e sono in grado di svilupparsi diventando globuli rossi, globuli bianchi o piastrine. Dopo i trattamenti antitumorali, un trapianto di cellule staminali allogeniche serve a ripristinare le cellule staminali nell’organismo del paziente malato, con quelle prelevate da un donatore sano.
Le cellule staminali possono essere prelevate in due modi. Il primo metodo consiste nella raccolta di cellule staminali dal sangue periferico. Se questo procedimento non fornisce una quantità sufficiente di cellule staminali, esse possono essere prelevate direttamente dal midollo osseo.
Abbiamo chiesto a uno dei massimi esperti sulle cellule staminali, Antonio Uccelli, Professore Associato di Neurologia dell’Università di Genova, di parlarci di questo argomento.
Claudio Gasperini, neurologo del Centro della sclerosi multipla dell’Ospedale Forlanini San Camillo di Roma, ha curato una nuova sezione sulla sicurezza dei farmaci per la cura della sclerosi multipla, pubblicato nel sito della Fondazione Cesare Serono nella sezione Angolo dello Specialista.
“In un mondo ideale, meglio visitare una persona in più, magari per poi escludere la presenza della sclerosi multipla, piuttosto che vederne meno e lasciare malati senza la corretta diagnosi”. Questo il punto di vista che Alessandra Lugaresi, neurologa e Professoressa Associata del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Università “Alma Mater” di Bologna.
Un sintomo, registrato con cura e valutato adeguatamente dal medico, fa ipotizzare la presenza della sclerosi multipla: cosa fare?  Alessandra Lugaresi indica le priorità nella gestione di una situazione di questo tipo. Primo: non banalizzare l’evidenza e fare una risonanza magnetica. E se l’esame conferma che si è trattato di una prima manifestazione clinica della sclerosi multipla alla quale è seguita una remissione del quadro? Su questo punto il messaggio è chiaro: meglio un controllo in più, che uno in meno, e più tempestiva è la cura, più è efficace.
Di fronte alla comparsa di un sintomo come una parestesia c’è chi si preoccupa e pensa subito che a provocarlo sia una malattia grave e chi, invece, lo sottovaluta o lo “rimuove”, continuando la sua vita come niente fosse. Le diverse reazioni possono dipendere da tanti fattori: dalla storia personale di ciascuno, dal carattere delle persone, ma anche da quanto si è informati sulle malattie, sui loro sintomi e sui percorsi che conducono alla diagnosi.
L’impatto con la diagnosi è un evento stressante e forme di ansia e di depressione possono svilupparsi in chi deve abituarsi a convivere con la malattia..
Sulla sclerosi multipla si danno tante informazioni su tutti i mezzi di comunicazione. Questo comporta il rischio che nascono dei falsi miti che creano convinzioni sbagliate.
Quando un organo interno è affetto da una malattia che non può essere diagnosticata con gli esami tradizionali, può essere necessario ricorrere alla risonanza magnetica (RM).

Source: Fondazione Serono SM


Ritorno al lavoro dei malati di sclerosi multipla dopo l’isolamento dovuto all’epidemia da COVID-19

Specialisti italiani hanno eseguito uno studio per valutare il benessere mentale dei malati di sclerosi multipla tornati al lavoro dopo il periodo di isolamento imposto nella prima parte dell’epidemia da COVID-19. I risultati hanno indicato che sarebbe utile un supporto psicologico per affrontare la fase delicata della ripresa dell’attività lavorativa.

Studi eseguiti in diversi Paesi del Mondo hanno dimostrato che l’epidemia da COVID-19 ha avuto un impatto psicologico negativo sulla popolazione generale, rispetto alla quale i malati di sclerosi multipla sono ancora più vulnerabili, perché hanno una frequenza di ansia e di depressione è più elevata. Zanghì e colleghi hanno eseguito uno studio per valutare le ripercussioni psicologiche che ha comportato il ritorno al lavoro per i malati con sclerosi multipla recidivante remittente, che avevano aderito all’isolamento imposto per limitare la diffusione dell’epidemia. I malati seguiti presso il Centro della sclerosi multipla di Catania che avevano ripreso l’attività lavorativa sono stati invitati a rispondere a un’intervista telefonica, nella quale hanno risposto ai seguenti questionari standardizzati: Short Screening-Scale per DSM IV (abbreviato in SSS-DSM-IV e traducibile in Scala dello Screening Breve del DSM IV), Depression Anxiety Stress Scale 21 (abbreviato in DASS-21 e traducibile in Scala di Depressione, Ansia e Stress – 21) e Insomnia Severity Index (abbreviato in ISI e traducibile in Indice della Gravità dell’Insonnia). Altre informazioni sono state estratte dalle cartelle cliniche. Sono state ottenute interviste complete e valide da 432 persone con sclerosi multipla recidivante remittente seguite dal Centro, per una frequenza di risposta del 64%. Di queste, 277 (64.1%) erano femmine con un’età media di 40.4 ± 12.4 anni. I soggetti che hanno ricevuto un punteggio maggiore o uguale a 4 dell’SSS-DSM-IV sono stati 137 (31.7%) indicativo della presenza di sintomi di una sindrome da stress post-traumatico. Per quanto riguarda la scala DASS-21, 210 persone con sclerosi multipla recidivante remittente (48.6%) hanno riportato un’ansia da moderata a grave. Una condizione di depressione o di stress, sempre da moderati a gravi, è stata riferita, rispettivamente, da 95 (22%) e da 220 (50.9%) soggetti. L’insonnia è stata riportata da 128 malati (29.6%). I fattori che si sono associati a una maggiore gravità dei sintomi sono stati: precedenti diagnosi di alterazioni del tono dell’umore, inizio o modificazione del trattamento con farmaci modificanti la malattia nei precedenti dodici mesi, un maggiore livello di disabilità misurato con l’EDS.

