Archives: Ottobre 26, 2021

Il punto sulla gestione della sclerosi multipla recidivante remittente e quella primariamente progressiva

Dal 3 al 7 ottobre 2021 si è svolto il Congresso Mondiale di Neurologia, congiuntamente a quello della Società Italiana di Neurologia. L’evento avrebbe dovuto tenersi a Roma, ma si è svolto in forma virtuale. Nell’ambito del Convegno ci sono state sessioni dedicate alla sclerosi multipla e, in particolare, una ha fatto il punto sulla gestione della forma recidivante remittente e di quella primariamente progressiva.

Giancarlo Comi, Professore Onorario di Neurologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, ha fatto il punto sulla gestione della sclerosi multipla recidivante remittente. Ha iniziato la sua lettura enfatizzando l’importanza di un inizio precoce del trattamento di questa forma di sclerosi multipla, ma senza tralasciare le riserve di alcuni riguardo a questo approccio. Ha spiegato come la terapia debba essere comunque personalizzata, facendo riferimento alla prognosi di ciascun malato, alla previsione di risposta alla cura, all’identificazione tempestiva di un’eventuale efficacia insufficiente del trattamento, per aggiornare la prognosi e reimpostare il protocollo di cura. Ha quindi descritto l’evoluzione della terapia farmacologica, a partire dalla fine degli anni ’90, quando iniziarono le ricerche sugli interferoni, per arrivare ai farmaci introdotti in anni recenti, come ocrelizumab, alemtuzumab e cladribina, e chiudere con quelli in sperimentazione nel 2021, come l’ozanimod, il ponesimod e l’ofatumumab. Il relatore ha mostrato una tabella che, per ciascuna cura, ha riassunto gli effetti su: probabilità di comparsa delle recidive, evoluzione della disabilità, sviluppo di lesioni attive e atrofia cerebrale e tollerabilità. Ha segnalato che le molecole più recenti, se da una parte hanno permesso di raggiungere risultati terapeutici precedentemente fuori portata, dall’altra hanno creato nuovi problemi dal punto di vista della tollerabilità. Giancarlo Comi ha sottolineato che, se gli studi clinici eseguiti con metodi rigorosi sono indispensabili per registrare un nuovo farmaco, essi lasciano aperti alcuni quesiti, ai quali possono rispondere le ricerche osservazionali oggi definite “da mondo reale”. Ha anche proposto alcuni percorsi utili a definire il migliore approccio terapeutico.

Xavier Montalban, Direttore del Centro della sclerosi multipla dell’Ospedale Val d’Hebron di Barcellona (Spagna), ha fatto il punto sulle più recenti acquisizioni relative alle forme progressive di sclerosi multipla. Innanzitutto, ha descritto i meccanismi che provocano i danni caratteristici di queste forme. Ha inoltre precisato che, su 2.300.000 casi nel Mondo di sclerosi multipla, il 15% si è presentato fin dall’inizio in forma progressiva e il 70% è iniziato come recidivante remittente, per poi diventare progressivo. Circa gli strumenti per contrastare l’evoluzione delle forme progressive, ha citato interventi su abitudini di vita, come dieta e fumo e ha elencato i farmaci che hanno già ricevuto l’indicazione specifica e quelli in corso di valutazione. Tra questi ha citato il siponimod, la simvastatina ad alte dosi, la clemastina e l’acido lipoico. Riguardo al trapianto di cellule staminali, ha spiegato che, nonostante i progressi fatti e i risultati incoraggianti ottenuti, sono necessarie ulteriori ricerche, su più ampie casistiche, per confermarne efficacia e tollerabilità di questo approccio. Infine, illustrando ciò che gli esperti si aspettano in futuro, circa le forme progressive della sclerosi multipla ha elencato i seguenti punti:

  • la sua incidenza aumenterà costantemente
  • la diagnosi sarà più facile e precisa
  • la ricerca degli autoanticorpi giocherà un ruolo sempre più rilevante
  • la prognosi diventerà più accurata
  • le cure saranno più precoci ed efficaci
  • si applicheranno strategie di prevenzione                          
  • si utilizzeranno le evidenze della risonanza magnetica per gli studi di fase 2
  • la classificazione dei fenotipi cambierà e si utilizzerà la telemedicina

Al Congresso Mondiale di Neurologia la sclerosi multipla ha avuto il giusto spazio. Giancarlo Comi e Xavier Montalban hanno descritto gli scenari attuali e quelli futuri delle forme recidivante remittente e progressive della sclerosi multipla. 

