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Latitudine, esposizione ai raggi solari e gravità della sclerosi multipla

Un gruppo internazionale di esperti, del quale hanno fatto parte anche specialisti italiani, ha eseguito uno studio per valutare la relazione fra la latitudine, l’esposizione ai raggi B ultravioletti e la gravità della sclerosi multipla. I risultati hanno indicato che, nelle aree del Mondo a clima temperato, la gravità della sclerosi multipla è correlata alla latitudine. 

A tutt’oggi non è stata identificata una singola causa dello sviluppo della sclerosi multipla e si ritiene che questa malattia si presenti per una concomitanza di fattori genetici e ambientali. Tra le condizioni favorenti la comparsa della sclerosi multipla sono da tempo oggetto di studio alcune infezioni virali, come la mononucleosi, l’esposizione ai raggi del sole e la concentrazione di vitamina D nell’organismo. La gravità del decorso della sclerosi multipla varia in maniera ampia da un soggetto all’altro, anche tale variabilità è condizionata da diversi fattori e la loro conoscenza di questi ultimi può essere utile per gestire al meglio la malattia. Per tale motivo, un gruppo internazionale di esperti ha eseguito una ricerca che ha avuto l’obiettivo di verificare le relazioni fra latitudine di residenza dei malati, esposizione ai raggi ultravioletti B e gravità della sclerosi multipla. I dati analizzati sono stati estratti dall’archivio denominato MSBase e sono stati inclusi soggetti che, fra il 2005 e il 2010, hanno ricevuto una diagnosi sclerosi multipla secondo i criteri di McDonald e che avevano una minima serie di dati disponibili. In particolare, per ciascun caso si doveva disporre di: data di nascita, sesso, sede del Centro di riferimento, data di comparsa del sintomo della sclerosi multipla, tipo di malattia alla comparsa e punteggio della EDSS ≥ 1. Per ciascun malato sono stati calcolati: la latitudine alla quale era localizzato il Centro di riferimento e l’esposizione annuale ai raggi ultravioletti alle età di 6 e di 18 anni e nell’anno in cui è stata valutata la disabilità. Per calcolare l’esposizione ai raggi ultravioletti si è fatto riferimento appunto alla latitudine del Centro e si sono impiegati i dati raccolti dallo spettrometro della NASA (l’Agenzia Spaziale Americana) che studia la distribuzione dell’ozono nell’atmosfera che circonda la terra. La latitudine, che si esprime in gradi e primi, è una variabile che indica la distanza di un punto della terra dall’equatore ed esiste una relazione fra la latitudine e l’esposizione ai raggi ultravioletti, poiché, quanto più ci si allontana dall’equatore, tanto più diminuisce l’esposizione a questi raggi. La gravità della malattia è stata definita in base al MS Severity Score (abbreviato in MSSS e traducibile in punteggio della gravità della sclerosi multipla). Si è impiegato un metodo statistico specifico per porre in relazione le variabili analizzate. Si sono raccolti i dati relativi a 453.208 visite di 46.128 malati di sclerosi multipla, per un totale di 351.196 soggetti-anno. La casistica era costituita per il 70% da femmine e aveva un’età media di 39.2 ± 12 anni. Il totale della popolazione risiedeva in latitudini comprese fra 19 gradi e 35 primi e 56 gradi e 16 primi. La latitudine si è associata alla gravità della malattia in maniera non lineare. Infatti, per tutte le latitudini superiori a 40 gradi, cioè per i malati residenti in aree più vicine alla parte nord della terra, il decorso più grave della sclerosi multipla si è correlato ai valori più elevati di latitudine (β = 0.08, intervallo di confidenza al 95% 0.04-0.12). Ciò significa, ad esempio, che, tra una persona residente a Madrid e una che viveva a Copenhagen, c’era una una differenza della gravità della sclerosi multipla di 1.3 punti dell’MSSS. Invece, una relazione di questo tipo non è stata confermata per i malati residenti in aree con latitudine inferiore a 40 gradi (β = – 0.02, intervallo di confidenza al 95% – 0.06-0.03). Inoltre, il raggiungimento del livello finale di disabilità è stato più veloce per i malati con una più bassa esposizione stimata ai raggi ultravioletti B prima dei 6 anni (β = – 0.5, intervallo di confidenza al 95% – 0.6-0.4) e prima dei 18 anni (β = – 0.6, intervallo di confidenza al 95% – 0.7-0.4). La stessa relazione, riguardo al raggiungimento del livello finale di disabilità, è stata confermata per una più bassa esposizione ai raggi ultravioletti B per tutta la vita precedente al momento in cui è stato definito il livello di disabilità (β = – 1.0, intervallo di confidenza al 95% – 1.1-0.9).

