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Aspetti psicologici della genitorialità nella sclerosi multipla

Uno studio italiano ha esplorato, attraverso un’analisi delle narrative, i significati personali relativi alla maternità e alla malattia in donne con diagnosi di sclerosi multipla.

La sclerosi multipla è una malattia cronica caratterizzata da aspetti infiammatori e degenerativi che colpisce il sistema nervoso centrale, e costituisce la seconda causa di disabilità neurologica nei giovani adulti. Colpisce più frequentemente le persone giovani e con una maggiore incidenza nelle donne (rapporto 3:1 rispetto agli uomini), soprattutto in età fertile, con picco di incidenza tra i 20 e i 40 anni e una età media di insorgenza di 28 anni [1,2]. La sclerosi multipla è caratterizzata da uno spettro di segni e sintomi, che vanno da aspetti fisici, difficoltà psicologiche o disturbi psichiatrici, con un’ampia variabilità tra soggetti e nel tempo.

Per le donne che convivono con una malattia cronica e il cui decorso è imprevedibile come nella sclerosi multipla, la maternità rappresenta un passaggio complicato nel corso della vita [3]. Inoltre, sebbene questa malattia generalmente non comprometta la capacità riproduttiva, alcuni trattamenti possono ostacolare la gravidanza [4]. La diagnosi di sclerosi multipla impatta drammaticamente sui progetti di vita delle donne affette da questa malattia, le quali spesso rinunciano ad avere figli a causa della sclerosi multipla, o rinunciano alla seconda gravidanza in caso avessero già un figlio antecedente alla diagnosi [5].

Fino agli anni ’80 dello scorso secolo la gravidanza era in genere sconsigliata alle pazienti affette da sclerosi multipla, in quanto non si conoscevano gli effetti della gestazione sulla storia di malattia e gli eventuali effetti della malattia sul figlio. Nelle ultime decadi, tuttavia, diversi studi osservazionali hanno permesso di sciogliere alcuni dubbi in merito al rapporto reciproco tra gravidanza e sclerosi multipla. Inoltre, la disponibilità di diversi farmaci modificanti il decorso di malattia (Disease-Modifying Drugs, DMD) in grado di modificare radicalmente la storia della sclerosi multipla e la possibilità di utilizzarne alcuni sino al concepimento hanno fatto sì che la progettazione della genitorialità possa essere un aspetto focale e irrinunciabile nella vita dei pazienti affetti da sclerosi multipla [6].

Da un punto di vista clinico, diversi studi hanno evidenziato come in occasione della gravidanza il tasso di recidive tenda a diminuire, soprattutto nel III trimestre, per aumentare poi dopo il parto, soprattutto nel puerperio, assestandosi successivamente a un livello precedente la gravidanza. Tali studi hanno permesso di evidenziare come la gravidanza non influisca sulla disabilità a lungo termine della mamma e contemporaneamente non vi siano rischi aggiuntivi in termini di mortalità e morbilità connatale e perinatale rispetto alla popolazione generale [7,8,9].

Tuttavia, la maternità deve essere necessariamente considerata come un evento esistenziale, un processo critico che implica un lavoro di ristrutturazione psicologica mirato a modificare gli aspetti affettivi e rappresentazionali del Sé, degli Altri e delle Relazioni [10]. Le donne devono così gradualmente ridefinire gli schemi intersoggettivi e l’equilibrio intrapsichico, così come si ridefiniscono le dinamiche di coppia [11].

Ad oggi le ricerche in letteratura riguardanti la sclerosi multipla e le rappresentazioni della maternità sono molto poche [12]. Alcune ricerche hanno esplorato preoccupazioni e paure che le donne possono avere riguardo una possibile maternità: aspettative di effetti negativi sulla propria salute fisica a seguito della sospensione del farmaco, timore di un “bambino difettoso” cui potrebbero dare vita a causa della malattia [13], sensazione di perdita delle abilità materne [14], paura di reazioni sociali negative e dubbi sul momento giusto per la maternità [15].

A partire da una lunga esperienza psicologica clinica maturata in ospedale, dove erano presenti donne cui era stata diagnosticata sclerosi multipla, un recente studio italiano si è dato l’obiettivo di esplorare in profondità, da una prospettiva psicodinamica, la natura simbolica ed emotiva dei processi di costruzione di significato che caratterizzano l’esperienza della gravidanza nelle donne che convivono con una malattia cronica. Attraverso l’analisi delle narrative sulla maternità si sono andati dunque a esplorare i significati personali correlati alla maternità e alla malattia nelle donne che vivono con questa malattia [16].

I ricercatori hanno utilizzato una metodologia esplorativa e qualitativa, basata sull’analisi dei temi, la quale permette ai ricercatori di partire dalle narrative e, attraverso un’analisi bottom up, fornisce diverse vie per individuare i temi principali. Tale metodologia può essere inserita tra le indagini qualitative narrative, basate sull’esplorazione delle modalità con cui le persone organizzano le proprie esperienze soggettive ed emotive attraverso le narrative [17].

Le 65 donne reclutate presso il Centro Regionale Sclerosi Multipla dell’Ospedale Universitario Federico II di Napoli sono state selezionate in base a tre criteri. Il primo è l’età delle donne, compresa tra i 25 e i 40 anni, range scelto in base sia all’età media di esordio della sclerosi multipla e l’età in cui generalmente le donne sono incinte o comunque decidono di avere un bambino. Inoltre, i soggetti conoscevano la loro diagnosi di sclerosi multipla da più di 6 mesi, così da non interferire con la prima fase di reazione psicologica alla comunicazione della diagnosi. Infine, l’ultimo criterio era avere un EDSS inferiore a 3,5, perché a questo livello di progressione della malattia essa non compromette significativamente l’autonomia della persona. Tra queste pazienti, è stato sufficiente selezionarne venti.

A ciascuna delle partecipanti è stata somministrata un’intervista aperta della durata di 30 minuti, introdotta da una domanda stimolo somministrata in maniera leggermente diversa in base a se le donne fossero già madri o meno. In ogni caso a tutte è stato chiesto di fare libere associazioni riguardanti la loro attuale esperienza di maternità o l’immaginazione di una futura gravidanza. Questo ha permesso di cogliere due differenti prospettive di questa esperienza. Le interviste sono state registrate, trascritte parola per parola e inserite in un archivio digitale per poterle analizzare.

Attraverso il software qualitativo-quantitativo T-LAB [18] si è proceduto con l’analisi tematica dei contesti elementari, la quale ha prodotto pochi significativi gruppi semantici. Questi consistono in una serie di contesti elementari (es. frasi, paragrafi) caratterizzati dallo stesso pattern di parole chiave (parole, lemmi). In questo caso sono stati individuati quattro grandi gruppi tematici, cui è stata attribuita un’etichetta per identificare l’area semantica coperta da ogni gruppo/cluster.

Il primo cluster “Relazione con il Servizio di Cura” comprende parole riferite alla percezione di una perdita di autonomia e alla riduzione dell’identità personale al ruolo di paziente.

Il secondo cluster “Dolore quotidiano”, comprende parole che descrivono la rappresentazione dei limiti legati alla condizione di malattia, sia in termini di aspetti concreti sia di difficoltà nelle attività quotidiane.

Nel terzo cluster, “Chiusura del cerchio”, si trovano parole riferite al desiderio di maternità come un obiettivo di vita da perseguire in termini di scelta personale. A questo viene accostato un senso di riacquisizione di un valore personale, di rivalorizzazione delle proprie abilità e la possibilità di redenzione alla fine di una serie di difficoltà.