Source: Fondazione Serono SM


Vaccinazione anti-COVID-19 nelle persone con Sclerosi Multipla: Indicazioni preliminari sulla somministrazione della terza dose

Nell’ambito del documento dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (ASIM) e la Società Italiana di Neurologia (SIN) sulle raccomandazioni per quanto riguarda il Covid-19 per le persone con la Sclerosi Multipla, è stata aggiunta una sezione con indicazioni preliminari sulla somministrazione delle terza dose di vaccinazione anti-Covid-19.

Il ministero della Salute con circolare numero 41416 del 14 settembre fornisce indicazione alla somministrazione di dose addizionale di vaccino anti SARS-CoV2 (dose aggiuntiva di vaccino somministrato al fine di raggiungere un adeguato livello di risposta immunitaria) ai pazienti con immunodeficienza secondaria a trattamento farmacologico. Tale dose addizionale va somministrata dopo almeno 28 giorni dall’ultima dose di vaccino anti SARS-CoV2.
Si ritiene che per le persone con sclerosi multipla che al momento del primo ciclo vaccinale assumevano o successivamente abbiano assunto Ocrelizumab, Rituximab, Ofatumumab, Fingolimod, Ozanimod, Siponimod, Alemtuzumab, Cladribina, Ciclofosfamide, Mitoxantrone, Azatioprina, altri farmaci marcatamente linfopenizzanti o che siano stati sottoposti a trapianto autologo di cellule staminali sia raccomandabile usufruire di tale possibilità.
E’ raccomandabile peraltro sottoporre a dose addizionale i pazienti in trattamento con altri agenti potenzialmente linfopenizzanti, quali per esempio Dimetilfumarato e Teriflunamide, che al momento della somministrazione delle prime due dosi di vaccino o successivamente abbiano presentato una linfopenia di grado II o superiore (<800/mm3).

A giudizio clinico, la dose addizionale può essere considerata nei pazienti che abbiano ricevuto il ciclo di vaccinazione primario a meno di un mese di distanza da ciclo di terapia steroidea endovenosa ad alta dose.

Nella medesima circolare il ministero della salute fornisce indicazione alla somministrazione di dose booster di vaccino anti SARS-CoV2 (dose di richiamo somministrata al fine di mantenere nel tempo un adeguato livello di risposta immunitaria) a pazienti considerati ad alto rischio per condizioni di fragilità che si associano allo sviluppo di COVID 19 severo. Tale dose booster può essere somministrata dopo almeno 6 mesi dall’ultima dose. In questa categoria rientrano le persone con sclerosi multipla in trattamento con dimetilfumarato e teriflunomide (salvo le specifiche sopra riportate), natalizumab, interferoni, glatiramer acetato e glatiramoidi, nonché le persone con sclerosi multipla non in trattamento con farmaci modificanti il decorso di malattia. La dose booster va offerta, ovviamente con priorità, a tutti i pazienti candidati alla dose addizionale di vaccino che non abbiamo potuto usufruirne.

La tempistica di somministrazione della terza dose di vaccino in relazione al trattamento farmacologico in corso segue le raccomandazioni riportate nei precedente aggiornamento. E’ tuttavia opportuno condividere con il proprio neurologo curante possibili variazioni di tale tempistica in relazione allo stato della pandemia o in caso di sclerosi multipla ad alta attività e rischio di rapido peggioramento.

Indipendentemente dal vaccino utilizzato per il ciclo primario, considerate le indicazioni fornite dalla commissione tecnico scientifica di AIFA, sarà possibile utilizzare come terza dose uno qualsiasi dei due vaccini a mRNA (Pfizer-BioNTech mRNABNT162b2 e Moderna mRNA-1273).

