In questo articolo sarà descritto il dolore neuropatico cronico nella sclerosi multipla (SM), focalizzando l’attenzione soprattutto sulla classificazione, fornendo elementi sui correlati anatomo-funzionali, senza però entrare in merito al trattamento.

Anzitutto come definire il dolore in generale? La International Association for the Study of Pain (IASP) lo definisce come “un’esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, associata con, o simile a quella associata con, un effettivo o potenziale danno tissutale” [1].

Il dolore può essere classificato sulla base dell’interpretazione dei meccanismi patogenetici, mediante la correlazione sintomo/segno. In altre parole, possiamo riconoscere diversi tipi di dolore grazie all’integrazione, da parte del clinico, di tutte le informazioni disponibili: le caratteristiche del sintomo descritte dal malato, l’osservazione del comportamento di quest’ultimo, i segni evidenziabili all’esame obiettivo (ad es., la coesistenza di un disturbo di sensibilità, la dolorabilità alla mobilizzazione di un’articolazione, lo scatenamento attraverso un trigger ecc.) e i risultati di indagini di laboratorio e strumentali [2,3].

La classificazione del dolore è però storia complessa nella nosografia e oggettivamente difficile alla luce del criterio di base utilizzato, con complesse implicazioni all’interno del costrutto medico-scientifico di riferimento [4].

Per superare tale complessità, ad oggi, possiamo fare riferimento alle indicazioni della IASP.

Il dolore neuropatico è stato definito dalla IASP come un dolore che è correlabile a una lesione primaria o a una disfunzione a qualsiasi livello del sistema nervoso [5]. In realtà la IASP stessa, più recentemente [6], fa riferimento a una definizione che vede il dolore neuropatico semplicemente descritto come quello causato da una lesione o malattia che colpisce il sistema nervoso nella sua componente somatosensitiva [7]. Senza dubbio, la dimostrazione di una lesione a livello del sistema nervoso, clinicamente compatibile, soprattutto per la distribuzione topografica delle algie, rafforza la classificazione del dolore come neuropatico [3].

La recente classificazione IASP del dolore cronico per la International Classification of Diseases (ICD-11) prevede di classificare il dolore neuropatico cronico associato alla SM nelle forme di “dolore cronico secondario”, dove la qualità di “cronico” è definita sulla base della persistenza della sindrome algica per più di 3 mesi [6].

Il dolore neuropatico può essere spontaneo o provocato da stimoli sensitivi, acquisendo il carattere di iperalgesia e/o di allodinia. Per iperalgesia si intende un’esagerata percezione dolorosa a uno stimolo nocicettivo. L’iperalgesia può associarsi a una riduzione della sensibilità tattile: ad esempio, la puntura con spillo può provocare un dolore intenso, sproporzionato, e nel contempo il riconoscimento delle caratteristiche della “puntura” può essere alterato a confronto di altre zone cutanee non interessate. Si distingue col termine allodinia quella condizione in cui il dolore avviene in risposta a uno stimolo che in condizioni normali non evoca dolore.

Il dolore neuropatico cronico è percepito nel territorio che è somatotopicamente correlabile alla struttura del sistema nervoso lesionata; nel caso delle forme secondarie a SM, ovviamente, si fa riferimento al sistema nervoso centrale (“dolore neuropatico cronico centrale”).

D’altra parte, si pone un problema classificativo per la compromissione SM-correlata di aree del sistema nervoso al confine tra la classica e convenzionale distinzione anatomica tra sistema nervoso periferico e centrale. Esempio di ciò è la nevralgia trigeminale secondaria a SM. Quest’ultima, seppure dovuta a una lesione demielinizzante a livello della regione ventrolaterale del ponte, è infatti attualmente classificata nell’ambito del “dolore neuropatico cronico periferico” [6] perché in realtà dovuta alla compromissione del segmento intrapontino del nervo trigemino, in un’area anatomica localizzata tra la zona di ingresso della radice trigeminale e i nuclei sensitivi del trigemino. Nella SM, come nella classica nevralgia trigeminale idiopatica, il dolore è caratterizzato da improvvisi parossismi dolorosi (di pochi secondi o qualche minuto) trafittivi, “a coltellata” o “scossa elettrica”, unilaterali che recidivano e che si distribuiscono a livello di una o più branche del nervo trigemino. Tali parossismi sono tipicamente evocati dalla stimolazione cutanea o mucosa nell’ambito del territorio trigeminale interessato (zone trigger), ad esempio da toccamenti, a volte solo sfioramenti, del volto oppure da azioni come parlare, masticare ecc. [8].