Nelle conclusioni gli autori hanno evidenziato che, il ritorno al lavoro delle persone con sclerosi multipla recidivante remittente che erano state in isolamento nella prima fase dell’epidemia da COVID-19, ha avuto un impatto psicologico negativo. Tale problema ha avuto una frequenza maggiore nei casi che in precedenza avevano avuto alterazioni del tono dell’umore. Per questo motivo, Zanghì e colleghi hanno consigliato di offrire un supporto psicologico ai malati di sclerosi multipla che riprendano l’attività lavorativa dopo un periodo di forzata interruzione.  

Tommaso Sacco

Fonte: Mental health status of relapsing-remitting multiple sclerosis Italian patients returning to work soon after the easing of lockdown during COVID-19 pandemic: A monocentric experience; Multiple Sclerosis and Related Disorders 2020 Oct 3;46:102561. 

Source: Fondazione Serono SM


Profilo di rischio cardiovascolare ed evoluzione della sclerosi multipla

Un gruppo di specialisti italiani dell’Università di Napoli ha valutato la relazione fra profilo di rischio cardiovascolare e andamento della sclerosi multipla. I risultati hanno indicato che, a un peggioramento del profilo di rischio cardiovascolare, è corrisposta un’aumentata frequenza di recidive e un peggioramento della disabilità.

I fattori di rischio cardiovascolare e le malattie delle quali essi derivano favoriscono lo sviluppo possono peggiorare la prognosi dei malati di sclerosi multipla. Per questo motivo Petruzzo e colleghi hanno cercato possibili relazioni fra l’evoluzione del punteggio del rischio di Framingham e l’andamento della sclerosi multipla. Il punteggio del rischio di Framingham è stato creato a partire dai risultati dello studio omonimo. Lo studio del cuore di Framingham è iniziato nel 1948 sotto la direzione dell’Istituto Nazionale di Cuore, Polmoni e Sangue degli Stati Uniti, che si era proposto di identificare i fattori più comuni che aumentavano il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Tale ricerca, che ha fatto la storia della Medicina, relativamente a questo campo specifico, è continuata per un periodo di osservazione che ha coinvolto tre generazioni di partecipanti. È cominciato nel 1948 reclutando una casistica iniziale di 5209 maschi e femmine, di età compresa fra 30 e 62 anni residenti nella città di Framingham ed è continuato, nei decenni seguenti, arruolando ulteriori casistiche nel 1971, nel 1994, nel 2002 e nel 2003. Nel tempo, le osservazioni raccolte dallo studio Framingham hanno indicato che pressione sanguigna, concentrazione nel sangue di colesterolo e trigliceridi, età, sesso e problemi psicosociali influenzavano la comparsa di malattie cardiovascolari. A partire dalla definizione di tali fattori, è stato creato un sistema per il calcolo del rischio cardiovascolare. Petruzzo e colleghi hanno calcolato il punteggio del rischio di Framingham in 251 persone con sclerosi multipla all’inizio dello studio e seguendo la stessa casistica per i cinque anni successivi. Fra le variabili considerate ci sono stati anche età, sesso, presenza di diabete, abitudine al fumo, pressione arteriosa e Indice di Massa Corporea. I parametri relativi alla sclerosi multipla registrati nel periodo di osservazione sono stati: frequenza delle recidive, livello di disabilità e cure assunte. I risultati hanno indicato che, all’aumentare di un punto del punteggio del rischio di Framingham c’è stato un incremento del 31% della probabilità di presentare una recidiva (rapporto di rischio 1.31; intervallo di confidenza al 95% 1.03-1.68), un aumento del 19% del rischio di raggiungere un EDSS di 6.0 (rapporto di rischio 1.19; intervallo di confidenza al 95% 1.05-3.01) e una probabilità aumentata del 62% di dover passare a un trattamento della sclerosi multipla più potente (rapporto di rischio 1.62; intervallo di confidenza al 95% 1.22-3.01).

Nelle conclusioni gli autori hanno evidenziato che i risultati della loro ricerca hanno indicato che, al crescere del profilo del rischio cardiovascolare è corrisposto un peggioramento dell’andamento della sclerosi multipla. Un tempestivo rilievo dei fattori di rischio cardiovascolare permette, quindi, sia di prevenire la comparsa di malattie di cuore e vasi, sia di migliorare l’andamento della sclerosi multipla.

Tommaso Sacco

Fonte: The Framingham cardiovascular risk score and 5-year progression of multiple sclerosis; European Journal of Neurology, 2020 Oct 22. 

Source: Fondazione Serono SM