Nelle conclusioni gli autori hanno sottolineato che i risultati del loro studio hanno confermato un’associazione fra gravità della malattia e latitudine di residenza per gli abitanti delle zone temperate. Hanno aggiunto che questa relazione dipende principalmente, ma non esclusivamente, dall’esposizione ai raggi ultravioletti di tipo B e che questa contribuisce siaha condizionare il rischio di comparsa della sclerosi multipla sia a determinarne la gravità.

Per meglio interpretare le informazioni relative allo studio, si aggiunge che il territorio dell’Italia è compreso fra le latitudini di 47 gradi e 0.5 primi a nord e 35 gradi e 29 primi a sud. Ciò significa che solo in parte si trova al di sopra dei 40 gradi di latitudine. Inoltre, va considerato che i raggi ultravioletti di tipo B sono fondamentali per la sintesi della vitamina D, che gioca un ruolo importante nel funzionamento del sistema immunitario.

Source: Fondazione Serono SM


Sclerosi multipla e sistema immunitario

La sclerosi multipla è la più importante malattia infiammatoria autoimmune del giovane adulto, rappresentando la seconda causa di disabilità neurologica, tra i 20 e i 40 anni, dopo i traumi da incidenti stradali. Il reperto patologico peculiare è rappresentato dal riscontro di multiple aree di perdita di mielina (demielinizzazione) a livello del sistema nervoso, associata a infiltrati di cellule infiammatorie, quali macrofagi e linfociti, e perdita di neuroni. Dal punto di vista clinico è possibile un’ampia varietà di segni e sintomi quali alterazioni della motilità e della coordinazione motoria, della sensibilità, della vista e dei movimenti oculari, disturbi della sfera sessuale e urinari, perdita di memoria e turbe dell’attenzione, faticabilità e depressione. Nonostante l’enorme mole di studi e ricerche le cause della sclerosi multipla rimangono a tutt’oggi sconosciute. L’ipotesi più accreditata è che si tratti di una patologia multifattoriale in cui diversi fattori di natura genetica e ambientale contribuiscono a innescare una reazione autoimmunitaria rivolta contro costituenti della guaina mielinica, che riveste le fibre nervose, e delle cellule neurali. Le evidenze che supportano un coinvolgimento del sistema immunitario nei meccanismi di sviluppo della malattia derivano dai modelli sperimentali di sclerosi multipla, soprattutto animali, in cui l’inoculazione di alcuni virus o sostanze costituite da frammenti di mielina sono in grado di favorire l’insorgenza di un quadro di malattia molto simile alla sclerosi multipla umana, o dallo studio dei meccanismi d’azione dei trattamenti specifici per la malattia che, che com’è noto, agiscono modulando o sopprimendo il sistema immunitario.