Il quarto cluster, “Ruolo familiare”, comprende parole che fanno riferimento al concetto di famiglia come struttura relazionale e sociale, e alle relazioni familiari valutate in termini di capacità di ricoprire le caratteristiche dei membri così come socialmente riconosciute. Questo cluster risulta particolarmente significativo in quanto si evidenzia come ci sia la percezione di un’inversione di ruolo, in quanto nel corso della gravidanza è il figlio ad avere in qualche modo un ruolo di protezione rispetto alla salute della madre, e non il contrario.

Complessivamente, da quanto emerge da questo studio l’esperienza personale delle donne con sclerosi multipla risulta essere caratterizzata da una generale difficoltà nel riuscire a far convivere aspetti correlati ai percorsi medici/terapeutici e ai progetti di vita personale con la cronicità della malattia e la progettualità di maternità.

Mentre la rappresentazione del ruolo di paziente sembra dipendere del contesto dei luoghi di cura e dallo stress della malattia, quella relativa al ruolo di madre sembra riferirsi a un modello idealizzato, quasi distaccato e raggiungibile indipendentemente dalla propria condizione e dal background della sclerosi multipla. Infatti, per le donne intervistate, la gravidanza appare come una condizione protettiva, e la rappresentazione della maternità fa riferimento ai ruoli familiari, che sono considerati lontani dal contesto di cura e importanti per la propria autostima. Si evidenzia come la gravidanza stessa sembri avere un effetto positivo sull’autostima.

Inoltre, a partire dalle caratteristiche delle partecipanti si sono evidenziati altri aspetti. Così come evidenziato in altri studi [19] la presenza di una relazione di coppia stabile sembra ricoprire un importante fattore protettivo, in quanto aiuta le donne ad affrontare la difficoltà con cui convivono quotidianamente e, in particolare, i limiti che la malattia spesso impone. Conoscere la diagnosi da più di dieci anni è generalmente accompagnato da una buona mobilizzazione delle risorse relazionali a sostegno del proprio desiderio generativo. In questo senso, una storia di malattia più lunga sembra determinare un migliore adattamento e una più forte capacità di convivere con la sclerosi multipla. I progetti di maternità sembrano essere vissuti come meno “indipendenti” dalla sclerosi multipla e più “rischiosi” per le donne che sono a conoscenza della diagnosi da un tempo inferiore: in questo caso, le partecipanti mostrano una maggiore dipendenza dall’area medica e maggiore preoccupazione per la salute fisica.

Conclusioni

Coerentemente con gli studi precedenti, emerge come l’attenzione all’eventuale desiderio di maternità debba essere necessariamente parte integrante dell’intervento sulle donne che hanno sclerosi multipla, andando a costituire un ulteriore imprescindibile elemento di complessità nel trattamento di questa malattia: infatti, al decorso della malattia, già caratterizzato da variabilità interindividuale, si aggiunge l’unicità dell’esperienza di maternità o di desiderio di genitorialità di ogni donna.

In ogni caso, affinché si diffonda questa visione più complessa è fondamentale ampliare il focus e considerare la sclerosi multipla non solo come una malattia organica, ma soprattutto come una condizione esistenziale: tale atteggiamento è imprescindibile per potersi aprire a un dialogo interdisciplinare (medico e psicologico) nel trattamento delle donne con sclerosi multipla, validando così il significato conferito al proprio personale desiderio di gravidanza e maternità.

Valentina Carlini – Psicologa

Bibliografia

  1. Weinshenker BG, Bass B, Rice GP, et al. The natural history of multiple sclerosis: a geographically based study. I. Clinical course and disability. Brain 1989;112(Pt 1):133-46.
  2. Trojano M, Lucchese G, Graziano G, et al; MSBase Study Group and the New Zealand MS Prevalence Study Group. Geographical variations in sex ratio trends over time in multiple sclerosis. PLoS One 2012;7(10):e48078.
  3. Grue L, Lærum KT. Doing motherhood: Some experiences of mothers with physical disabilities. Disability & Society 2002;17(6):671-83.
  4. Cavalla P, Rovei V, Masera S, et al. Fertility in patients with multiple sclerosis: current knowledge and future perspectives. Neurol Sci 2006;27(4):231-9.
  5. Lavorgna L, Esposito S, Lanzillo R, et al. Factors interfering with parenthood decision-making in an Italian sample of people with multiple sclerosis: an exploratory online survey. J Neurol 2019;266(3):707-16.
  6. Fabbri S. Genitorialità e sclerosi multipla. SMile 2019;3:66-8.
  7. Vukusic S, Hutchinson M, Hours M, et al. Pregnancy In Multiple Sclerosis Group. Pregnancy and multiple sclerosis (the PRIMS study): clinical predictors of post-partum relapse. Brain 2004;127(Pt 6):1353-60.
  8. Pozzilli C, Pugliatti M; ParadigMS Group. An overview of pregnancy-related issues in patients with multiple sclerosis. Eur J Neurol 2015;22 Suppl 2:34-9.
  9. Houtchens MK, Edwards NC, Schneider G, et al. Pregnancy rates and outcomes in women with and without MS in the United States. Neurology 2018;91(17):e1559-e1569.
  10. Houvouras S. Negotiated boundaries: Conceptual locations of pregnancy and childbirth. The Qualitative Report 2006;11(4):665-86.
  11. Ammaniti M, Tambelli R, Odorisio F. Exploring maternal representations during pregnancy in normal and at risk samples: The use of the interview of maternal representations during pregnancy. Infant Mental Health J 2013;34(1):1-10.
  12. Payne D, McPherson KM. Becoming mothers. Multiple sclerosis and motherhood: a qualitative study. Disabil Rehabil 2010;32(8):629-38.
  13. Oksenberg JR, Baranzini SE, Barcellos LF, et al. Multiple sclerosis: genomic rewards. J Neuroimmunol 2001;113(2):171-84.
  14. Birk KA, Kalb R. MS & planning a family: Fertility, pregnancy, childbirth and parenting roles. In: Kalb R, Scheinberg L (eds.) Multiple sclerosis and the family. New York, NY: Demos, 1992.
  15. Alwan S, Yee I, Dybalski M, et al. Reproductive decision making after the diagnosis of multiple sclerosis (MS). Multiple Sclerosis Journal 2013;19(3):351-8.
  16. Carlino, M, Lanzillo R, Chiodi A, et al. Multiple sclerosis and maternity: a psychological explorative qualitative research. The Qualitative Report 2020;25 (7):1279-92.
  17. BrunerJ. Acts of meaning. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1990.
  18. Lancia F. Strumenti per l’analisi dei testi. Introduzione all’uso di T-LAB[Tools for text analysis. Introduction to use T-Lab]. Milano, Italy: Franco Angeli, 2004.
  19. Pakenham KI, Fleming M. Relations between acceptance of multiple sclerosis and positive and negative adjustments. Psychol Health 2011;26(10):1292-309.

Source: Fondazione Serono SM


Vaccinazione anti-COVID-19 nelle persone con Sclerosi Multipla

L’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (ASIM) e la Società Italiana di Neurologia (SIN) hanno pubblicato un documento con le nuove raccomandazioni sul Covid-19 per le persone con la Sclerosi Multipla, aggiungendo una nuova sezione sui vaccini anti Covid-19.

