Il 6 aprile 2021 si è tenuto un Convegno virtuale che ha fatto il punto sulle evidenze disponibili circa la relazione fra la sclerosi multipla, i suoi trattamenti e il COVID-19. Riaffermata la raccomandazione ai malati di sclerosi multipla a vaccinarsi per prevenire l’infezione da COVID-19.

Nel corso del Convegno virtuale Francesco Patti, Professore di Neurologia dell’Università di Catania e Responsabile del Centro della sclerosi multipla del Policlinico G. Rodolico della stessa città, ha riportato dati relativi a casistiche raccolte in diversi Paesi del Mondo per valutare l’andamento dell’infezione da COVID-19 nelle persone con sclerosi multipla. In Italia sono stati analizzati 1583 casi, dei quali 1363 hanno avuto l’infezione in forma lieve e non sono stati ricoverati, 184 hanno avuto una polmonite o sono stati ricoverati e 36 hanno richiesto un ricovero in terapia intensiva o sono deceduti. I 26 deceduti erano affetti per il 73% da sclerosi multipla progressiva e per il 50% non assumevano cure per la sclerosi multipla. Il restante 50% era in terapia con glatiramer acetato (2 casi), fingolimod (2 casi), natalizumab (2 casi), ocrelizumab (2 casi), rituximab (2 casi), azatioprina (1 caso), dimetilfumarato (1 caso) e metotrexate (1 caso). Dal confronto tra i dati italiani e quelli francesi (721 casi) e statunitensi (1626 casi), è emerso che le percentuali di ricovero, ricorso alla terapia intensiva e decesso sono state, rispettivamente, dell’11.2%, 1% e 1.6% in Italia, del 12.8%, dell’1% e dell’1.7% in Francia e del 12.3%, del 4.8% e del 3.3% negli Stati Uniti. Tali dati indicherebbero esiti simili dell’infezione da COVID-19 nei due Paesi europei e meno positivi nei malati di sclerosi multipla statunitensi. Francesco Patti ha citato quindi uno studio che ha raccolto dati di 28 Paesi, su un totale di 2240 malati di sclerosi multipla con infezione da COVID-19. In particolare, in 657 (28.1%) tale infezione era sospettata e in 1683 (71.9%) era confermata da esami specifici. Nell’ambito di questa casistica, la frequenza di ricovero è stata del 20.9%, quella della gestione in terapia intensiva del 5.4%, il ricorso alla respirazione assistita del 4.1% e la frequenza di decesso del 3.2%. Inoltre, i fattori associati al rischio di un andamento più grave dell’infezione da COVID-19 sono stati: età più avanzata, forma progressiva di sclerosi multipla, presenza di patologie associate e punteggio più alto dell’EDSS. I malati di sclerosi multipla che non assumevano farmaci modificanti la malattia hanno mostrato la tendenza ad essere più spesso ricoverati (rapporto di probabilità aggiustato=2.05) a necessitare più spesso della gestione in terapia intensiva (rapporto di probabilità aggiustato=2.07) con ricorso alla respirazione assistita (rapporto di probabilità aggiustato=2.53). Non si è rilevata alcuna relazione tra l’assunzione di farmaci modificanti la malattia e il rischio di decesso. In confronto con l’insieme dei malati curati con tutti gli altri prodotti, per i soggetti che assumevano ocrelizumab e rituximab si è osservata una maggiore frequenza di ricovero (rapporto di probabilità aggiustato=1.75; 95%CI=1.29-2.38; rapporto di probabilità aggiustato =2.76; 95%CI=1.87-4.07) e di gestione in terapia intensiva (rapporto di probabilità aggiustato =2.55; 95%CI=1.49-4.36; rapporto di probabilità aggiustato =4.32; 95%CI=2.27-8.23). In particolare, chi era in cura con quest’ultimo farmaco, è stato sopposto più spesso a respirazione assistita (rapporto di probabilità aggiustato=6.15; 95%CI=3.09-12.27). Tali riscontri hanno suggerito che l’uso di questi due prodotti costituisca un fattore di rischio per un andamento più grave dell’infezione da COVID-19. Francesco Patti ha evidenziato che nessun malato di sclerosi multipla in trattamento con cladribina è stato ricoverato in terapia intensiva, è stato sottoposto a ventilazione assistita o è deceduto. In un grafico mostrato dal relatore, tratto dallo stesso studio internazionale, è stato possibile rilevare i diversi livelli di rischio di ricovero per infezione da COVID-19, a seconda della cura assunta, espressi come rapporto di probabilità. In tale grafico si è potuto osservare che  alcune terapie della sclerosi multipla si sono associate a un ridotto rischio di ricovero, con valori di rapporto di probabilità di 0.88 per la cladribina, di 0.64 per il fingolimod, di 0.82 per il natalizumab e di 0.85 per la teriflunomide. Tornando ai dati della casistica italiana, Francesco Patti ha spiegato che anche in questi malati l’assunzione di ocrelizumab o di rituximab si è associata a un andamento più grave dell’infezione da COVID-19, mentre la cura con interferoni ha mostrato un effetto protettivo, rispetto al peggiore andamento dell’infezione. Il relatore ha quindi trattato l’argomento della vaccinazione dei malati di sclerosi multipla per la prevenzione dell’infezione da COVID-19. A tal proposito ha mostrato le Linee Guida della Fondazione Internazionale della Sclerosi Multipla. Secondo tali Linee Guida, le persone affette dalla malattia dovrebbero essere vaccinate appena possibile, condividendo la decisione con il medico di riferimento, e il rischio associato all’infezione supera quello ipoteticamente associato al vaccino. In un’altra raccomandazione delle Linee Guida si afferma che non ci sono evidenze che indichino che le persone con sclerosi multipla abbiano un rischio specifico, rispetto alla popolazione generale, in caso di somministrazione di vaccini a mRNA, di quelli basati su vettori virali, di quelli contenenti virus inattivati o proteine del COVID-19. Questi tipi di vaccini non si ritiene che possano indurre una recidiva della sclerosi multipla o peggiorare i sintomi cronici della malattia. Una terza raccomandazione ha indicato di evitare vaccini basati su agenti vivi attenuati. Altre raccomandazioni hanno riguardato la fattibilità della vaccinazione anti-COVID-19 nei malati di sclerosi multipla in cura con DMD, fornendo indicazioni specifiche riguardo a tempi e modi della vaccinazione.

Nelle conclusioni il relatore ha sintetizzato i punti salienti del suo intervento.

  • Nelle persone affette da sclerosi multipla non c’è un rischio maggiore di contrarre l’infezione da COVID-19, ma alcuni fattori, come età, sesso, livello dell’EDSS e assunzione di corticosteroidi entro un mese dalla comparsa dei sintomi dell’infezione possono peggiorare l’andamento di quest’ultima.
  • Nelle casistiche raccolte e analizzate si è rilevato un andamento peggiore dell’infezione in chi assumeva ocrelizumab e rituximab, anche in base alla durata dell’assunzione.
  • Nelle casistiche seguite in Italia e in Francia si è osservata una riduzione del rischio di quadri più gravi di infezione in chi assumeva interferone e si è rilevato un andamento simile anche per chi riceveva teriflunomide.
  • La vaccinazione anti-COVID-19 va fatta appena possibile. Le tempistiche della somministrazione di alcune cure della sclerosi multipla e di quelle del vaccino vanno coordinate, con l’obiettivo di rendere più efficace la vaccinazione anti-COVID-19.                             

Tommaso Sacco

Source: Fondazione Serono SM