È noto come la sclerosi multipla sia una patologia multifattoriale, al cui sviluppo contribuiscono fattori ambientali e genetici. Sono ormai datati gli studi sulla frequenza di malattia in coppie di gemelli con uno dei due fratelli affetti dalla malattia, o sul rischio di sviluppare la sclerosi multipla da parte dei familiari di primo grado di pazienti affetti, che fanno supporre l’intervento di fattori genetici. Non si tratta di una malattia ereditaria legata alla mutazione di un singolo gene, ma piuttosto di una patologia in cui diverse varianti genetiche possono contribuire ad aumentare il rischio individuale di esserne affetti. Tra i fattori ambientali che probabilmente hanno un ruolo nell’innescare i meccanismi patologici alla base della sclerosi multipla, i più noti sono sicuramente la pregressa infezione da virus di Epstein-Barr, responsabile della mononucleosi infettiva (malattia del bacio), soprattutto in età adolescenziale e i ridotti livelli ematici di vitamina D. Il tipo di diffusione geografica della malattia indica infatti uno stretto rapporto tra la frequenza della sclerosi multipla, la latitudine e le concentrazioni di vitamina D nel sangue dei pazienti. La prevalenza della sclerosi multipla aumenta in generale con la latitudine. Questa osservazione, confermata da molti, studi ha l’eccezione notevole della penisola italiana, dove la prevalenza sembra maggiore nelle regioni meridionali oltre che in Sardegna. Negli ultimi decenni il gradiente di latitudine si è attenuato soprattutto nell’emisfero settentrionale ma non in quello australe. Tra i fattori che caratterizzano le regioni a elevata latitudine vi è una minore quantità di ore di luce solare durante l’anno. Per tale motivo la possibile associazione tra luce solare e sviluppo di sclerosi multipla è stata indagata in molti studi. I livelli di vitamina D sono più bassi in coloro che vivono a latitudini più elevate; bassi valori di vitamina D prima della diagnosi di sclerosi multipla sono associati a un aumento del rischio di sviluppare la malattia.

Secondo l’ipotesi più accreditata, il meccanismo iniziale nello sviluppo della sclerosi multipla è rappresentato dalla comparsa in circolo di cellule del sistema immunitario del tipo linfocitario B e T, autoreattive, cioè in grado di riconoscere come non self alcuni costituenti della mielina e/o dei neuroni, e pertanto responsabili dell’attacco infiammatorio all’interno del sistema nervoso, dopo aver attraversato la barriera emato-encefalica e raggiunto il parenchima cerebrale. I meccanismi alla base del danno tissutale sono rappresentati dal progressivo reclutamento all’interno delle lesioni di ulteriori cellule infiammatorie, quali macrofagi e monociti con azione citotossica, e dalla produzione di sostanze denominate citochine, con azione proinfiammatoria, come l’interferone-γ (IFNgamma), l’interleuchina-17 (IL-17) e il TNFalfa (fattore di necrosi tumorale di tipo alfa). Nei pazienti affetti da sclerosi multipla è stata descritta, inoltre, una ridotta funzionalità di cellule cosiddette regolatorie di tipo linfocitario, definite Treg, che in condizioni fisiologiche controllano la proliferazione di cellule con azione proinfiammatoria e in grado di produrre citochine ad azione antinfiammatoria come l’interleuchina-10 (IL-10).

Negli ultimi anni si sono accumulate una serie di evidenze sperimentali che dimostrano un possibile ruolo dell’alimentazione e della flora batterica intestinale, denominata microbiota, nell’insorgenza e nello sviluppo della sclerosi multipla. Tale ipotesi, se confermata da ulteriori studi, potrebbe aprire la strada a nuovi e più specifici trattamenti. La flora batterica intestinale o microbiota è rappresentata da miliardi di microrganismi, di diverse specie e generi, che popolano le superfici del sistema gastroenterico, in uno stato di simbiosi, ovvero di convivenza e interazione, con reciproco vantaggio sia per l’organismo umano sia per le diverse specie di batteri presenti all’interno dell’intestino. La mucosa intestinale, con il suo microbiota composto prevalentemente da batteri, tra cui predominano specie denominate Firmicutes e Bacteroides, rappresenta un’ampia superficie di contatto tra l’organismo e l’ambiente esterno, fornendo uno stimolo continuo per il sistema immunitario e influenzandone le risposte specifiche; nel contempo l’organismo stabilisce una condizione di tolleranza cosiddetta immunologica nei confronti dei microrganismi ospiti, che ne impedisce l’eliminazione. È stato dimostrato che il sistema immunitario dell’uomo viene “educato” a livello intestinale e di conseguenza qualsiasi variazione che altera l’immunità a livello intestinale è in grado di influenzare la funzione di organi e tessuti anche lontani, sino allo sviluppo di patologie che possono colpire non soltanto il sistema gastroenterico, ma anche il sistema nervoso centrale e periferico (sclerosi multipla, polineuropatie infiammatorie), il pancreas (diabete mellito di tipo 1) o le articolazioni (artrite reumatoide). Questa attività sul sistema immunitario da parte della flora batterica intestinale si esplica attraverso il continuo stimolo alla differenziazione e proliferazione di cellule linfocitarie ad azione regolatoria tipo Treg, in grado di difenderci dagli agenti patogeni esterni o dallo sviluppo di malattie autoimmuni.