  • Queste raccomandazioni si riferiscono ai due vaccini per il momento approvati da AIFA: il vaccino di Pfizer-BioNTech e di Moderna, entrambi a base di mRNA.
  • Tutte le persone con sclerosi multipla, in terapia o non in terapia con farmaci modificanti il decorso, dovrebbero vaccinarsi per ridurre il rischio di COVID-19, in modo particolare quelle disabili, con forme progressive di sclerosi multipla, di età più avanzata e con altre concomitanti malattie( comorbidità).
  • Per le persone in trattamento con farmaci iniettabili (interferoni, glatiramer acetato e glatiramoidi), dimetilfumarato, teriflunomide, fingolimod, ozanimod, siponimod e natalizumab, la vaccinazione non richiede una modifica della terapia, tenendo però presente che, trattandosi di farmaci attivi sul sistema immunitario (ed in particolare quelli che determinano leucopenia), possono ridurre l’effetto protettivo del vaccino.
  • Per quanto riguarda i pazienti in trattamento con alemtuzumab, rituximab, ocrelizumab, ofatumumab, cladribina e altri immunosoppressori, è raccomandabile che vi sia un intervallo di 4-6 settimane fra la vaccinazione completata (ossia 4-6 settimane dopo la seconda dose di vaccino) e la risomministrazione del farmaco e, di un intervallo di almeno 3 mesi tra la precedente somministrazione del farmaco e l’inizio della vaccinazione. In situazione di emergenza si può procedere con la vaccinazione anche se i 3 mesi di intervallo non sono trascorsi verificando però in seguito la risposta anticorpale.
  • Analogamente a quanto sopra riportato anche per le persone con sclerosi multipla che iniziano un nuovo trattamento con alemtuzumab, rituximab, ocrelizumab, ofatumumab, cladribina e altri immunosoppressori, vi deve essere almeno un ritardo di 4-6 settimane tra il termine della vaccinazione (ossia seconda dose) e l’inizio della terapia.
  • Per quanto oggi noto, gli effetti collaterali dei vaccini anti-SARS-COV-2 approvati/disponibili (BNT16b2 mRNAe mRNA-1273) sono generalmente blandi e costituiti essenzialmente da dolore nel sito di iniezione, cefalea e astenia e si risolvono, nella maggior parte dei casi, entro 1-2 giorni; raramente si presenta una leggera forma febbrile, che può comportare una transitoria accentuazione dei disturbi neurologici, ma non sono attesi effetti negativi sul decorso della malattia.
  • Non si conosce, ad oggi, l’efficacia del vaccino anti-COVID 19 nel tempo. Tuttavia, man mano che si acquisiranno nuove conoscenze scientifiche al riguardo, si predisporrà un ulteriore aggiornamento di queste raccomandazioni.
  • Così come per le altre vaccinazioni, anche la vaccinazione anti-COVID-19 è sconsigliata in prossimità (ultimi 30 giorni) o in corso di attività di malattia (cioè in presenza di una ricaduta clinica o nuove lesioni attive alla RM); per la vaccinazione è consigliabile un intervallo di almeno un mese dalla fine di un trattamento steroide o e un periodo di stabilità o miglioramento di almeno un mese.
  • È altresì opportuno che chi ha effettuato la vaccinazione attenda, salvo diversa indicazione clinica, almeno un mese dal completamento del ciclo vaccinale prima di assumere terapia steroide a ad alta dose.
  • La vaccinazione anti-COVID-19 è fortemente consigliata anche ai caregiver e ai familiari di persone con sclerosi multipla, in modo da ridurre ulteriormente il rischio di contagio intra-familiare, visto anche e considerato che, nelle persone con sclerosi multipla in trattamento con farmaci modificanti il decorso, l’effetto del vaccino potrebbe essere ridotto e/o meno duraturo.
  • Si raccomanda, infine, a tutte le persone affette da sclerosi multipla e ai loro caregiver e familiari, di sottoporsi regolarmente (ogni anno) alla vaccinazione antinfluenzale stagionale; tale raccomandazione è particolarmente forte per le persone disabili, con forme progressive di malattia, di età avanzata e con comorbidità.
  • La vaccinazione anti-COVID19 attualmente va giudicata come compatibile con la gravidanza e l’allattamento.

Simon Basten

Fonte: Società Italiana di Neurologia

Source: Fondazione Serono SM


Il caregiver: funzione, supporto e qualità di vita

La sclerosi multipla è una complessa patologia cronica che riguarda circa due milioni e mezzo di persone nel mondo ed è la più comune causa di disabilità neurologica nei giovani adulti [1]. Tale condizione di disabilità frequentemente include: fatica, ridotta mobilità, disfunzioni vescicali e intestinali, depressione e deficit cognitivi [2]; è inoltre impossibile prevederne lo sviluppo nel tempo poiché la gravità e la modalità di progressione della malattia sono variabili [3]. La sclerosi multipla è frequentemente diagnosticata durante la giovane età adulta con conseguenze rilevanti rispetto ad aspetti importanti quali la formazione di una famiglia e il perseguimento della carriera lavorativa [4]. Ne consegue il grande impatto bio-psico-sociale che la patologia comporta non solo nei confronti del paziente stesso, ma anche a livello familiare e relazionale [2]. Proprio in tale contesto si inserisce la figura del caregiver.

Caregiver è un termine inglese che indica la persona che fornisce cure e assistenza a un altro individuo che non è in grado di occuparsi autonomamente di se stesso. La funzione di caregiver può essere svolta per motivi professionali, ad esempio da medici o infermieri o, come succede molto spesso, da coloro che sono mossi da legami familiari e affettivi. In questo secondo caso, la persona svolge la funzione di caregiver in modo informale, ossia senza essere in possesso di specifiche competenze e senza ottenere un compenso economico, ma in virtù del senso di responsabilità nei confronti della persona di cui si prende cura [5]. Buchanan e colleghi (2010) hanno evidenziato come non solo i caregiver forniscano l’80% delle cure all’interno delle mura domestiche ma rappresentino una vera e propria risorsa umana non retribuita, tale da contribuire a contenere le spese della sanità pubblica [6]. Il ruolo di caregiver è stato inoltre definito come transitorio, poiché si sviluppa a mano a mano che la persona con sclerosi multipla diventa più dipendente dal punto di vista funzionale, e dinamico poiché risulta influenzato dai periodi di stabilita o instabilità della malattia [7]. Va infine sottolineato che la durata della funzione di caregiver abbraccia l’intero arco di vita poiché un paziente affetto da sclerosi multipla ha un’aspettativa di vita simile a quella di una persona senza la patologia [4].

Chi è davvero il caregiver e quali sono le sue funzioni? In letteratura è ben evidente come, nella maggior parte dei casi, sia il coniuge [8] a prendersi cura della persona con sclerosi multipla, con una prevalenza di partner uomini (tale dato rende conto del fatto che la patologia colpisca di più le donne) [9]; i figli nel 25% dei casi [10]; poi i genitori; nel 75% dei casi vive con la persona che assiste e nel 42% svolge questo ruolo da solo [9].