Source: Fondazione Serono SM


Sindrome combinata di demielinizzazione centrale e periferica

Con il termine di sindrome combinata di demielinizzazione centrale e periferica (CCPD) si definisce una condizione patologica caratterizzata da lesioni multiple di tipo demielinizzante, sia a livello del sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale) sia a livello dei nervi periferici. Si tratta di pazienti che sviluppano un quadro neurologico simile alla sclerosi multipla e nel contempo presentano segni e sintomi di interessamento multiplo dei nervi periferici, con quadri clinici che evocano la diagnosi di neuropatia infiammatoria cronica demielinizzante, più nota come CIDP. In un primo momento si pensava che la coesistenza delle due patologie, sclerosi multipla e CIDP, nello stesso paziente potesse essere legata a un fatto casuale, ma successivamente, sulla base della diversa frequenza delle due malattie nella popolazione generale, nonché del riscontro di sintomi atipici, è stata riconosciuta come entità clinica distinta e mediata da meccanismi patogenetici comuni.

La sindrome combinata di demielinizzazione centrale e periferica, anche nota con l’acronimo CCPD (combined central and peripheral demyelination) è una condizione patologica rara e definita grazie alla pubblicazione prevalente di singoli casi (case report) e piccole serie di pazienti. Di solito i sintomi iniziano dopo una banale infezione, sotto forma di formicolii e sensazione di addormentamento in uno o più arti, debolezza muscolare, riduzione della vista o difficoltà nella deambulazione. In alcuni pazienti l’interessamento sensitivo e/o motorio può prevalere ai 4 arti o agli arti inferiori, così da evocare i quadri clinici più conosciuti di polineuropatia acuta, con interessamento sincrono e simmetrico dei nervi periferici, come nel caso della sindrome di Guillain-Barrè (forma di polineuropatia infiammatoria acuta demielinizzante) o della polineuropatia cronica demielinizzante disimmune (CIDP).Contemporaneamente o in successione, nel decorso clinico di questi pazienti, possono rilevarsi segni e/o sintomi suggestivi per una malattia demielinizzante centrale quali disturbi visivi, legati all’infiammazione dei nervi ottici, disturbi sfinterici vescicali, sotto forma di incontinenza urinaria o difficoltà a trattenere leurine, da interessamento del midollo spinale, alterazioni della motilità oculare (nistagmo o visione doppia), fatica e facile esauribilità muscolare associate alla comparsa di lesioni demielinizzanti allo studio di risonanza magnetica nucleare (RMN) dell’encefalo e del midollo spinale. Uno studio cinese pubblicato nel 2018 ha valutato 22 pazienti con le caratteristiche cliniche della CCPD, selezionati da una casistica di 788 casi di pazienti con evidenza di malattia demielinizzante. Sono stati esaminati e confrontati le manifestazioni sintomatologiche, i risultati degli esami di laboratorio, lo studio elettromiografico e dei nervi periferici, la RMN e l’evoluzione del decorso clinico (prognosi). All’esordio della malattia la maggior parte dei pazienti (84%) presentava disturbi sensitivi (sensazione di addormentamento o di punture di spilli, formicolii) agli arti, per lo più associati a debolezza muscolare (77,3%) e riflessi tendinei profondi anormali (72,7%) all’esame obiettivo neurologico. Lo studio del liquor cerebro-spinale prelevato con puntura lombare faceva rilevare nell’81% dei pazienti un aumento della concentrazione delle proteine, mentre la ricerca delle bande oligoclonali, di frequente riscontro nei casi di sclerosi multipla, era risultata negativa. Allo studio di RMN dell’encefalo e del midollo spinale venivano riscontrate alterazioni demielinizzanti che per localizzazione, forma e dimensioni erano da considerarsi suggestive per la sclerosi multipla. Nel 50% dei casi descritti, inoltre, i potenziali evocati visivi risultavano alterati, per interessamento delle vie ottiche. I pazienti sono stati trattati con immunoglobuline ad alto dosaggio per via endovenosa, cortisonici per via sistemica o con entrambi i trattamenti. I risultati migliori in termini di riduzione dei sintomi si sono avuti con il trattamento combinato. Un paziente che non ha mostrato risposta agli steroidi e alle immunoglobuline per via endovenosa è migliorato significativamente dopo l’uso di un potente immunosoppressore (ciclofosfamide). Uno studio italiano ha valutato l’evoluzione clinica di un gruppo di 31 pazienti con CCPD, sin dal momento della diagnosi. Nella maggior parte dei casi i sintomi iniziavano nelle settimane successive a un’infezione delle vie aeree, con un quadro di polineuropatia (disturbi sensitivi e debolezza muscolare in 2 o più arti) o di encefalopatia (confusione mentale, disturbi della vista o cefalea). Nel 74% dei pazienti lo studio elettromiografico faceva rilevare alterazioni tipiche delle CIDP, mentre allo studio di RMN, 11 pazienti (46%) mostravano lesioni demielinizzanti che soddisfacevano i criteri per la diagnosi di sclerosi multipla. Due terzi dei pazienti presentavano un decorso di malattia di tipo recidivante-remittente o progressivo, solitamente correlato alla comparsa di nuove lesioni nel midollo spinale o al peggioramento della neuropatia periferica, e mostravano risposte insoddisfacenti ai cortisonici e alle immunoglobuline ad alto dosaggio somministrati per via endovenosa. I sintomi, soprattutto motori, erano gravi in 22 pazienti (71%) con conseguente disabilità. Questi dati confermano l’estrema eterogeneità clinica della CCPD, l’origine post-infettiva e la prognosi generalmente sfavorevole.