Gli studi sugli animali, in cui attraverso l’inoculazione di derivati della mielina è possibile sviluppare una malattia che assomiglia molto alla sclerosi multipla, denominata encefalomielite allergica sperimentale (EAE), hanno dimostrato un possibile ruolo del microbiota intestinale nello sviluppo della malattia nei modelli animali; sono stati infatti osservati una ridotta gravità o un esordio più tardivo di EAE nei topi cresciuti in assenza di microflora intestinale, e il ritorno alla suscettibilità allo sviluppo della stessa dopo il ripopolamento dell’intestino con diverse specie di microrganismi. La presenza della flora batterica intestinale è pertanto un prerequisito necessario per lo sviluppo dell’EAE e probabilmente anche per la sclerosi multipla. Inoltre la sterilizzazione della flora batterica attraverso la massiccia somministrazione di antibiotici si è dimostrata in grado di ridurre la gravità dell’EAE, attraverso la riduzione della concentrazione ematica e cerebrale di sostanze in grado di favorire i processi infiammatori (in particolare IL-17 e IFNgamma) e cellule linfocitarie capaci di distruggere la mielina all’interno del sistema nervoso centrale, denominate Th17.

Conclusioni

Sulla base delle evidenze sperimentali accumulate, condizioni di alterazioni dell’interazione tra batteri intestinali e organismo ospite, chiamate disbiosi, causate per esempio dalla modificazione selettiva di determinati microrganismi con sopravvento di alcuni batteri patogeni, potrebbero instaurarsi condizioni favorenti lo sviluppo di diverse malattie, tra cui la sclerosi multipla. È stato dimostrato che alcuni batteri dall’aspetto filamentoso, appartenenti alla specie dei “batteri filamentosi segmentati”, sarebbero in grado di stimolare la proliferazione di cellule linfocitarie ad azione favorente l’infiammazione come le Th17, a livello sia ematico sia cerebrale, e così favorire lo sviluppo della malattia; diversamente, altre specie batteriche appartenenti alla famiglia dei Bacteroides fragilis favorirebbero la proliferazione di cellule ad azione regolatoria, in grado di bloccare i processi infiammatori e impedire lo sviluppo della sclerosi multipla. Queste osservazioni sono tanto più importanti se consideriamo che i linfociti Th17 sono in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e provocare, nei modelli animali di sclerosi multipla, il danno della mielina; inoltre le citochine da essi prodotti sono presenti in grande quantità nelle placche di demielinizzazione dei pazienti affetti da sclerosi multipla. Uno studio più recente ha analizzato la flora batterica intestinale di pazienti con sclerosi multipla in fase di ricaduta clinica di malattia, dimostrando una riduzione intestinale di batteri appartenenti alla specie Prevotella (in grado di determinare una riduzione della formazione di cellule infiammatorie Th17), e la presenza di due diversi ceppi di Streptococco (Streptococcus oralis e Streptococcus mitis), che solitamente risiedono nella cavità orale e sono in grado di favorire lo sviluppo di infiammazione.

Consigli pratici

La possibilità di manipolare la composizione del microbiota intestinale per influenzare l’equilibrio del sistema immunitario nei pazienti affetti da sclerosi multipla è estremamente affascinante e potrebbe aprire la strada a nuovi trattamenti. Attraverso l’utilizzo di alcuni probiotici, ovvero di integratori alimentari a base di microrganismi vivi, ad azione antinfiammatoria si potrebbe limitare il propagarsi della cascata di eventi infiammatori responsabili dei processi di demielinizzazione e degenerazione cellulare alla base della malattia. È importante, d’altra parte, mantenere una corretta alimentazione al fine di ostacolare il metabolismo e lo sviluppo delle specie batteriche patogene. Si stanno sempre più accumulando una serie di dati circa la capacità di alcune sostanze nutritive di modificare la flora batterica intestinale con effetti benefici sull’organismo, come ad esempio gli acidi grassi polinsaturi omega-3, contenuti nei pesci, nell’olio d’oliva e nella frutta secca che favoriscono, a livello intestinale, la proliferazione di microrganismi batterici capaci di produrre sostanze ad azione antinfiammatoria.

