La sclerosi multipla è una patologia demielinizzante cronica del sistema nervoso centrale (SNC) caratterizzata da infiammazione e degenerazione assonale. La malattia esordisce intorno alla 2°-4° decade di vita e risultano esserne affette maggiormente le donne con un rapporto F:M di 3:1. L’incidenza della patologia varia nelle varie regioni del mondo raggiungendo valori di circa 700 mila persone affette in Europa [1].

Dal punto di vista terapeutico, ad oggi, non è disponibile un trattamento curativo per la sclerosi multipla ma le correnti strategie terapeutiche hanno come obiettivo la riduzione del rischio di ricadute e della potenziale progressione della disabilità [2]. Un concetto recente nel trattamento della sclerosi multipla è la non evidence of disease activity, o NEDA. Questo si è sviluppato dalla consapevolezza che le ricadute cliniche sono solo la punta dell’iceberg in termini di attività di malattia della sclerosi multipla.Gli obiettivi NEDA, gold standard della terapia della sclerosi multipla, sono rappresentati da: assenza di recidive e progressione clinica (NEDA 1-2), assenza di attività infiammatoria alla MRI (NEDA-3) [3].

Le terapie si suddividono classicamente in DMT (disease-modifying therapies) che tendono a essere specifiche per la sclerosi multipla e terapie sintomatiche che spesso sono usate per trattare i sintomi derivanti dalla disfunzione neurologica. Ad oggi le terapie DMT possono essere distinte in: MET (terapie di mantenimento/escalation) o IRT (terapie di ricostituzione del sistema immune). Le terapie MET si suddividono a loro volta in immunomodulanti (interferone beta, glatiramer acetato, terifluromide) e immunosoppressive (fingolimod, natalizumab, dimetilfumarato, ocrelizumab). Le terapie IRT si dividono in SIRT, cioè IRT che selettivamente colpiscono il sistema immune adattativo, che comprende la cladribina, e le NIRT ossia IRT che colpiscono sia il sistema immune innato sia il sistema immune adattivo, che comprendono l’alemtuzumab. Attualmente la strategia terapeutica IRT è la più vicina a una potenziale cura per la sclerosi multipla [3].

Cladribina è un potente immunosoppressore orale efficace contro le ricadute della sclerosi multipla e l’accumulo di lesioni a livello cerebrale, è approvato per il trattamento di adulti con sclerosi multipla recidivante altamente attiva. Cladribina è un analogo del nucleoside purina ed è capace di attraversare la barriera emato-encefalica agendo da inibitore della sintesi del DNA e della riparazione delle cellule altamente proliferative, inducendo la morte delle cellule B e T [4]. I suoi effetti sulle cellule T sono meno pronunciati e meno duraturi se comparati agli effetti sulle cellule B.

Sia le cellule B sia le cellule T rivestono un ruolo complesso nella immunopatologia della sclerosi multipla, in quanto attivano una cascata di citochine infiammatorie e anticorpi diretti contro vari componenti del sistema nervoso centrale. Le cellule T e B attivate determinano la produzione di altre citochine proinfiammatorie nel siero e nel liquido cerebrospinale, aumentando i livelli di chemochine, l’espressione della molecola di adesione e la migrazione delle cellule mononucleate. L’attivazione dei linfociti B è correlata alla formazione di bande oligo-clonali IgG, le quali sono un marker nel liquor molto utile per la sclerosi multipla. Cladribina smorza queste risposte immunitarie prendendo di mira l’immunità attiva. Il farmaco, clinicamente e radiograficamente, riduce il carico di malattia nelle persone che sono affette da sclerosi multipla [5,6].

Cladribina è un trattamento orale caratterizzato da una somministrazione di 3,5 mg/kg di farmaco, suddiviso in 1,75 mg/kg all’anno, si tratta dunque di un farmaco che prevede una posologia adattata al body mass Index (BMI) del paziente. I due cicli di trattamento sono separati da dodici mesi. Il primo ciclo consiste in una somministrazione del farmaco per quattro o cinque giorni consecutivi, seguiti da una dose equivalente somministrata per quattro o cinque giorni consecutivi nel secondo mese. Il secondo ciclo di cladribina segue di dodici mesi il primo ciclo con lo stesso dosaggio e frequenza. Il trattamento deve essere iniziato solo nei pazienti che hanno un ALC normale (conta linfocitaria) e il trattamento nell’anno 2 deve essere somministrato solo a pazienti con grado 0 o 1 linfopenia (ALC ≥0,8 × 10^9 cellule/L). Il ciclo dell’anno 2 può essere posticipato fino a 6 mesi per consentire il recupero dei linfociti, ma se il recupero richiede più di 6 mesi il paziente non dovrebbe ricevere ulteriori cicli [7].