Recentemente è stato riconosciuto il ruolo di alcuni anticorpi nella patogenesi della malattia. In particolare, un anticorpo diretto contro una proteina specifica della guaina mielinica che avvolge i nervi periferici, denominata neurofascina-155, è stata scoperta nel sangue di pazienti con quadri clinici di CCPD. La presenza di neurofascina-155 nell’encefalo e nel midollo spinale oltre che nei nervi periferici, e l’elevata prevalenza degli anticorpi anti-neurofascina-155 nei pazienti con sindrome combinata di demielinizzazione centrale e periferica, hanno suggerito la genesi autoimmune di tale condizione patologica. Non tutti i pazienti con CCPD presentano gli anticorpi sopracitati, per cui si ritiene che altri anticorpi, diretti contro diverse proteine della guaina mielinica, condivise tra sistema nervoso centrale e nervi periferici possano avere un ruolo causale.

Negli ultimi anni, sono stati compiute ulteriori ricerche per cercare di identificare altri possibili anticorpi marcatori dei casi con sintomi suggestivi di sindrome combinata di demielinizzazione centrale e periferica. È stato per esempio descritto un paziente con malattia demielinizzante del sistema nervoso centrale correlata agli anticorpi contro la glicoproteina correlata alla mielina (MOG) e polineuropatia demielinizzante infiammatoria. Questa scoperta suggerisce un’estrema eterogeneità di quadri clinici nell’ambito delle forme demielinizzanti correlate agli anticorpi anti-MOG e anti-Acquaporina (anticorpi responsabili di alcuni casi di neuromielite ottica, con coinvolgimento di entrambi i nervi ottici e del midollo spinale), conosciute anche come disturbi dello spettro della neuromielite ottica (NMOSD). La struttura molecolare della MOG e la sua posizione superficiale sulla guaina mielinica del sistema nervoso centrale e periferico rendono tale glicoproteina suscettibile alla formazione di autoanticorpi in soggetti predisposti geneticamente allo sviluppo di malattie autoimmuni. Oltre all’aumento delle proteine nel liquor cerebro-spinale e all’assenza delle bande oligoclonali, sono di frequente riscontro nei pazienti con CCPD, il coinvolgimento bilaterale dei nervi ottici e il riscontro di lesioni demielinizzanti allo studio RMN dell’encefalo anche estese, tali da far sorgere il sospetto di neoformazioni neoplastiche (forme pseudotumorali di sclerosi multipla). Il peggioramento della sintomatologia a seguito del trattamento con cortisonici ev è frequente in corso di neuropatia da CCPD, diversamente da quanto avviene nella forma cronica di polineuropatia infiammatoria demielinizzante (CIDP), dove si osserva, nella maggior parte dei casi, la remissione della sintomatologia. In questi casi è stata utilizzata con beneficio la plasmaferesi, ovvero la procedura di trattamento di purificazione del sangue dagli anticorpi patogeni.