A livello clinico, l’interesse per il caregiver si focalizza sull’impatto che tale ruolo ha sulla salute della persona, sullo sforzo a cui è sottoposta e sull’impatto che la malattia ha a livello relazionale [9]. La funzione del caregiver è quindi molto complessa e presenta differenti sfide da affrontare su molteplici fronti: primi fra tutti, il supporto assistenziale e quello emotivo nei confronti del paziente. Per quanto riguarda gli aspetti assistenziali, circa il 30% delle persone con Sclerosi Multipla hanno bisogno di assistenza domestica [2]. Il supporto viene fornito in differenti tipi di attività, dalla cura personale, alle faccende domestiche, alle attività ricreative, al sostegno negli spostamenti [11]; la maggior richiesta di aiuto sembrerebbe essere proprio conseguente a condizioni di ridotta mobilità. Inoltre, è fondamentale ricordare che il caregiver è chiamato a far fronte all’imprevedibilità e ai possibili risvolti negativi della patologia, inclusa la possibilità che la persona possa diventare gravemente disabile [12].

Soffermandosi su quest’ultimo aspetto, come evidenziato da alcuni video informativi realizzati dalla Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM), può succedere che il caregiver tenda a sostituirsi al paziente nello svolgimento delle attività quotidiane e di cura personale; questo può essere svantaggioso per la persona con sclerosi multipla per due ragioni: essere sostituita in toto potrà farla sentire ancora meno autonoma e poco auto efficace; in secondo luogo, questo atteggiamento potrebbe, alla lunga, far perdere le capacità residue che andrebbero invece rafforzate [13].

Accanto al supporto assistenziale si inserisce il supporto emotivo, presente già dalle prime fasi di malattia. La persona con sclerosi multipla, fin dall’inizio delle manifestazioni sintomatologiche, inizia un percorso di elaborazione psicologica che la conduce inevitabilmente verso un nuovo percorso di vita e a una nuova conoscenza di sé; questo processo di ristrutturazione è solitamente faticoso e comporta un coinvolgimento delle relazioni interpersonali [14]. Il momento della diagnosi è solitamente molto difficile da affrontare e comporta spesso una reazione psicologica intensa, sia per il paziente sia per chi gli è accanto; rabbia, paura, sconforto, colpa, frustrazione e il desiderio di negare ciò che sta succedendo sono alcune delle emozioni più frequenti che le persone sperimentano dopo la diagnosi [15]. A tal proposito, uno studio condotto da Janssens e colleghi (2003) ha evidenziato come anche i caregiver sperimentino un’ansia marcata nei primi anni dopo la diagnosi [16].

Coleman e colleghi (2001) hanno sottolineato come, oltre alla sintomatologia fisica, anche gli aspetti psicologici ed emotivi che spesso accompagnano la patologia, rappresentino una sfida per il paziente ma anche per chi se ne prende cura [17]. Molti pazienti, nel corso della malattia, possono presentare labilità emotiva e sintomi depressivi; a tal proposito, una recente metanalisi, che ha visto coinvolti 87.000 pazienti tra europei e nord americani, ha evidenziato un’alta prevalenza di depressione (31%) e di ansia (22%) [18]. Va ricordato inoltre, che il sintomo forse più complicato da comprendere per il caregiver è rappresentato dalla fatica, definita anche come sintomo “invisibile”; generalmente si presenta di giorno nonostante una buona notte di sonno, può peggiorare durante il corso della giornata e interferisce con le normali attività quotidiane [19]. A causa della natura imprevedibile e poco misurabile della fatica, il caregiver ha difficoltà nel comprenderne l’intensità e ciò che comporta per il paziente convivere con tale sintomo. Un ulteriore aspetto da considerare è rappresento dai deficit cognitivi che sono solitamente frequenti in persone con sclerosi multipla [20]; anche tali difficoltà possono mettere a dura prova le strategie di coping (letteralmente: “di far fronte”) e i sentimenti del caregiver [20], tanto che i comportamenti e le reazioni della persona con sclerosi multipla possono essere mal interpretati. Ad esempio, l’incapacità di risolvere problemi, le difficoltà di memoria e concentrazione possono essere lette come mancanza di interesse, di ascolto e ancora come non volontà di cooperare. Spesso, diventa necessaria una modifica dei ruoli all’interno del nucleo familiare o tra i partner; in quest’ultimo caso, può succedere che vi sia il passaggio da una relazione alla pari, a una in cui il caregiver assume un ruolo differente, alle volte quasi genitoriale, con conseguenti effetti sulla relazione [12].

In linea con quanto fin qui esposto, le funzioni di cura e supporto, così come la progressione della malattia, possono divenire fisicamente ed emotivamente più richiestive e occupare gran parte del tempo del caregiver; diventa quindi ben evidente l’altra faccia della medaglia del fornire supporto, ossia, in alcune circostanze, la necessità di ricevere supporto a propria volta. Come proposto a livello scientifico, è infatti possibile definire il caregiver come “paziente nascosto” e, a bene pensarci, anche come “co-terapista”: il suo benessere è di fondamentale importanza per il benessere del paziente [21]. McKeown e colleghi (2003) hanno sottolineato come occuparsi di una persona con sclerosi multipla abbia un notevole impatto su tutte le sfere della vita del caregiver [22], chepuò essere esposto a importanti livelli di stress e correre il rischio di burn out termine inglese (in italiano “bruciato”), con cui si indica una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e di riduzione delle capacità personali che può occorrere in soggetti che svolgono professioni o attività di cura. In letteratura, il “fardello” del caregiver (in inglese “caregiver burden”) è stato definito come lo sforzo o il carico sopportato da una persona che si prende cura di un malato cronico, di una persona disabile o di un familiare anziano [23]; è una risposta multimodale alle componenti fisiche, psicologiche, emotive, sociali e finanziarie che l’esperienza di cura comporta. Può inoltre essere distinto in oggettivo, ossia ciò che concretamente il caregiver svolge, e soggettivo, riferendosi a cosa significa e a cosa si prova nel ricoprire tale ruolo [24].

Secondo la letteratura scientifica, numerosi fattori influenzerebbero il carico di chi si occupa di una persona con sclerosi multipla: il grado di severità della patologia (ricordando che la severità è più impattante rispetto alla durata di malattia); la gravità e complessità della sintomatologia con particolare riferimento a difficoltà cognitive e intestinali; l’età e il livello di salute del caregiver stesso; l’isolamento sociale; lo scarso ammontare di tempo speso al di fuori del ruolo di caregiver; il numero dei membri della famiglia (minore è questo numero, maggiore sarà lo sforzo richiesto); il livello di incertezza percepito con relative preoccupazioni rispetto al futuro [25-28]. Anche i sintomi di natura psichiatrica con particolare riferimento alla disinibizione, all’agitazione e all’ansia contribuirebbero allo stress del caregiver in misura ancora maggiore rispetto al livello di disabilità [12].

L’insieme di questi fattori può esporre il caregiver ad alti livelli di stress tali da influire sulla sua salute fisica e mentale, sulle responsabilità sociali e sulla qualità di vita [29]. Quest’ultimo elemento è un concetto complesso, che comprende più livelli e per il quale manca un accordo rispetto alla sua definizione e alle misure standard e condivise per la sua rilevazione [30]. Nonostante tali difficoltà di misurazione, diviene fondamentale tenerne conto e valutare la qualità di vita della figura che si prende cura del paziente [30], poiché, come visto, il ruolo di caregiver può diventare fisicamente e mentalmente estenuante e può condurre a sintomi quali stress, fatica, ansia e depressione [2]. Inoltre, è spesso possibile che la persona sperimenti un senso di insufficienza e colpa, nonostante il proprio costante impegno nella cura del paziente e il suo continuo adattarsi ai cambiamenti che la patologia porta inevitabilmente con sé [31]. I coniugi che assumono il ruolo di caregiver possono sperimentare un senso di perdita che permea la loro quotidianità: la sensazione è quella di aver perso il loro partner, la pregressa complicità, il supporto reciproco oltre che la necessità di far fronte ai numerosi cambiamenti nello stile di vita [32].