Source: Fondazione Serono SM


Relazione tra sesso e andamento nel tempo della sclerosi multipla

Autori danesi hanno eseguito uno studio per valutare l’effetto del sesso sull’attività della malattia e sull’accumulo di disabilità delle persone con sclerosi multipla. I risultati hanno indicato che nei due sessi evolvono in modo diverso infiammazione e neurodegenerazione e ciò si ripercuote sull’andamento clinico della malattia.

Magyari e Koch-Henriksen si sono posti l’obiettivo di verificare la presenza di differenze tra i due sessi dell’attività della malattia e della gravità della sclerosi multipla e di definire anche l’effetto del momento della comparsa della stessa e della sua durata sugli stessi aspetti. Il Registro Danese della sclerosi multipla ha previsto che tutti i cittadini di quel Paese nei quali una sclerosi multipla recidivante remittente era comparsa nel 1996 e che avevano ricevuto un trattamento modificante la malattia, venissero seguiti da allora con visite di controllo 1 o 2 volte l’anno, annotate nel Registro. I dati dello studio di Magyari e Koch-Henriksen sono stati attinti da tale archivio e il confronto tra maschi e femmine è stato fatto considerando la probabilità inversa di essere femmina; la frequenza di recidive e le modificazioni del punteggio della EDSS sono state analizzate con dei modelli lineari generali compensati e la regressione compensata di Cox è stata impiegata per definire il rapporto di rischio tra maschi e femmine riguardo ai diversi livelli di EDSS. Sono stati inclusi nell’analisi 3.028 maschi e 6.619 femmine. Il rapporto compensato di frequenza delle recidive, tra femmine e maschi, è stato di 1.16 (intervallo di confidenza al 95% 1.10-1.22), definendo un rischio maggiore del 16% per le donne, che però non si è osservato più dopo i 50 anni di età. L’aumento annuale del punteggio dell’EDSS è stato di 0.07 nei maschi (intervallo di confidenza al 95% 0.05-0.08) e di 0.05 nelle femmine (intervallo di confidenza al 95% 0.04-0.06), con una differenza statisticamente significativa tra i sessi (p=0.017). Prendendo le femmine come riferimento, il rapporto di rischio di raggiungere il punteggio di 4 dell’EDSS nei maschi è stato di 1.34 (intervallo di confidenza al 95% 1.23-1.45; p<0.001) e quello di arrivare a 6 di 1.43 (intervallo di confidenza al 95% 1.28-1.61; p<0.001). I risultati hanno anche indicato che il ritardo nella diagnosi non ha mostrato differenze tra i due sessi.

Nelle conclusioni gli autori hanno evidenziato che i risultati della loro ricerca hanno dimostrato che nelle femmine tende a esserci un’attività più intensa dell’infiammazione fino alla menopausa, per un verosimile effetto degli ormoni sessuali, e che ciò favorisce un maggior numero di recidive. Nei maschi tende a essere più grave la neurodegenerazione, specialmente dopo i 45 anni, e ciò peggiora l’evoluzione della disabilità.      

Source: Fondazione Serono SM


Accessi in Pronto Soccorso dei malati di sclerosi multipla: quali fattori li condizionano?

Un gruppo di specialisti italiani ha eseguito uno studio per valutare la probabilità di ricovero in Pronto Soccorso dei malati con sclerosi multipla nella Regione Campania. I risultati hanno indicato una frequenza del 17% di accessi al Pronto Soccorso e un effetto del trattamento con i farmaci modificanti la malattia nel ridurre il rischio di accedere a tale struttura.