Conclusioni

Le lesioni demielinizzanti colpiscono generalmente le strutture del sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale) come nel caso della sclerosi multipla, o isolatamente i nervi periferici, dando origine a quadri clinici di polineuropatia infiammatoria acuta (sindrome di Guillain-Barrè) o cronica (CIDP). Raramente, la demielinizzazione può colpire più estesamente il sistema nervo centrale e periferico, simultaneamente o in successione, con l’insorgenza di manifestazioni cliniche che evocano sia la sclerosi multipla sia le neuropatie periferiche. L’evoluzione clinica differente, l’analisi del liquor cerebro-spinale e la diversa risposta ai trattamenti, rispetto alle forme classiche isolate di demielinizzazione, hanno recentemente consentito di identificare la CCDP come entità clinica distinta, a patogenesi disimmune ed evoluzione non sempre favorevole, nonostante i trattamenti.

Consigli pratici

La CCDP dimostra come l’eterogeneità delle malattie demielinizzanti sia ampia e l’iter diagnostico sia complesso. La diagnosi definita di queste forme combinate di demielinizzazione centrale e periferica ha importanti ricadute sia sulla prognosi sia sulle scelte terapeutiche più adeguate. Il riscontro di alterazioni di segnale in RMN suggestive per sclerosi multipla in un paziente con manifestazioni cliniche di interessamento dei nervi periferici, specie se documentato da un esame elettromiografico, deve guidare il neurologo clinico nella scelta degli esami diagnostici più appropriati (esame del liquor cerebro-spinale, studio dei potenziali evocati, screening autoanticorpale) per la diagnosi di CCDP. Il trattamento combinato con steroidi e immunoglobuline ad alte dosi per via endovenosa può determinare in diversi casi la remissione del quadro clinico, ma va attuato successivamente uno stretto monitoraggio clinico e radiologico.

Source: Fondazione Serono SM


Un’unica potenziale terapia per il trattamento di diversi sintomi collegati alla spasticità nella sclerosi multipla

La spasticità è un comune sintomo neurologico, potenzialmente molto invalidante, dovuto a una lesione a carico dei primi neuroni di moto, cioè quelle cellule nervose che dalle aree della corteccia cerebrale deputate al movimento trasmettono l’impulso nervoso destinato alla contrazione muscolare, fino ai vari livelli del midollo spinale. Il termine spasticità deriva dalla parola greca spasmos, che significa letteralmente crampo/spasmo e designa un disturbo motorio che consiste in un abnorme aumento del tono muscolare involontario, in genere accompagnato anche da un deficit di forza muscolare. È di frequente riscontro, in particolare, nelle forme progressive di sclerosi multipla (SM), nell’ictus cerebrale, nelle paralisi cerebrali infantili, nelle mieliti e nelle lesioni midollari traumatiche.

È un sintomo che riguarda oltre tre quarti delle persone malate di SM e molto spesso si associa a debolezza muscolare. Nella malattia, gli arti inferiori sono più colpiti dalla spasticità e alla rigidità di vario grado, determinata dall’aumento del tono muscolare, si possono poi associare spasmi e contratture, cioè contrazioni involontarie spesso dolorose, clono (vale a dire l’innesco in alcune posizioni di movimenti di flessione ed estensione involontari ripetitivi, a carico di alcune articolazioni) e infine marcate limitazioni nella destrezza motoria degli arti superiori, così come della marcia. In alcuni casi l’aumentata rigidità muscolare in estensione a carico dei quadricipiti può essere un vantaggio ai fini della capacità di mantenersi in piedi e deambulare, perché supplisce in parte alla debolezza muscolare. Le conseguenze di un persistente aumento del tono muscolare sono le modificazioni istologiche del tessuto muscolare, con possibilità di accorciamento dello stesso, nonché le retrazioni tendinee, che possono rendere molto problematici i movimenti [1].