Secondo Courts e colleghi (2005) vi sarebbero delle differenze nei sentimenti esperiti dai caregiver sulla base del loro genere: gli uomini proverebbero rabbia nei confronti di alcune difficoltà oggettive quali l’accessibilità ai parcheggi per i disabili e la difficoltà nello spostarsi con la sedia a rotelle ad esempio all’interno dei negozi; le donne, invece, sarebbero più propense a condividere il loro dolore e a comunicare i loro bisogni emotivi [33]. Sia uomini sia donne hanno però ammesso di soffrire in silenzio, esprimendo il loro bisogno di informazione, di supporto per le famiglie e di assistenza sanitaria [33].

Una riduzione della qualità di vita è stata associata all’età, a un basso reddito familiare, alla durata e alla frequenza giornaliera dell’attività di assistenza, all’aumentare della gravità dei sintomi della patologia e al decorso imprevedibile di malattia [34]. In linea con queste evidenze, i dati raccolti da Forbes e colleghi (2007) hanno suggerito che i problemi di salute del caregiver (stanchezza, mal di schiena, ansia, insonnia, depressione, respiro corto e problemi sessuali), fossero problemi comuni con l’avanzare dell’impatto della malattia [9]; inoltre, i problemi relazionali e sessuali venivano ritenuti più gravi dai caregiver che dai pazienti [9], confermando precedenti evidenze che sottolineavano come vi fossero visioni divergenti della natura e severità dei problemi tra pazienti e caregiver [25].

In un recente articolo del 2019 di Petrikis e colleghi è stato inoltre evidenziato come la fatica del caregiver fosse associata al suo livello di educazione, alla storia di malattia cronica nel caregiver stesso e di altre patologie croniche in famiglia, all’affinità con il paziente e allo stato di disabilità della persona con sclerosi multipla; avere un impiego sembrerebbe invece contribuire al benessere del caregiver [35].

La Sclerosi Multipla è una patologia complessa che richiede di affrontare numerose sfide non solo al paziente ma anche a chi se ne prende cura. Assumere il ruolo di caregiver comporta dei cambiamenti importanti nelle abitudini di vita, nei ruoli all’interno delle relazioni interpersonali e familiari così come modifiche in relazione alla carriera lavorativa. Spesso, a causa del carico assistenziale i caregiver possono sentirsi sopraffatti, ignorati e trascurati [35].

Quali possono essere dei suggerimenti pratici che consentano di tenere conto dell’importanza del caregiver e che lo possano aiutare a mantenere un buon livello di benessere?

In primo luogo, come evidenziato da Benito-Leon e colleghi (2011), nel trattare la sclerosi multipla ci dovrebbe essere un passaggio da un approccio orientato al paziente a un approccio che tenga conto sia della persona con Sclerosi Multipla sia di chi se ne prende curapoiché, come discusso, il benessere di quest’ultima figura risulta di fondamentale importanza per il benessere del paziente stesso [36].

Pertanto è indispensabile affrontare le difficoltà pratiche, sociali e psicologiche dei caregiver [37], ricordando che le necessità delle persone con sclerosi multipla e di chi si occupa di loro si riferiscono a tre grandi aree: informativa (sulla malattia, sulle risorse disponibili ecc.); psicosociale (relazione con l’equipe curante, con i familiari e gli amici); economica (in termini di sicurezza).

Secondo l’AISM alcuni elementi potrebbero essere molto utili al caregiver [13]:

  • tenersi informati e confrontarsicon esperti o con altri famigliari: molte problematiche e molti dubbi possono dipendere da una conoscenza non adeguata o poco approfondita su aspetti importanti della sclerosi multipla; di grande rilevanza diventa quindi la condivisione con operatori professionali o con altri caregiver. Come sottolineato da Courts e colleghi (2005), per il caregiver è fondamentale ricevere informazioni circa la malattia con particolare riferimento ai sintomi invisibili della Sclerosi multipla al fine di aumentare la propria consapevolezza rispetto alla patologia; molto importante sarà allora coinvolgerli in interventi multidisciplinari [33], renderli partecipi delle scelte dell’equipe quali ad esempio, la scelta della terapia farmacologica, l’utilizzo di ausili ecc. e fornire loro strategie concrete da poter utilizzare per far fronte alla sfide quotidiane;
  • chiedere aiuto a un professionista qualora sia necessario; spesso i caregiver sono consapevoli di necessitare di un sostegno, ma alle volte gli è molto difficile accettarlo o non hanno informazioni adeguate sul tipo di supporto adatto per le loro esigenze. Per il caregiver risulta essere molto importante dare senso a cosa sta accadendo così da poter costruire un significato che tenga conto della nuova realtà assistenziale [38]. Nel momento in cui viene diagnosticata di Sclerosi Multipla a una persona cara, emergono prematuramente aspetti importanti quali la vulnerabilità e l’idea della morte che possono essere difficili da integrare nel proprio mondo di significati [38]; affinché questo avvenga, alle volte, è necessario il supporto di un professionista;
  • prendersi cura di sé: non trascurare le proprie esigenze, la propria salute, il bisogno di riposo e di svago. Ricaricarsi permette di gestire le proprie energie e il proprio stato emotivo così da sostenere al meglio gli impegni quotidiani e mantenere il proprio benessere. Fondamentale diventa dedicare del tempo a se stessi con la possibilità di mantenere altri ruoli oltre a quello di caregiver;
  • appoggiarsi alla rete di amici, parenti, associazioni può essere di grande supporto nella gestione dei compiti e delle difficoltà quotidiane così che le responsabilità e le fatiche possano essere alleggerite. È stato evidenziato come restrizioni nella partecipazione a eventi ricreativi e sociali, nei contatti telefonici o fisici con amici, impattino negativamente sulla vita delle persone che svolgono il ruolo di caregiver [39].

Infine, va anche ricordato che l’esperienza del prendersi cura di una persona affetta da sclerosi multipla può portare con sé un impatto positivo e di crescita personale; in letteratura sono state ampiamente indagate le conseguenze negative legate sclerosi multipla, mentre le ricerche sugli aspetti positivi sono a oggi molto limitate [40]. Un recente studio condotto da Delle Fave e colleghi (2017) ha evidenziato, coerentemente con la letteratura precedente, come i pazienti e le famiglie mobilitino una grande varietà di risorse per adattarsi alle condizioni di malattia. Inoltre è emerso come non solo vi sia un adattamento alla malattia, ma anche il fatto che vengano perseguiti obiettivi orientati ai valori, siano coltivate l’armonia e l’equilibrio interiore, e siano investite le proprie energie in attività e relazioni significative. Nell’articolo viene proposto come questi risultati possano, in qualche modo, suggerire un cambio di prospettiva per quanto riguarda la rappresentazione sociale della salute [40]. Come evidenziato da studi che indagano la resilienza [41], gli individui e le famiglie che soffrono di malattie croniche dovrebbero essere valorizzati per la loro capacità di sviluppare competenze personali e sociali, e non essere solamente considerati più fragili all’interno della società. La loro crescita psicologica e le loro abilità relazionali, faticosamente costruite nel tempo, potrebbero rappresentare un grande valore da condividere. Basti pensare al fatto che, in tutti i Paesi, le persone che hanno a che fare con la malattia, sono spesso fondatrici o membri attivi di associazioni, promotrici di campagne di raccolta fondi a sostegno della ricerca ecc. Pertanto, gli operatori sanitari potrebbero avvicinarsi a loro, non solo come pazienti da curare o come caregiver da istruire, ma come figure esperte e capaci di offrire conoscenze in prima persona rispetto a una condizione specifica [42]. Gli sforzi in questa direzione potrebbero essere alquanto positivi sia per i pazienti sia per chi si prende cura di loro e portare verso una società più inclusiva e partecipativa.