La già citata classificazione IASP del dolore cronico per la International Classification of Diseases (ICD-11) prevede proprio un “dolore neuropatico centrale cronico causato da SM” [6]. Si tratta di un dolore che si ritiene causato da una lesione demielinizzante di una regione del sistema nervoso centrale che presiede aree di integrazione somatosensitiva o che interessa una via sensitiva afferente o di connessione tra tali aree. Il dolore può essere spontaneo o evocato e può assumere le caratteristiche suddette di iperalgesia o allodinia. Come già accennato in generale, è elemento fondamentale di riconoscimento clinico un coesistente deficit di sensibilità (ipoestesia) oppure una disestesia (tatto, temperatura ecc. destano percezioni dello stimolo diverse dal normale) e/o parestesia (insorgenza di una sensazione elementare come formicolio, solletico ecc., in assenza di una stimolazione specifica); sintomi sensitivi che indicano compromissione di una zona del sistema nervoso centrale nella regione corporea dove si proietta il dolore.

Nella SM che si accompagna a interessamento motorio piramidale è molto frequente un dolore che è associato alla spasticità. In realtà questo tipo di dolore non è classificato come neuropatico ma come dolore muscoloscheletrico [6].

Di difficile inserimento nella tassonomia del dolore che, ormai da anni, sta proponendo la IASP, resta di difficile classificazione il “fenomeno di Lhermitte” descritto da Jean Jacques Lhermitte, neuropsichiatra francese, in un caso di SM nel 1924 [9]. Il fenomeno di Lhermitte è caratterizzato da una sensazione parossistica a tipo scarica elettrica, in realtà non sempre riportata come dolorosa dal paziente, provocata dalla flessione del capo, che dalla base del collo si propaga lungo il rachide o verso altre parti del corpo; si presenta per un certo periodo di tempo (da giorni a mesi in genere) per poi risolversi; è correlato a una placca demielinizzante a carico delle colonne dorsali del midollo cervicale che causa la generazione ectopica di un impulso nocicettivo lungo le vie afferenti sensitive [10]. In effetti, non si trova citato nell’ambito del suddetto capitolo del “dolore neuropatico centrale cronico causato da SM” [6], verosimilmente in conseguenza delle caratteristiche parossistiche e per il fatto che tende a risolversi anche prima dei 3 mesi (questo però è vero anche per la nevralgia trigeminale che invece trova il suo posto nella classificazione IASP).

Secondo il PaIMS Study Group [11] il dolore neuropatico è la sindrome dolorosa prevalente nella SM. In particolare, la sindrome algica in assoluto più frequente è quella che i ricercatori hanno classificato come “dolore disestesico”, rilevato nel 18% dei casi nella popolazione italiana studiata. Il “dolore disestesico” può essere classificato nel “dolore neuropatico cronico secondario a SM” nella ormai più volte citata classificazione IASP [6]. C’è sufficiente evidenza che il dolore disestesico sia direttamente correlato alla formazione ed evoluzione delle placche nell’encefalo e nel midollo spinale delle persone affette da SM [12,13].

Nella SM è frequente la compromissione delle vie sensitive che includono il tratto spinotalamico (la cui lesione si correla con caratteristiche di dolore più acuto, trafittivo, lancinante ecc.) e il sistema spino-reticolo-talamico (dolore sordo, urente, non ben localizzabile ecc.). Questi sistemi ascendenti proiettano a diverse e complesse strutture neuronali (la cosiddetta “pain matrix”), anzitutto a livello del talamo e della corteccia somatosensoriale secondaria, ma poi anche a livello della corteccia anteriore del cingolo, dell’insula e della sostanza grigia periacqueduttale, come dimostrato in soggetti sani con tecniche di risonanza magnetica funzionale [14,15].

L’alterazione di questa “pain matrix”, a seguito delle classiche placche di demielinizzazione e della più diffusa neuro-infiammazione delle cosiddette “sostanza bianca apparentemente normale” e ”sostanza bianca diffusamente anormale” [16], determina una continua anomala risposta a stimoli nocicettivi transitori causando dolore cronico.