La diagnosi della spasticità è essenzialmente clinica, cioè si fonda prevalentemente sulla visita medica da parte dello specialista neurologo che, attraverso varie manovre, valuta lo stato del tono muscolare. Il grado e la severità dell’aumentato tono muscolare si valutano poi attraverso alcune scale come, l’Ashworth Scaleche prevede l’esame della resistenza del muscolo all’allungamento passivo e la Numerical Rating Scale (NRS),una scala di valutazione soggettiva. L’impatto della spasticità sul cammino può essere stimato con test quali il Timed 25-Foot Walk(T25-FW),mentre l’impatto sulla destrezza motoria a carico degli arti superiori può essere valutato con il Nine Hole Peg Test (9-HPT)[2].

Il trattamento della spasticità si prefigge il miglioramento della funzione degli arti e la riduzione del dolore, oltre il facilitare l’igiene personale. Le terapie disponibili possono essere suddivise in farmacoterapie orali, farmacoterapie somministrate tramite altre vie (intramuscolari, intratecali) e approcci chirurgici. Sono pochi gli studi clinici adeguatamente realizzati che hanno verificato l’efficacia delle terapie per la spasticità nella SM, anche perché spesso questo sintomo è descritto in modo vago e quindi diventa difficile confrontare i risultati dei diversi studi. Nel complesso, tra i farmaci disponibili per il trattamento della spasticità, la sostanza più usata e su cui esistono più dati è baclofen, che produce i suoi effetti attivando i recettori dell’acido aminobutirrico B (GABA B) [3].

Sintomatologia correlata alla spasticità nella sclerosi multipla

Un gruppo di ricercatori spagnoli ha recentemente proposto di ampliare il concetto di spasticità, sostenendo che l’aumento del tono muscolare della spasticità si possa correlare a sintomi quali crampi, dolore, disturbi del sonno, disfunzioni vescicali, affaticamento e tremore. Hanno quindi proposto l’introduzione del concetto nuovo di “sindrome da spasticità-plus” ipotizzando un quadro unificato per la gestione di tutta quella sintomatologia che interferendo con il movimento articolare passivo compromette il controllo volontario dei movimenti. Un buon numero di disturbi della SM, così, potrebbe avere una fisiopatologia di fondo comune con l’abnorme aumento del tono muscolare involontario, indotto dalla spasticità [4].

In particolare, in quasi tutti i pazienti, entro 10 anni dall’esordio della SM, a causa della natura progressiva della malattia, si manifestano disfunzioni delle basse vie urinarie. Esse sono determinate dalla distribuzione delle lesioni demielinizzanti a carico del nevrasse: placche a carico della sostanza bianca subcorticale, del tronco encefalico e nella sostanza bianca del midollo spinale possono compromettere l’integrità delle vie nervose nel controllo delle funzioni delle basse vie urinarie. Clinicamente i disturbi urinari si presentano come problemi di ritenzione o di svuotamento vescicale. I sintomi di ritenzione comprendono urgenza urinaria, aumento della frequenza diurna, nicturia (frequenza notturna) e incontinenza, mentre quelli di svuotamento vescicale includono esitazione urinaria, flusso debole e interrotto, tensione all’urina, doppio svuotamento e sensazione di vescica incompleta dopo svuotamento. Le disfunzioni urinarie citate hanno un significativo impatto negativo sulla qualità della vita nei pazienti con SM. La gravità dei sintomi del controllo vescicale è correlata alla disabilita neurologica, misurata mediante la Expanded Disability Status Scale (EDSS). Un punteggio EDSS elevato è associato a parametri urodinamici sfavorevoli che aumentano il rischio di danno del tratto urinario superiore [5].

Nella pratica clinica i numerosi e variegati sintomi associati alla SM necessitano in genere di una gestione complessa tramite varie terapie, ognuna con possibili interazioni farmacologiche e tutte con potenziali effetti collaterali, che spesso esacerbano altri sintomi. Gli studiosi hanno considerato un buon numero di trial clinici e studi osservazionali da cui è emerso che l’uso della cannabis medica, un farmaco sintomatico indicato nel trattamento della spasticità, può essere utile anche ad alleviare e migliorare altre manifestazioni della malattia demielinizzante, in qualche modo collegate ad essa [4].

