Nel seguente articolo affronterò il tema della sclerosi multipla di un figlio inserito ancora all’interno della propria famiglia di origine: la diagnosi di sclerosi multipla, oltre che impattare psicologicamente sul giovane paziente, si ripercuote inevitabilmente su tutti altri membri della famiglia sulla sfera sia emotiva sia pratico-organizzativa (in particolar modo nei rari casi in cui la malattia determina condizioni più invalidanti nel giovane paziente).

L’argomento che tratterò è certamente molto delicato e l’articolo non può essere considerato esaustivo rispetto all’eterogeneità delle situazioni di vita e alle implicazioni della sclerosi multipla che vanno dunque considerate uniche e specifiche per ogni soggetto e per ogni famiglia. Tuttavia, cercherò di delineare possibili ricorrenze che possono delinearsi nel percorso della malattia. La teoria psicologica di indirizzo sistemico-relazionale rappresenta la mia cornice di pensiero che nel lavoro mi orienta a guardare alla complessità e a considerare il singolo individuo all’interno del suo mondo sia intrapersonale sia interpersonale. Anche l’esperienza quasi decennale mi offre spunti di pensiero e riflessione. Infatti ho effettuato consultazioni psicologiche a genitori di giovani pazienti con sclerosi multipla (adolescenti e giovani adulti) neo-diagnosticati, il cui disorientamento e la cui paura rendevano necessario il supporto psicologico genitoriale.

Attingendo alla letteratura psicologica come pure ai diversi articoli sulla sclerosi multipla (alcuni dei quali consultabili sul sito di AISM), procederò a sviluppare il seguente articolo considerando la sclerosi multipla di un giovane soggetto inserito nel nucleo familiare, scelta che mi permette di focalizzarmi in maniera più puntuale sulle reazioni individuali e familiari dei genitori e del figlio di fronte alla diagnosi e alla prospettiva di qualità di vita pensata/temuta rispetto alla condizione di malattia cronica in età giovanile.

In linea generale, secondo l’approccio sistemico-relazionale le famiglie non sono statiche, ma interconnesse e interdipendenti: pertanto nel sistema ciò che accade a un singolo elemento influenza tutti gli altri componenti. Lungo il ciclo vitale le famiglie sono chiamate ad affrontare diverse “crisi evolutive” molte delle quali fisiologiche (ad es., nascita, uscita del figlio dal nido familiare ecc.), altre inattese e dolorose per cui fortemente destabilizzanti e stressanti come rappresenta la diagnosi di una malattia cronica. Gli autori Blangiardo e Scabini definiscono il ciclo della vita familiare come “una successione di fasi, delimitate da alcuni eventi tipici, che introducono, nel corso della vita del soggetto famiglia, significative trasformazioni di ordine strutturale, organizzativo, relazionale, psicologico”. Alcuni di questi eventi stressanti producono cambiamenti temporanei, che, sebbene determinino tensioni e modifiche, permettono al sistema di ritornare allo stato iniziale. Altri eventi critici, invece, producono cambiamenti permanenti dai molteplici risvolti a seconda dell’intensità e della tipologia del cambiamento apportato.

Nel corso del ciclo vitale familiare la sclerosi multipla rappresenta un evento stressante paranormativo, non prevedibile e non scelto, che produce un cambiamento permanente, anche soltanto in termini di percezione di sé e del familiare con sclerosi multipla. Alla malattia cronica le persone attribuiscono un personale significato che pertanto determinerà a sua volta un diverso impatto psicologico sulla vita e sullo sviluppo familiare nonché un diverso modo con cui la malattia sarà pensata e gestita.