La linfopenia associata al trattamento si manifesta durante la fase di deplezione, seguita da un ritorno della normale conta linfocitaria dopo diversi mesi. Contrariamente alla terapia con alemtuzumab, l’effetto di cladribina sulle cellule del sistema immune innato è più limitato. La conta linfocitaria è monitorata regolarmente prima, durante e dopo la terapia [8].

Gli esami di laboratorio richiesti prima di considerare cladribina orale come DMT per la sclerosi multipla comprendono: l’emocromo completo con conta differenziale, pannello metabolico completo, screening dell’HIV, pannello dell’epatite virale, test di gravidanza e QuantiFERON-TB. I medici devono anche monitorare attentamente la storia farmacologica del paziente; i pazienti non devono assumere cladribina con altri agenti immunosoppressori. Una volta che il paziente con sclerosi multipla inizia a prendere cladribina, dovrà sottoporsi a un esame emocromocitometrico completo con conta cellulare differenziale monitorata ai mesi 3 e 7 dopo ogni ciclo di cladribina nei due anni successivi [9].

I più importanti effetti avversi di cladribina includono la linfopenia e le infezioni (in particolare da herpes zoster). I pazienti con sclerosi multipla non dovrebbero assumere cladribina se sono affetti da cirrosi epatica, insufficienza renale cronica, HIV o tubercolosi. Altre controindicazioni includono una storia di utilizzo di immunosoppressori, come ciclofosfamide, azatioprina, metotrexato o mitoxantrone. I pazienti devono necessariamente osservare una stretta aderenza alla contraccezione prima, durante e dopo aver assunto cladribina. I pazienti maschi devono prendere precauzioni per prevenire la gravidanza della loro partner durante il trattamento con cladribina e per almeno 6 mesi dopo l’ultima dose. È possibile avere una gravidanza o allattare 6 mesi dopo l’ultima somministrazione del farmaco [10].Gli effetti di cladribina su pazienti sotto i 18 anni sono sconosciuti e questa giovane popolazione dovrebbe evitare di assumere questo trattamento [9,11].

Risulta utile anche la valutazione delle opinioni dei pazienti circa le varie opzioni terapeutiche. Cladribina rappresenta il trattamento orale maggiormente valutato positivamente. Gli elementi presi più in considerazione da parte del paziente nella scelta di un farmaco tra le varie opzioni terapeutiche, tralasciando la modalità di assunzione, sono rappresentati dalla frequenza del monitoraggio richiesto e gli effetti collaterali che ne possono derivare. Chiaramente, l’utilizzo effettivo di DMT riflette non solo le preferenze del paziente per le caratteristiche del DMT, ma anche le linee guida e le preferenze del medico [12].

La terapia pulsata di ricostituzione del sistema immune come la cladribina è un’opzione come terapia iniziale nei pazienti con SMRR con un’alta attività di malattia che, in pazienti non trattati, può essere definita come due o più recidive nell’ultimo anno, e in pazienti in trattamento con un’altra DMT, come due o più recidive o una ricaduta e un’attività MRI significativa. Tuttavia, la terapia di ricostituzione immunitaria pulsata potrebbe anche essere considerata come la terapia iniziale nella SMRR precoce con fattori prognostici negativi e malattia attiva dall’inizio (non solo i pazienti con due recidive nell’anno precedente, ma anche i pazienti con una ricaduta con recupero incompleto associato a nuove o miglioramento delle lesioni in MRI). Se è stata decisa la terapia di ricostituzione immunitaria pulsata, la scelta tra alemtuzumab e cladribina deve essere basata su un rapporto rischio/beneficio. L’efficacia potenzialmente più elevata di alemtuzumab rispetto a cladribina, sebbene ancora solo ipotetica in quanto non sono stati effettuati studi diretti, va a scapito di eventi avversi più frequenti e gravi. Sulla base dei dati pubblicati, l’evidenza dell’efficacia a lungo termine sta aumentando da cladribina ad alemtuzumab. L’induzione di NEDA-3 a lungo termine con terapia di ricostituzione immunitaria pulsata potrebbe almeno essere un’ottima possibilità in alcuni pazienti, se la terapia viene somministrata all’inizio del decorso della malattia. Attualmente manca ancora l’esperienza con risultati a lungo termine per queste terapie e si dovranno affrontare studi di follow-up a lungo termine [10].

Source: Fondazione Serono SM