Il rapporto vissuto costantemente con le persone affette da sclerosi multipla (SM) durante le valutazioni e i percorsi psicologici ha fatto emergere un aspetto ricorrente e di notevole importanza, ovvero la frequente presenza di eventi traumatici nelle storie di vita, vissuti durante l’infanzia ma anche da adulti. Eventi stressanti che spesso si verificano in concomitanza di ricadute o di progressioni della malattia oppure accadimenti molto lontani nel tempo ma spesso poco elaborati internamente.

Sappiamo che i traumi infantili influenzano in modo significativo lo sviluppo psicologico, sociale, emotivo e cognitivo del bambino, ma risulta ormai evidente dalle ricerche scientifiche che esistono conseguenze anche sullo sviluppo cerebrale e sulle funzioni neuropsicologiche, infantili e adulte. Le evidenze scientifiche oggi disponibili, per quanto preliminari, suggeriscono che i sistemi di risposta allo stress rivestono un ruolo di primo piano. L’esperienza del trauma sembra attivare una risposta anormale allo stress, che interferisce con il fisiologico sviluppo di aree dell’encefalo più vulnerabili a stimoli stressogeni, che si ripercuotono negativamente su diversi domini cognitivi.

Le esperienze traumatiche infantili influenzano, dunque, il normale sviluppo cerebrale attraverso l’attivazione anomala di questi sistemi biologici dello stress [1], i quali, evoluzionisticamente utili per difenderci dai pericoli ambientali, diventano però disfunzionali nel momento in cui si attivano in modo parossistico; tanto che si è osservata frequentemente la presenza di alterazioni di rilievo nei meccanismi di mielinizzazione del cervello in via di sviluppo, con ripercussioni negative sulle strutture più ricche di fibre mieliniche e con conseguenze sulle abilità cognitive, in particolare sulle funzioni esecutive.

Il percorso di conoscenza e valutazione, in ottica biopsicosociale, di una persona con diagnosi di sclerosi multipla, e cioè con una visione totale della persona stessa da tutti i punti di vista, consente un efficace trattamento neuropsicoterapeutico in grado di intervenire sui deficit cognitivi e sulla compromissione psicologica.

La letteratura medica degli ultimi vent’anni si è ampiamente dedicata a indagare il ruolo dello stress acuto, o per meglio dire la risposta psico-neuro-endocrino-immunologica al trauma psicologico, come elemento scatenante l’insorgenza o l’aggravamento della sclerosi multipla.

Lo studio del 2000, pubblicato su Neurology da Mohr et al. [2], esamina la relazione tra eventi di vita stressanti e disagio psicologico e il successivo sviluppo di lesioni cerebrali che aumentano il gadolinio (Gd+). Per il campione esaminato dallo studio (36 pazienti con SM R-R) è stato rilevato un aumento delle probabilità di sviluppare nuove lesioni cerebrali (Gd+ 8 settimane dopo) a seguito di conflitti e dell’interruzione della routine per via di eventi stressanti. Il risultato dello studio segue l’ipotesi che il trauma e il disagio psicologico siano associati all’aggravamento della malattia nella SM. Questo è il primo studio longitudinale prospettico della relazione tra eventi di vita stressanti, disagio psicologico e attività della malattia misurata dalla risonanza magnetica cerebrale (Gd+).

In un articolo della rivista britannica BMJ [3] è stata studiata la relazione tra gli eventi di vita stressanti non relativi alla malattia e il manifestarsi di aggravamenti delle forme recidivanti-remittenti, e si è giunti alle medesime conclusioni: gli eventi traumatici sono stati associati a un aumento delle esacerbazioni nella sclerosi multipla. Dei 73 pazienti inclusi nello studio, di età compresa tra i 18 e i 55 anni e provvisti di capacità motoria, il 96% (70 persone) ha riportato almeno un evento stressante. Durante lo studio si sono verificate 134 riacutizzazioni in 56 pazienti e 136 infezioni in 57 pazienti.