Erika Raimondo – S.S. Centro Sclerosi Multipla, A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino

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Source: Fondazione Serono SM


Trattamento sintomatico nella sclerosi multipla

La sclerosi multipla è una malattia infiammatoria demielinizzante del sistema nervoso centrale (SNC) ed è la prima causa di disabilità non traumatica nel giovane adulto. Epidemiologicamente ha una prevalenza di 50-200 casi su 100.000 persone [1-3].

Nonostante i notevoli progressi terapeutici che hanno portato a un miglior controllo della malattia, soprattutto nella forma recidivante-remittente (RR), la maggior parte delle persone con sclerosi multipla ha sintomi tali che vanno a inficiare notevolmente sulla qualità della loro vita [4]. Questi sintomi includono la fatica, il dolore, la spasticità, disturbi dell’equilibrio e dell’andatura, la depressione del tono dell’umore, disfunzioni vescicali o problemi intestinali, disfunzione erettile.

Trattamento della fatica

L’80% dei pazienti con sclerosi multipla avverte “faticabilità” [5-9].La fisiopatologia della fatica nella sclerosi multipla non è completamente stata acclarata, ma sicuramente giocano un ruolo importante le citochine pro-infiammatorie, le lesioni assonali e le disfunzioni endocrine [10,11].In aggiunta, nei pazienti con fatica dovuta a sclerosi multipla sono stati ritrovati cambiamenti strutturali cerebrali come l’atrofia della corteccia sensitivo-motoria [12]. Uno studio ha evidenziato come l’Expanded Disability Status Scale (EDSS) permetta di predire la presenza della fatica in fase iniziale di malattia dopo circa un anno [12].Caldo e umidità sono fattori in grado di esacerbare sia la malattia sia la fatica [13-15].

Il trattamento farmacologico attualmente include l’utilizzo di:

  • amantadina, farmaco del quale non si conosce in modo specifico il meccanismo d’azione nel trattamento della fatica da sclerosi multipla, ma è noto che contribuisce al rilascio della dopamina e della norepinefrina nel cervello con debole antagonismo dei recettori dell’N-Metil-D-aspartato (NMDA);
  • modafinil, che si pensa agisca incrementando il livello di istamina a livello ipotalamico e il livello di dopamina extra-sinaptico;
  • stimolanti (amnfetamine), come pemolina e metilfenidato.

Due studi controllati randomizzati sono stati condotti su modafinil nella fatica indotta da sclerosi multipla. In uno studio di fase 2 su 72 pazienti con sclerosi multipla, modafinil a una dose di 200 mg/die ha portato a un significativo miglioramento della fatica, se comparato con placebo; tale risultato non si è verificato a un dosaggio di 400 mg/die [16].

In uno studio controllato randomizzato multicentrico, amantadina, pemolina e placebo sono stati comparati in 93 pazienti con faticabilità da sclerosi multipla ed è stato dimostrato che i pazienti trattati con amantadina hanno avuto una diminuzione significativa della fatica rispetto a pemolina e placebo, misurata tramite la scala MS-Fatigue Scale [17].

I trattamenti non farmacologici più utilizzati per migliorare la stanchezza nella sclerosi multipla sono la cooling-therapy, che consiste nell’applicare una tuta da raffreddamento per 45 minuti e per due volte al giorno, l’esercizio fisico aerobico e la terapia cognitivo-comportamentale.

Trattamento del dolore

La terapia sintomatica del dolore viene somministrata ad almeno un terzo dei pazienti con sclerosi multipla [18]. Il dolore associato alla sclerosi multipla viene classificato in 4 categorie: dolore neuropatico centrale continuo, dolore neuropatico centrale intermittente, dolore muscoloscheletrico e dolore non neuropatico [19].

Il dolore neuropatico centrale continuo viene descritto come una sensazione di bruciore, o dolore profondo e acuto, e si manifesta in circa il 40-50% dei pazienti. Uno studio ha dimostrato che non c’è correlazione tra il dolore nella sclerosi multipla e la localizzazione della lesione demielinizzante [20]. I farmaci antiepilettici come carbamazepina, lamotrigina, gabapentin, pregabalin, levetiracetam, gli antidepressivi triciclici, gli oppiodi, il baclofene intratecale e i cannabinoidi sono molto efficaci nel trattare questa tipologia di dolore. Parecchi studi hanno però dimostrato che l’utilizzo intermittente degli antiepilettici causa notevoli effetti collaterali [21].

Un’importante evidenza sul trattamento farmacologico del dolore centrale nella sclerosi multipla riguarda l’uso dei cannabinoidi. Uno studio a doppio cieco, controllato con placebo ha dimostrato una lieve diminuzione del dolore utilizzando il delta-9-tetraidrocannabinolo/dronabinolo orale (dose massima 10 mg/die) [22]; inoltre i cannabinoidi migliorano anche la spasticità associata alla malattia.

Il dolore neuropatico intermittente nei pazienti con sclerosi multipla si presenta di solito nella forma di nevralgia del trigemino. Alcuni studi non randomizzati hanno dimostrato che il trattamento più efficace in questa forma di dolore è rappresentato dagli anticonvulsivanti come topiramato, gabapentin, lamotrigina e carbamazepina. Solamente in casi refrattari al trattamento farmacologico si potrebbe ricorrere a terapie chirurgiche come la decompressione microvascolare e il palloncino percutaneo a compressione [23]..

Il dolore muscoloscheletrico nella sclerosi multipla è di solito correlato a spasmi tonici dolorosi che avvengono nel contesto della spasticità o dell’immobilità che colpiscono il paziente; questi spasmi si presentano soprattutto durante la notte e interessano gli arti inferiori e potrebbero essere provocati da stimoli sensoriali. Il trattamento deve essere orientato alla risoluzione della spasticità.

Trattamento della spasticità

La spasticità è presente nel 60% dei pazienti con sclerosi multipla. Si può manifestare come disturbo della deambulazione e interessa prevalentemente gli arti inferiori. La causa della spasticità è legata alle lesioni demielinizzanti e alla degenerazione assonale che portano a una disfunzione dei motoneuroni superiori.

L’esercizio fisico e lo stretching possono essere utili nel controllare una lieve spasticità, ma per forme moderate o gravi è necessario un trattamento farmacologico. I farmaci più utilizzati sono baclofene, gabapentin, le benzodiazepine (BDZ) che agiscono potenziando il sistema GABAergico, gli alfa2-agonisti come tizanidina, e un rilassante muscolare come dantrolene. Il maggior beneficio è stato riscontrato utilizzando tizanidina alla dose di 24 mg/die e baclofene alla dose di 60 mg/die [24].

In uno studio controllato con placebo è stato riscontrato un miglioramento della spasticità senza peggioramento della concentrazione nei pazienti trattati con gabapentin [25].