Inoltre, specie quando la malattia si esprime nelle forme più gravi e invalidanti, la famiglia per riuscire ad adattarsi e rispondere all’evento inatteso deve riuscire a trovare nuovi equilibri e saper attivare risorse esterne che possiamo identificare nella famiglia estesa come pure nella rete sociale sia informale (ad es., amici, vicini) che formale (ad es., istituzioni, datore di lavoro ecc.). Certamente gli sforzi della famiglia di gestire la malattia non possono essere visti come un processo omogeneo e coerente, ma piuttosto come la somma di tentativi individuali, a volte conflittuali, di far fronte a essa. D’altro canto esistono diverse tipologie di famiglie, caratterizzate da diverse condizioni socio-psicologiche-sociali e da diverse modalità di reazione: i tentativi sono dettati da caratteristiche personali, da capacità di adattamento, dai bisogni dell’età di ogni individuo. È possibile, pertanto, considerare come la complessità della sclerosi multipla si associ anche ad alcuni fattori della realtà familiare, come ad esempio i sistemi di valori e credenze, la percezione di “perdita”, vissuti di colpa e di vergogna. Le difese dal dolore e dallo stress, inoltre, sono connesse all’organizzazione difensiva di ognuno: Anna Maria Sorrentino afferma che è possibile “considerare l’evento stressante un rilevatore delle organizzazioni di personalità e un potenziatore delle loro modalità di ricercare equilibri relazionali”.

Dal punto di vista psicologico è importante anche considerare in quale fase del ciclo vitale esordisce la malattia cronica, poiché a questo si legano altri fattori che ne determineranno l’impatto, ad esempio l’età del soggetto in cui la malattia esordisce con i rispettivi compiti di sviluppo che deve affrontare. L’esperienza di fronte alla diagnosi è peculiare per i genitori e per il figlio se il momento di insorgenza della sclerosi multipla di quest’ultimo è durante l’adolescenza. Infatti, quest’ultima è una fase in cui l’identità è ancora in fase di costruzione, il bisogno di indipendenza è forte in contraddizione ai vissuti di vulnerabilità che sollecitano bisogni di dipendenza, l’immagine sociale di sé risente del sistema culturale e gruppale tra pari. Invece l’insorgenza nella prima età adulta trova una struttura identitaria più solida con progetti di vita avviati che incontrano nella malattia vissuti di impedimento sia pure frammentario e paure di dover rinunciare ai propri obiettivi di vita.

Nel caso in cui la sclerosi multipla venga diagnostica a un figlio, i familiari sperimentano reazioni analoghe a quelle del figlio ovvero confusione, senso di irrealtà, ansia, rabbia, tristezza e senso di ingiustizia. I genitori di pazienti che non hanno compiuto la maggiore età ricevono per primi la comunicazione di diagnosi e quindi sono chiamati a dover gestire un duplice compito con conseguente carico emotivo: da una parte devono elaborare e contenere le proprie emozioni rispetto alla diagnosi del figlio, dall’altra si trovano tra la paura, la necessità e le richieste esplicite o implicite del figlio rispetto a visite neurologiche, esami diagnostici ed eventuali terapie farmacologiche. Inoltre, per i genitori si avvia il processo di elaborazione “del lutto” per le speranze e aspirazioni investite sul figlio. Proprio per questo la diagnosi rappresenta “uno spartiacque” tra un prima e un dopo.

Dal punto di vista familiare può succedere che la diagnosi e la decisione/gestione della comunicazione di questa al figlio possano determinare tensioni e incomprensioni all’interno della coppia genitoriale come pure indurre sensi di colpa e ferita narcisistica. Gli stili rispetto alla gestione della situazione possono quindi determinare conflitti all’interno del sistema genitoriale, impattando sui preesistenti equilibri interni. Di fronte alla diagnosi del figlio (bambino, adolescente o giovane adulto ancora inserito all’interno della famiglia di origine) si apre per la famiglia una fase caratterizzata da un periodo di riorganizzazione del sistema. Nel caso in cui nel sistema famiglia fossero presenti, prima della diagnosi, disfunzioni organizzative, si rende necessario un intervento terapeutico che faciliti una riorganizzazione più funzionale e l’attivazione di risorse interne e di atteggiamenti più adeguati per il benessere del singolo e del gruppo famiglia.