Un breve case report

Si riporta il caso di una donna di 35 anni che secondo i criteri di McDonald, dall’età di 25 anni, soffre di SM recidivante-remittente e assume una modesta dose di tiroxina per una tiroidite di Hashimoto. La madre della paziente, che pure presentava una forma di SM, anche lei con problemi di distiroidismo, morì all’età di 55 anni per complicazioni della malattia demielinizzante. L’insorgenza della malattia risale al 2010, a seguito di un episodio di parestesia, a tipo formicolio al piede sinistro. Nel 2015, dopo 5 anni di stabilizzazione clinica e radiologica della malattia con l’uso trisettimanale di interferone-beta 1a 44 mcg, la paziente interrompe autonomamente la terapia per il desiderio di una gravidanza. A distanza di 15 mesi la paziente dà alla luce una bambina (allattata al seno), non riprendendo la terapia come consigliato dal suo medico di fiducia. Nel marzo 2017 ha una ricaduta clinica e radiologica della patologia, trattata con steroidi per via endovenosa, seguita da ripresa della precedente terapia con interferone, che ha stabilizzato la malattia fino a oggi.

A seguito della ricaduta, la paziente ha presentato come esiti neurologici una leggera paraparesi spastica che non ne ha compromesso la deambulazione, disturbi del sonno causati da dolorosi spasmi notturni e, in particolare, una grave disfunzione vescicale con incontinenza da urgenza, associata ad alta frequenza di minzione e nicturia. Per cercare di migliorare la sintomatologia lamentata, la paziente ha assunto nel tempo baclofene (25 mg/die), presto interrotto per debolezza, e tizanide (2 mg/die), sospeso per ipotensione ortostatica. Non ha tratto beneficio poi dall’uso di gabapentin 400 mg 3 cp/die e successivamente da carbamazepina 200 mg a rilascio modificato (2 cp/die), sospesa per l’insorgenza di capogiri e peggioramento dell’andatura, diventata di tipo atassico. La donna poi ha assunto ossibutinina per i disordini vescicali e un blando ipnoinducente per cercare di regolarizzare il sonno. Negli anni, infine, ha tratto un miglioramento, seppur non significativo, dei disturbi da un programma di riabilitazione.

Nel febbraio 2019 si è concordato con la paziente, dopo opportuna autorizzazione, di trattare la spasticità e i sintomi a essa collegati con nabiximols, una formulazione spray per mucosa orale di delta-9-tetraidrocannabinolo e cannabidiolo (THC:CBD), a una dose media di 6 spruzzi/die. Oltre una riduzione da 7 a 5 nel punteggio della NRS, relativo alla spasticità, la paziente ha riportato un miglioramento dei sintomi collegati alla spasticità, in particolare una riduzione della frequenza nelle minzioni, gli incidenti di incontinenza urinaria passati da 5 a 1 per notte, una riduzione degli spasmi dolorosi notturni (da 3 a 1) e una migliore e più regolare qualità del sonno, per cui i risvegli notturni sono passati da 4 a 1.

Fisiopatologia della “sindrome da spasticità-plus”

Una sindrome in medicina è classicamente definita come una combinazione di segni e/o sintomi che formano un quadro clinico distinto indicativo di una particolare malattia o disturbo. Generalmente, essi hanno una fisiopatologia comune o rispondono a una terapia, anche se le manifestazioni cliniche possono essere varie [6]. La SM è gravata da una grande varietà di sintomi, imprevedibili ed estremamente variabili inter-individualmente e nella singola persona, determinati dal danno, durante il decorso della malattia, delle più svariate aree del sistema nervoso centrale. Il caso qui presentato dimostra un possibile beneficio terapeutico del nabiximols nella SM, non solo sulla spasticità, ma anche su sintomi a essa collegati, come i disturbi urinari, scarsamente influenzati da altri trattamenti farmacologici. Sorprendentemente, l’obiettivo di migliorare la qualità di vita della paziente è stato raggiunto senza particolari effetti collaterali, anche perché questa formulazione di cannabis medica consente di personalizzare il dosaggio, permettendo all’individuo di trovare la migliore dose costo-beneficio. Le disfunzioni della vescica e, nel caso descritto, i disturbi di incontinenza urinaria, la frequenza delle minzioni diurne, gli incidenti di nicturia sono stati alleviati dal farmaco, come dimostrato dal significativo miglioramento del punteggio dei sintomi della vescica iperattiva (OABSS) passato da 7 a 4, prima e dopo l’inizio del trattamento. Infine, la qualità del sonno della paziente ne ha tratto giovamento.