Altro classico meccanismo fisiopatologico del dolore neuropatico è quello associato con la ipereccitabilità dei neuroni nocicettivi gangliari della radice dorsale. A questo riguardo, alcuni studi su modelli animali di SM hanno permesso di ipotizzare una compromissione dei neuroni sensitivi periferici dei gangli della radice dorsale (e anche dei gangli trigeminali) in risposta alla presenza di neuro-infiammazione a livello del sistema nervoso centrale [17]. Tale ipereccitabilità dei neuroni gangliari della radice dorsale determina che i segnali nocicettivi siano trasmessi centralmente anche in assenza di reali stimoli nocicettivi periferici, promuovendo alla fine il fenomeno della cosiddetta “sensibilizzazione centrale” [18], in cui i neuroni talamici e delle altre strutture della “pain matrix” possono diventare autonomamente iperattivi, con attività neuronale che si innesca indipendentemente da un’attivazione afferente dalla periferia.

In più, c’è il ruolo svolto a livello delle corna dorsali del midollo spinale, messo in evidenza dalle fondamentali ricerche di Melzack e Wall (1965), padri della “teoria del cancello” (Gate Control Theory) che rappresenta una pietra miliare della fisiopatologia del dolore [19].

In parole semplici, la complessità del dolore neuropatico cronico associato alla SM può riconoscere correlati anatomo-funzionali patologici a diversi livelli: da un’alterazione delle afferenze nocicettive, a un’alterazione della “pain matrix” e da un mal funzionamento delle vie inibitorie discendenti.

Infine, un minimo cenno è dovuto al fatto che le correlazioni anatomo-funzionali della fisiopatologia del dolore sono sottese da una ancor più complessa interazione tra sistemi neurotrasmettitoriali (GABAergico su tutti) e neuro-infiammazione [20].

La fisiopatologia del dolore, a maggior ragione nella SM, è dunque complessa, e spesso diversi tipi di dolore coesistono nello stesso paziente, soprattutto in coloro che hanno una disabilità motoria elevata in forme di SM progressiva [11]. Il dolore è correlato alla disabilità [11,21].

Inoltre, non dobbiamo scordare il ruolo della sfera emotivo-affettiva che ha un complesso legame fisiopatologico con il dolore. La componente emozionale del dolore è egualmente importante alla componente somatosensitiva. Il dolore nella SM è strettamente correlato alla fatica SM-correlata, alla depressione e alla disabilità; modifiche di uno di questi sintomi si associano a modifiche degli altri [21]. Sulle possibili spiegazioni e meccanismi comuni fisiopatologici non c’è spazio per soffermarsi. Vale qui solo ricordare che il dolore in sé non è il solo elemento di “sofferenza”, perché esso si associa ad altre componenti tra cui, come detto, l’abbassamento del tono dell’umore, con sentimenti di insicurezza e di ridotta stima di sé, perdita della libido, perdita dell’appetito, ansia, sentimenti di grave disabilità e disturbi del sonno; i pazienti con dolore possono assumere comportamenti di “sick role“, spesso soffrendo dell’anticipazione del dolore (del “pensiero di sentire dolore”) e delle limitazioni imposte in alcune attività che il paziente associa alla possibilità che si scateni dolore [22]. D’altro canto, fattori psicologici modulano la percezione del dolore.

Il dolore, in generale, è associato a compromissione cognitiva nella SM, in particolare recentemente è stata riportata un’associazione tra dolore e alterazione delle funzioni esecutive [23]. Pertanto, più alterate sono le funzioni esecutive, maggiormente è frequente dolore, che peraltro proprio in conseguenza del deficit cognitivo potrebbe essere più difficile da descrivere da parte del paziente, ponendolo a rischio di un mancato trattamento.

È importante ricordare che il peso del dolore sulle attività della vita quotidiana e sulla qualità di vita del paziente con SM [24,25], che apparentemente dovrebbe essere ovvio, è in realtà da poco tempo tenuto in debita considerazione dai medici. Ne è prova il fatto che, nel già citato studio italiano PaIMS [11], solo il 9,4% dei partecipanti stava assumendo una terapia per il dolore e che uno studio nord-americano, basato sul North American Research Committee on MS (NARCOMS) Patient Registry (10.176 pazienti), ha riportato la presenza di una scarsa soddisfazione da parte dei pazienti nella gestione del problema dolore [26].

L’attenzione a un approccio palliativo alla SM con l’avanzare della disabilità è pertanto fondamentale anche per intercettare le necessità di trattamento del dolore [27] ed è questo che auspichiamo possa sempre più realizzarsi nei Centri SM italiani.

Source: Fondazione Serono SM