Un ulteriore e più recente trattamento della spasticità riguarda l’utilizzo dei cannabinoidi. Il delta-9-tetraidrocannabinolo/cannabidiolo(D-9-THC/CBD) in formulazione spray oromucosale è disponibile in numerose nazioni per il trattamento della spasticità in pazienti con sclerosi multipla che non rispondono ad altri trattamenti ed è solitamente un farmaco ben tollerato. I cannabinoidi agiscono su specifici recettori (CB1) presenti nel SNC ed essendo assorbiti molto rapidamente il loro effetto si esplica in maniera altrettanto rapida. In un vasto studio randomizzato controllato, comparando il delta-9-tetraidrocannabinolo con placebo, è stato dimostrato un miglioramento della spasticità del 61% nel gruppo di pazienti trattati con D-9-THC rispetto al 45% dei pazienti del gruppo placebo [26]. È importante sottolineare la cautela riguardo gli effetti a lungo termine dei cannabinoidi sulle capacità cognitive e sul comportamento dei pazienti trattati [27]. Per questa ragione è fondamentale cercare, sin dall’inizio della terapia, il dosaggio ottimale per minimizzare i potenziali effetti avversi.

Per quanto riguarda il trattamento della spasticità correlata a lesioni midollari, il farmaco più efficace è sicuramente baclofene intratecale. Uno studio retrospettivo svolto su 64 pazienti ha infatti dimostrato un netto miglioramento della spasticità severa in pazienti non ambulatoriali trattati con baclofene [28].

Trattamento della depressione

La depressione si verifica in circa il 50% dei pazienti con sclerosi multipla e può avere un notevole impatto sulle funzioni cognitive, sull’aderenza alla terapia e sulla qualità della vita [29].Parecchi studi a riguardo hanno dimostrato che si hanno miglioramenti trattando i pazienti con fluvoxamina (200 mg), sertralina e fluoxetina. Risultati molto promettenti si stanno avendo anche con la terapia cognitivo-comportamentale e in uno studio si è visto che ha la stessa efficacia della sertralina.

Trattamento delle disfunzioni vescicali

Oltre metà dei pazienti con sclerosi multipla riscontra delle disfunzioni vescicali a causa di danni del sistema nervoso autonomo (SNA). Il paziente riferisce una maggiore frequenza e un’urgenza nella minzione, ritenzione urinaria o ambedue le cose a causa della mancata coordinazione tra il muscolo detrusore e lo sfintere della vescica. Se questi problemi non vengono trattati, potremo avere come complicazioni infezioni delle vie urinarie, urolitiasi, idronefrosi e infine danno renale.

Il trattamento non farmacologico prevede il rinforzo del pavimento pelvico tramite specifici esercizi, il biofeedback elettromiografico e la stimolazione elettrica neuromuscolare.Uno studio ha dimostrato un effettivo miglioramento della qualità della vita in pazienti con incontinenza urinaria trattati con un programma individualizzato di riabilitazione vescicale [30].

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico, gli anticolinergici sono sicuramente i farmaci più utilizzati, infatti migliorano sia l’incontinenza sia la frequenza e l’urgenza nella minzione. Questi farmaci però presentano effetti collaterali come secchezza delle fauci, costipazione e nausea che portano a un’interruzione della terapia; difatti poco più del 30% dei pazienti con sclerosi multipla prosegue questo trattamento oltre i 6 mesi [31]. Un altro farmaco che ha un effetto positivo sulla urge incontinence è la desmopressina, utilizzata soprattutto se il paziente deve effettuare un viaggio essendo efficace per circa 6 ore dopo l’assunzione [32].

Trattamento delle disfunzioni sessuali

Le disfunzioni sessuali sono molto comuni nei pazienti con sclerosi multipla, anche se spesso i pazienti sono restii a parlarne con il proprio neurologo. Le donne soffrono principalmente di calo della libido mentre negli uomini è più frequente la disfunzione erettile. Considerato che le terapie con anticonvulsivanti, antidepressivi e anticolinergici possono peggiorare le disfunzioni sessuali, per prima cosa bisognerebbe, ove possibile, aggiustare la dose di questi farmaci; successivamente si potrebbe trattare i pazienti con sildenafil, un inibitore delle fosfodiesterasi (PDE) che in uno studio randomizzato controllato con placebo ha dimostrato notevoli miglioramenti in pazienti di sesso maschile [33].

Trattamento dei disturbi dell’andatura e dell’equilibrio

Numerosi studi hanno dimostrato che circa metà dei pazienti con sclerosi multipla va incontro a cadute [34]; il 79% di questi pazienti avrà cadute ricorrenti [34]. I fattori di rischio sono rappresentati dall’età avanzata e dalla maggiore disabilità. Per quanto riguarda l’equilibrio, è stato visto che esercizi come quelli praticati nel kickboxing potrebbero apportare benefici. Uno studio pilota open-label su pazienti con moderata disabilità ha dimostrato un miglioramento sulla velocità di camminata dopo 5 settimane di kickboxing [35]. Dal punto di vista farmacologico la Food and Drug Administration( FDA) ha approvato la 4-aminopiridina come trattamento per migliorare la velocità della camminata; questo farmaco è stato comparato con placebo in uno studio randomizzato a doppio cieco e ha dimostrato una discreta efficacia [36].

Conclusioni

I pazienti con sclerosi multipla soffrono di vari sintomi disabilitanti, come fatica, depressione, dolore, disfunzioni sessuali o vescicali, spasticità, difficoltà nell’equilibrio e nella marcia. Sono stati studiati molti trattamenti e alcuni hanno dimostrato una buona efficacia nel controllare questi sintomi, permettendo così un miglioramento importante nella qualità della vita di questi pazienti.

Damiano Paolicelli – Dipartimento di Scienze Mediche di Base, Neuroscienze ed Organi di Senso, Azienda Universitaria Ospedaliera Consorziale – Policlinico di Bari

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  36. Goodman AD, Brown TR, Krupp LB, et al. Sustained-release oral fampridine in multiple sclerosis: a randomised, double-blind, controlled trial. Lancet 2009;373:732-8.

Source: Fondazione Serono SM


Le origini genetiche della sclerosi multipla

La sclerosi multipla è una malattia cronica neurodegenerativa definita autoimmune poiché altera alcuni processi infiammatori nel sistema nervoso centrale. L’esordio è più comune nel giovane adulto (20-40 anni) ma la malattia si può presentare in altre età [1].

La malattia è multifattoriale cioè dovuta a varie cause tra cui fattori genetici, ambientali e infettivi. Sono circa 2 milioni le persone con sclerosi multipla nel mondo e l’Europa è considerata una zona ad alto rischio di sviluppo della sclerosi multipla (include oltre la metà delle persone affette nel mondo) con una prevalenza di 30/100.000.

Studi sulla malattia in Italia hanno messo in luce un’alta incidenza della malattia pari a 18.2/100.000 a Linguaglossa (Sicilia) e in Sardegna con la massima incidenza di 100/100.000 [2,3]. La sclerosi multipla si manifesta maggiormente nelle donne con un rapporto 3:1 rispetto agli uomini nei Paesi più sviluppati [1]. I principali sintomi sono affaticamento, debolezza, difficoltà nella deambulazione, disturbi visivi, disturbi legati alla sensibilità, problemi cognitivi e altri.

Le infezioni causate dal virus Epstein-Barr (EBV), obesità, raggi UV, fumo e vitamina D unitamente ad alterazioni genetiche possono svolgere un ruolo importante nello sviluppo della sclerosi multipla [4,5]. Uno studio ha dimostrato che le infezioni causate da EBV raddoppiano il rischio di sviluppare la sclerosi multipla [4]. Inoltre, esperimenti in vitro su linfociti B immortalizzati con EBV (in cui il virus viene inoculato nelle cellule) hanno dimostrato che quest’ultimo può giocare un ruolo di rilievo nella malattia [6].