Il nostro organismo produce normalmente sostanze simili ai cannabinoidi, gli “endocannabinoidi”, e diffusamente esistono recettori che “riconoscono” questi principi, sia a livello del sistema nervoso centrale sia a livello delle cellule del sistema immunitario, come i linfociti e i macrofagi. I cannabinoidi interagiscono con due differenti recettori, i recettori CB1 e CB2, distribuiti in maniera differente nel corpo umano. I CB1 sono sostanzialmente concentrati nel sistema nervoso centrale, mentre i CB2 lo sono principalmente nelle cellule del sistema immunitario. Un consistente accumulo di recettori si ritrova poi proprio nel tronco cerebrale, dove sono mediati funzioni/sintomi importanti che si alterano nei malati di SM, quali spasticità, sonno, vescica e dolore. I recettori CB1 e CB2 sono fisiologicamente attivati dagli endocannabinoidi endogeni, cioè dei ligandi derivati da acidi grassi, in particolare dall’anandamide, un derivato dell’acido arachidonico prodotto dal corpo umano, con effetti simili a quelli del delta-9-tetraidrocannabinolo (THC). Il THC è generalmente considerato il capostipite dei cannabinoidi, non l’unico principio, quello su cui sono state effettuate più ricerche. Tra gli altri vale la pena in particolare ricordare il cannabidiolo (CBD), una sostanza senza azione psicoattiva, privo cioè di effetti sul cervello, ma tuttavia in grado di modulare l’azione del THC a livello cerebrale, prolungandone la durata d’azione e limitandone gli effetti collaterali. Il CBD attenua quindi l’effetto euforico del TCH e ne aumenta l’effetto rilassante, ma soprattutto ne riduce gli effetti nocivi. Il meccanismo alla base dell’associazione TCH:CBD di nabiximols sarebbe una riduzione generalizzata del tono muscolare di diversi distretti dell’organismo, considerando la duplicità tipologica dei recettori per i cannabinoidi [7,8]. In particolare, per le basse vie urinarie, si può presumere che l’azione dello spray di questa formulazione di cannabis sia alla base del miglioramento della disfunzione nella muscolatura liscia della vescica [9]. Va sottolineato, tuttavia, che una recente review non supporta gli stessi benefici con altre associazioni di cannabinoidi, estratti di cannabinoidi orali e il solo THC [10].

Diversi studi con numeri ancora limitati hanno aperto una promettente area di ricerca, avendo evidenziato che l’uso della formulazione in spray di THC:CBD è in grado di alleviare, oltre la spasticità muscolare comune in particolare nelle forme progressive di SM, altri sintomi invalidanti che si presentano nella malattia demielinizzante, quali spasmi, crampi, disturbi dell’andatura, regolazione del sonno, disfunzioni vescicali diurne e notturne quali la frequenza delle minzioni, la urge incontinence, la nicturia, i disturbi sessuali, la percezione del dolore e il tremore. La sola terapia con cannabis medica, attraverso la sua azione sui recettori CB1 e CB2, può semplificare il trattamento di questa ampia gamma di sintomi di contorno della spasticità, uno dei bisogni più insoddisfatti nella cura della SM. Il trattamento di queste manifestazioni della malattia può altrimenti risultare particolarmente complesso perché i pochi farmaci disponibili, spesso usati in politerapia, possono determinare con i loro effetti avversi la comparsa di ulteriori problemi che pesano sul paziente. I ricercatori propongono il concetto di “sindrome da spasticità plus” una promettente ipotesi di lavoro, che dovrà essere confermata e sostenuta da futuri nuovi studi, aprendo la strada a una nuova area di ricerca su cui investire nell’ambito delle terapie sintomatiche per la SM. Una possibile critica e limitazione di questa ipotesi è rappresentata dal fatto di non sapere se tale concetto possa trovare applicazione in altre patologie cerebrali, e in particolare nella spasticità esito di disturbi di circolo cerebrale [4,11,12].

Source: Fondazione Serono SM