Negli ultimi vent’anni sono stati introdotti nella pratica clinica numerosi farmaci modificanti la malattia per la cura della sclerosi multipla. Essi possono ridurre l’attività della patologia, la frequenza delle recidive e, almeno in parte, la progressione della disabilità, con un livello variabile di rischio di effetti indesiderati. In generale, le persone affette dalla sclerosi multipla hanno frequenze di ricovero che arrivano al 7.5% su periodi di osservazione di tre mesi. Sia i sintomi della sclerosi multipla, che quelli di altre malattie che in alcuni casi le si associano, che la comparsa di effetti indesiderati dei trattamenti possono richiedere accessi al Pronto Soccorso. Moccia e colleghi hanno eseguito uno studio per verificare l’assistenza erogata ai malati di sclerosi multipla presso il Pronto Soccorso, per valutare i fattori che favoriscono l’accesso di questi soggetti a tale struttura e per individuare le cause di esiti negativi del ricorso al Pronto Soccorso. Si è trattato di una ricerca di popolazione, basata sui dati del Servizio Sanitario Nazionale raccolti in Campania tra il 2015 e il 2019. Le persone affette da sclerosi multipla in questa Regione sono seguite da 10 Centri dedicati e possono accedere al Pronto Soccorso di 30 Ospedali, che servivano, al 1° gennaio 2020, una popolazione di 5.801.692 abitanti. Sono stati analizzati in particolare: le cartelle di dimissione degli Ospedali, le prescrizioni di farmaci e i dati relativi ai malati ambulatoriali. I risultati hanno indicato che, su un totale di 5.765 malati di sclerosi multipla presenti in Regione, 1.001 hanno avuto 1.225 accessi in Pronto Soccorso. I fattori associati a un più frequente ricorso a tali strutture sono stati l’età (rapporto di rischio 1.02; intervallo di confidenza al 95% 1.01-1.03; p<0.01) e la presenza di malattie associate alla sclerosi multipla (rapporto di rischio 1.62; intervallo di confidenza al 95% 1.54-1.71; p<0.01). La probabilità di accedere al Pronto Soccorso è invece diminuita di circa l’80% nei malati in cura con farmaci modificanti la malattia. In particolare, rispetto a chi non era in terapia, per quelli in trattamento con interferone beta, con interferone peghilato o con glatiramer acetato il rapporto di rischio è stato di 0.19 (intervallo di confidenza al 95% 1.15-0.25; p<0.01), per chi assumeva teriflunomide, dimetilfumarato o fingolimod è stato di 0.18 (intervallo di confidenza al 95% 0.14-0.23; p<0.01) e per le persone in cura con alemtuzumab, cladribina, natalizumab od ocrelizumab il rapporto di rischio è stato di 0.21 (intervallo di confidenza al 95% 0.14-0.29; p<0.01). Considerando solo i soggetti in cura con i farmaci modificanti la malattia, non si è rilevata un’associazione tra probabilità di accesso al Pronto Soccorso e tipo di trattamento assunto. Nella casistica è stata analizzata anche la relazione tra aderenza alla terapia e rischio di accesso al Pronto Soccorso e si è rilevato che, chi aveva una maggiore aderenza, presentava una riduzione dell’82% della probabilità di afferire a tale struttura. Tra gli esiti dell’assistenza ricevuta al Pronto Soccorso è stata valutata la probabilità di un nuovo accesso alla stessa struttura nei 12 mesi successivi ed essa è risultata correlata solo a un indice riferito alla presenza di malattie associate, vale a dire che quante più erano queste ultime, o quanto più erano gravi, tanto più frequenti erano gli ulteriori ricoveri. Il rischio di decesso, come esito dell’accesso al Pronto Soccorso, ha mostrato un’associazione solo con l’età (rapporto di probabilità 1.06; intervallo di confidenza al 95% 1.01-1.10; p<0.01) e la stessa relazione si è osservata con il trasferimento dal Pronto Soccorso a una struttura di assistenza a lungo termine (rapporto di probabilità 1.03; intervallo di confidenza al 95% 1.01-1.06; p=0.01). Il costo stimato complessivo degli accessi al Pronto Soccorso dei malati di sclerosi multipla è stato di 4.143.765 Euro.

Nelle conclusioni gli autori hanno evidenziato che, secondo i risultati della loro ricerca, ci sono molti fattori che aumentano la probabilità di accesso al Pronto Soccorso per i malati di sclerosi multipla e la maggior parte di essi si può prevenire. Se la malattia è curata in Centri dedicati, se c’è un’aderenza adeguata ai trattamenti con farmaci modificanti la malattia e se c’è una gestione coordinata delle patologie associate, si riduce il ricorso all’assistenza del Pronto Soccorso e questo diminuisce il peso sociale, medico ed economico che tale assistenza comporta.          

Source: Fondazione Serono SM