La scelta e la modalità delle informazioni e lo stile comunicativo diventano un momento particolarmente cruciale sia per i genitori sia per il figlio, tale da essere gestiti insieme all’équipe curante. Pur spettando la decisione ai genitori, nel rispetto del sistema dei loro valori e delle loro credenze, è importante che la comunicazione avvenga nei tempi e nei modi affini allo stato emotivo di ciascuno al fine di rendere meno traumatica la consegna della stessa. Alla paura dei genitori di mettere a conoscenza il figlio della malattia si associa talvolta la necessità di dare congrue informazioni in presenza di sintomi che interferiscono con le attività e in terapie farmacologiche. L’atteggiamento di negazione potrebbe proteggere se stessi e il figlio da una dolorosa realtà, al tempo stesso potrebbe però generare nel ragazzo ansie e smarrimenti per ciò che si percepisce come “non dicibile” e quindi terribile. Non deve essere dimenticato, inoltre, che oggi i ragazzi possono accedere a molte informazioni attraverso i sistemi informatici e, dunque, trovare da soli risposte alle proprie domande ma in un modo non contenitivo e non sempre comprensibile.

Al di là che il figlio sia in età pediatrica o adolescenziale, il percepire che qualcosa sta accadendo ma non viene detto può inficiare il rapporto di fiducia tra lui e il genitore su più livelli, può aumentare livelli di ansia e preoccupazione, può avere effetti sull’aderenza alla terapia, può avere ripercussioni sul benessere individuale e familiare presente e futuro.

Il supporto psicologico può rendersi necessario anche in questi momenti di blocco emotivo e decisionale dei genitori, anche se non sempre è risolutivo per le forti resistenze individuali e/o per le divergenze tra i due genitori. Il lavoro di consulenza è quello di esplorare i significati individuali, i vissuti dei singoli soggetti e orientarli verso la possibilità di trovare insieme “cosa dire ai figlio” a seconda della sua età, dare le indicazioni essenziali e pertinenti alla sua condizione senza tendere all’iper-informazione non necessaria e che comunque potrebbe prospettare improbabili e angoscianti scenari.

Come evento perturbante è possibile che la diagnosi di sclerosi multipla del giovane soggetto induca cambiamenti di ruolo del genitore e verso il genitore a favore di un rapporto regressivo tra i soggetti basato sulla dipendenza, anche quando non fisiologica per età e status sociale né tantomeno necessaria.

Nel caso di un paziente giovane adultoè possibile che determinati bisogni rendano necessario l’affidarsi ai genitori (secondo la richiesta di un aiuto parziale all’interno delle attività giornaliere oppure secondo un’assistenza più importante e continuativa). È possibile che i genitori, coerentemente a quanto espresso in letteratura (ovvero che a uno stretto grado di parentela corrisponda un maggior senso di responsabilità e di impegno nella cura) assumeranno il ruolo di caregiver (coloro che offrono assistenza). Rispetto al processo di elaborazione della diagnosi di sclerosi multipla, mai del tutto definitivo, è indispensabile che tutte le persone coinvolte siano equipaggiate di conoscenze specifiche e siano “attrezzate” delle conoscenze necessarie per la buona presa in carico del parente.

Questa condizione può risultare delicata e, se non ben gestita, può innescare problematiche relazionali tra il paziente e i genitori. Infatti la consapevolezza di dipendenza può inficiare l’autostima del giovane paziente attivando sensi di ansia e rabbia. Al tempo stesso i genitori, spinti da alti livelli di ansia e sensi di colpa, possono attivare modalità iperprotettive che finiscono per intensificare i vissuti del paziente secondo un circolo vizioso autoperpetuantesi.

È importante che la comunicazione tra il giovane paziente adulto con sclerosi multipla e i genitori sia aperta, flessibile e onesta da parte di ogni membro della famiglia. Ciò significa che ognuno potrà esprimere i propri bisogni rispettando quelli degli altri in un processo di crescita personale delle condizioni. In alcuni casi la malattia può trasformarsi in tabù di cui nessuno vuole parlare apertamente (prevale la paura di provocare dolore nell’altro), in altri essa diventa il perno attorno a cui ruota tutto il resto (la quotidianità, le abitudini, i pensieri, le decisioni per il futuro e col passare del tempo può aumentare l’insoddisfazione personale e familiare).

In ogni caso sarebbe importante assicurare un supporto che renda meno patologizzante la malattia stessa. La relazione con il figlio con sclerosi multipla deve essere rinegoziata per non restare invischiata in un modello limitante e poter riorganizzare le proprie dinamiche in modo da non cristallizzarsi secondo confini, funzioni e ruoli, condizione che nel tempo può compromettere la possibilità di individualizzazione e separazione del familiare con sclerosi multipla a svantaggio di un suo sviluppo affettivo e relazionale.