Tra le cause ambientali è noto che nelle zone lontane dall’equatore, dove la presenza dei raggi solari è ridotta e quindi la produzione della vitamina D è minore, la malattia ha un’incidenza più elevata [1].

La sclerosi multipla non è una malattia ereditaria, cioè trasmessa dai genitori ai figli, ma esiste una predisposizione genetica per la quale un famigliare (fratello, sorella, figlio) di una persona con la malattia ha un rischio più elevato di sviluppare la sclerosi multipla (3-5%) [5]. Negli studi di genetica di popolazione, si è visto che la razza bianca è più colpita e le popolazioni del nord-Europa manifestano la malattia con frequenza molto più alta rispetto a orientali e africani [2].

Si ritiene che alterazioni genetiche giochino un ruolo cruciale nello sviluppo della sclerosi multipla, anche se non è ancora chiaro come possano concorrere alla patogenesi della malattia. I geni che presentano alleli con variazioni nei pazienti con sclerosi multipla sono più di 10 e si trovano nei cromosomi 5, 6, 7.

Il principale gene noto di suscettibilità alla sclerosi multipla è la HLA-DR15 (HLA, Human Leukocyte Antigen), localizzato nel Complesso Maggiore di Istocompatibilità umano sul cromosoma 6 [7,8]. La regione HLA include numerosissimi geni, la maggior parte dei quali deputati al controllo della risposta immunitaria (8). Alcuni studi recenti suggeriscono che altri geni nella regione HLA, oltre a DR15, possano modulare la suscettibilità genetica alla sclerosi multipla.

I geni del sistema HLA producono le molecole che si trovano sulla superficie delle cellule del sistema immunitario. Si tratta di un gruppo di geni che hanno la funzione di intervenire nelle reazioni di difesa durante le infezioni. Essi differiscono tra di loro per alcune variazioni genetiche. Sono le minime alterazioni genetiche che decidono come i diversi geni intervengono nella risposta immunitaria verso ciò che è estraneo all’organismo (virus, batteri) o, nel caso delle malattie autoimmuni come la sclerosi multipla, verso l’organismo stesso.

Nel caso della sclerosi multipla, come in altre malattie multifattoriali, non parliamo di mutazioni genetiche bensì di variazioni genetiche che si riscontrano anche nella popolazione normale. Esistono delle variazioni genetiche nel DNA che possono essere riscontrate nei soggetti sani. Queste variazioni genetiche sono dette alleliche. Gli alleli sono presenti in duplice copia in ciascun gene. È possibile quindi che un individuo sano abbia due alleli di un gene che differiscono tra di loro (uno normale e l’altro alterato). Quando un allele di un gene ha una variazione ed è presente più spesso nei pazienti con sclerosi multipla rispetto a soggetti sani, si dice che l’allele variato è associato alla malattia.

Le cause genetiche della sclerosi multipla sono quindi dovute alla presenza di associazioni statistiche tra alleli che presentano delle variazioni. Questo complesso processo genetico composto da calcoli di probabilità statistica è detto Linkage disequilibrium.

Studi recenti hanno identificato altri geni implicati nella sclerosi multipla: IL7R, IL2RA, TNFR1, BAFF e CYP2R1 [9,10]. Il gene IL7R produce una proteina che si trova sulla membrana dei linfociti T, cioè le cellule coinvolte nelle infezioni provocate da microrganismi. Anche il gene IL2RA regola la produzione di un recettore presente sulla superficie di linfociti attivi nella risposta immunitaria. TNFR1 è un regolatore dei processi infiammatori nella cellula mentre il gene BAFF attiva i linfociti B. Infine, il gene CYP2R1 è coinvolto nell’attivazione della vitamina D. Variazioni genetiche associate ad altre malattie neurologiche sono presenti nella sclerosi multipla.

In base al fatto che diversi fattori eziologici causano lo sviluppo della sclerosi multipla, la possibilità di modificarli prima cha si manifesti la malattia, costituisce una potenziale opportunità per diminuire il rischio di sviluppo. Questo comporterà studi su un vasto numero di casi e occorreranno anni di ricerca. Nel frattempo, sono in corso studi sui trattamenti precoci per i soggetti a rischio di disabilità al fine di diminuire la morbilità fisica associata alla sclerosi multipla.

Un possibile approccio terapeutico che prevede il trapianto autologo (cellule del paziente stesso non di donatori) di cellule staminali nei pazienti con sclerosi multipla, è oggetto di numerosi studi. Le cellule staminali hanno il potenziale di sostituire i neuroni degenerati e favorire la ricostituzione delle fibre nervose danneggiate a causa della malattia. I ricercatori hanno evidenziato che esistono tre tipi di cellule staminali che possono essere utilizzate: cellule neurali (derivanti dal sistema nervoso centrale), cellule mesenchimali (di origine midollare destinate alla formazione di muscoli, ossa, tessuto connettivo) e cellule ematopoietiche (precursori delle cellule del sangue). Sono in corso studi sull’utilizzo di queste cellule poiché devono essere attentamente valutati vari aspetti tra cui la risposta immunitaria al trapianto delle cellule staminali, l’integrazione delle cellule staminali nell’organismo e il rischio di provocare l’insorgenza di tumori [11].

Alessandra Trojani – ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

Bibliografia

  1. Compston A, Coles A. Multiple sclerosis. Lancet 2008;372(9648):1502-17.
  2. Bezzini D, Battaglia MA. Multiple sclerosis epidemiology in Europe. Adv Exp Med Biol 2017;958:141-59. doi:
  3. Kingwell E, Marriott JJ, Jetté N, et al. Incidence and prevalence of multiple sclerosis in Europe: a systematic review. BMC Neurol 2013;13:128.
  4. Ascherio A, Munger KL. Epidemiology of Multiple Sclerosis: from Risk Factors to Prevention-an update. Semin Neurol 2016 ;36 (2):103-14.
  5. Ramagopalan SV, Dobson R, Meier UC, Giovannoni G. Multiple sclerosis: risk factors, prodromes, and potential causal pathways. PLoS One 2010 ;5(9):e12496.
  6. Tracy SI, Kakalacheva K, Lünemann JD, et al. Persistence of Epstein-Barr virus in self-reactive memory B cells. J Virol 2012 ;86(22):12330-40.
  7. Hollenbach JA, Oksenberg JR. The immunogenetics of multiple sclerosis: a comprehensive review. J Autoimmun 2015 Nov;64:13-25.
  8. International Multiple Sclerosis Genetics Consortium (IMSGC), Beecham AH, Patsopoulos NA, et al. Analysis of immune‐related loci identifies 48 new susceptibility variants for multiple sclerosis. Nat Genet 2013;45:1353-60.
  9. Dobson R, Giovannoni G. Multiple sclerosis – a review. Eur J Neurol 2019 ;26(1):27-40.
  10. Jia X, Madireddy L, Caillier S, et al. Genome sequencing uncovers phenocopies in primary progressive multiple sclerosis. Ann Neurol 2018 ;84(1):51-63.
  11. Genc B, Bozan HR, Genc S, Genc K. Stem Cell Therapy for Multiple Sclerosis. Adv Exp Med Biol 2019;1084:145-174.

Source: Fondazione Serono SM