Un articolo del Journal of Pharmacology and Experimental Therapeutics [4] ha studiato a livelli macroscopici il meccanismo cellulare coinvolto nello stress, illustrando come sia l’ormone implicato nella risposta agli stress, responsabile della corticotropina, sia i mastociti erano coinvolti nella regolazione della barriera emato-encefalica e che probabilmente erano responsabili anche dei disturbi infiammatori del cervello aggravati da stress acuto.

Sono ormai numerose le ricerche che supportano la tesi dell’esistenza di una relazione tra stress psicologico, aggravamento clinico e sviluppo di nuove lesioni cerebrali e ancora di più i ricercatori evidenziano come malattie neurodegenerative croniche e pericolose per la vita possono essere associate al disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Lo studio di Ostacoli et al. (2013) [5] è stato un’indagine sulla prevalenza del disturbo da stress post-traumatico nei pazienti con SM e l’identificazione di determinanti significativi del PTSD. Duecentotrentadue pazienti con SM sono stati reclutati consecutivamente e sottoposti a screening per la presenza di PTSD con l’impatto dell’Event Scale-Revised, corroborato dall’intervista clinica strutturata per il DSM-IV. Inoltre, ai partecipanti è stata somministrata la scala di ansia e depressione ospedaliera e la scala di gravità della fatica. Dodici pazienti (12/232, 5,17%) sono stati diagnosticati come affetti da PTSD. Gli autori reputano necessarie ulteriori ricerche sulle caratteristiche psicologiche delle malattie neurodegenerative al fine di pianificare trattamenti adeguati e migliorare la qualità della vita dei pazienti.

La lettura di questi risultati evidenzia che il sistema immunitario risponde ai segnali di sofferenza dell’organismo: di solito tende a mantenere l’integrità della persona, ma quando il trauma emotivo è intenso e violento, l’integrità psichica può vacillare. La sensazione di inadeguatezza che spesso si affianca a questi stati di sofferenza emotiva è la stessa situazione che vive il sistema immunitario, la sua azione può diventare confusa e la malattia autoimmune si può presentare con maggiore facilità. La sclerosi multipla con i suoi molteplici aspetti interessa tutte le aree di funzionamento dell’individuo: fisico, psicologico, cognitivo, comportamentale e affettivo/relazionale. Di fronte a una persona in difficoltà, che richiede aiuto, è importante conoscere la patologia organica di cui soffre: il che significa rendersi conto di quali fattori eziopatogenetici possano averla scatenata, quali sintomi che può provocare, quali terapie dovrà affrontare e quali ripercussioni tutto ciò può comportare nelle sue relazioni e nel suo funzionamento generale (lavorativo e sociale). Non vanno assolutamente trascurati la storia personale e l’assetto psicologico prevalente della persona, oltre al contesto familiare e sociale in cui è inserito: tutti aspetti che rendono ogni patologia soggettiva, come dovrà esserlo il trattamento idoneo alle specifiche problematicità.

La patologia neurologica, in particolare, ha necessità di una lettura multifattoriale, per non rischiare di trascurare elementi importanti.

Per riuscire in questo inquadramento viene in aiuto il modello biopsicosociale, che considera lo stato di salute e di malattia determinato da fattori sia biologici sia psicologici e sociali. Questo modello, che analizza il concorrere di più variabili, promuove l’obbligatorietà di una relazione tra le varie figure professionali, il paziente e la famiglia. Lo psicologo psicoterapeuta deve assumere competenze della neuropsicologia, della neurologia e della psicoterapia in modo che il paziente venga trattato sia rispetto alla personalità pregressa e attuale, sia cognitivamente che socialmente, per garantire un ottimale inserimento nella quotidianità.

La neuropsicoterapia è la dimostrazione dell’utilità della visione olistica dell’individuo verso strategie riabilitative di successo, dove sono elaborati contemporaneamente i sentimenti negativi legati alla perdita del normale funzionamento, l’accettazione e il lavoro di recupero dei deficit presenti, la ricerca di nuovi equilibri esistenziali e il rinforzo dell’autostima, affinché vi possa essere un funzionale inserimento sociale. In questa prospettiva la presa in carico del paziente ha come obiettivo la definizione e la riabilitazione dei deficit ma anche l’integrazione delle risorse dell’individuo nel suo contesto di vita [6].

Source: Fondazione Serono SM