Certamente per i genitori non è facile interpretare i silenzi del figlio, sollecitare un dialogo o semplicemente tenersi in disparte, perciò possono aver bisogno di un contenimento per non diventare il bersaglio della rabbia e della frustrazione del figlio.

I compiti/suggerimenti possono essere così declinati:

  • dare tempo e spazio per riadattarsi, sostenere e appoggiare senza giudizi;
  • sostenere l’autonomia e la vita sociale anche ricorrendo agli ausili, confinando le proprie ansie, mantenendo un atteggiamento di apertura e di condivisione;
  • supportare il figlio nelle scelte consapevoli basate sul dialogo con gli esperti;
  • aiutare nella ricerca di informazioni corrette in merito ai diritti, le agevolazioni disponibili e le opportunità a tutela del lavoro di persone con sclerosi multipla;
  • favorire una comunicazione aperta e la condivisione; reazioni di rifiuto possono essere interpretate come indifferenza e distanza.

Pertanto i genitori hanno bisogno di approdare nella stanza dello Psicologo con la possibilità di parlare dell’evento traumatico, esplorare angosce e paure rispetto al futuro del figlio, esprimere le aspettative, anche quelle irrazionali, e inevitabili vissuti di dolore, rabbia e sensi di colpa. Il colloquio psicologico permette anche di elaborare l’esperienza di malattia del figlio e di inserirla all’interno della loro storia individuale e di coppia. Il dolore per un figlio è un fatto privato e intimo, ma che certamente si configura come evento familiare, collegato alla continuità emotiva e biologica, e come evento culturale che riguarda valori e simboli del gruppo sociale cui appartiene.

Il lavoro dello Psicologo deve tener conto di tutti gli aspetti sopra indicati con l’obiettivo di progettare un intervento efficace. Lo specialista, dunque, deve lavorare su più livelli tenendo conto dell’età del soggetto con sclerosi multipla come pure delle caratteristiche del sistema familiare e nello specifico, se consentito, del giovane paziente, favorire nella famiglia l’assorbimento del trauma individuale e familiare, dare attenzione allo stato di benessere psicofisico del familiare, prestare attenzione e cura a fratelli/sorelle, per prevenire ulteriori malesseri e disagi psicologici.

Talvolta dalla consultazione psicologica emerge la necessità di inviare la famiglia a un trattamento più continuativo e strutturato qual è il trattamento psicoterapeutico. Questo può risultare importante ad esempio per quei genitori che hanno alle spalle lutti complessi e non risolti o che hanno interrotto relazioni con la famiglia di origine. Il lavoro permette allora di ripercorre le storie di ogni genitore, anche in presenza del giovane paziente all’interno di sedute di psicoterapia familiare, comprendere il dolore di oggi in base alle storie di ieri per orientarsi poi nel futuro secondo possibilità e risorse accessibili. La psicoterapia familiare può essere particolarmente adatta nei seguenti casi: quando programmare diventa difficile e c’è pertanto un continuo bisogno di flessibilità davanti al manifestarsi di ogni nuovo sintomo o cambiamento delle capacità funzionali; quando si devono distribuire in modo appropriato tra tutti i familiari le risorse in termini di tempo, energie, emozioni; quando, infine, è necessario un riadattamento davanti alla rottura del ritmo familiare con conseguente modificazione dei ruoli preesistenti e un cambiamento nell’interazione e nella comunicazione tra i componenti familiari a favore del benessere di ogni singolo componente.

Accanto alla psicoterapia familiare è chiaramente di valido aiuto la psicoterapia individuale per il paziente giovane in fase adolescenziale e giovanile per poter elaborare i suoi vissuti, ristrutturare modelli comportamentali e relazionali a favore di una maggiore consapevolezza e integrità di sé e della malattia, attivando risorse interne ed esterne a sé e alla sua famiglia a vantaggio della qualità di vita, raggiungendo migliori livelli di affermazione in progetti personali e lavorativi.

Source: Fondazione Serono SM