La relazione tra stress e sclerosi multipla è stata oggetto di molteplici ricerche e sembra essere bidirezionale: da una parte la malattia rappresenta di per sé una fonte di stress, a causa dell’esordio nelle fasi più produttive della vita, dell’imprevedibilità del decorso e dell’impatto sulla qualità della vita (QoL); dall’altra, è stato più volte ipotizzato che gli eventi stressanti possano avere un ruolo nella patogenesi della sclerosi multipla o nella comparsa delle ricadute. Il razionale biologico per sostenere tale relazione è rappresentato dall’ipotesi, documentata da ricerche condotte a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, che lo stress psicologico possa influenzare i meccanismi immunitari, interagendo con il sistema nervoso vegetativo e il sistema endocrino dell’organismo. Vi sono evidenze che sottolineano come il livello di QoL, espressione dello stato di benessere e di soddisfazione dell’individuo, sia un fattore di rischio per lo sviluppo di diverse condizioni patologiche; la ricorrenza di eventi stressanti (ES) nel corso della vita si associa a una maggiore esposizione a eventi morbosi e a un aumento della mortalità [1] . Tuttavia, nonostante i numerosi lavori pubblicati, le evidenze scientifiche di una forte relazione tra ES, insorgenza di sclerosi multipla, frequenza di riacutizzazioni cliniche e progressione della malattia sono controverse.

L’implicazione dello stress come potenziale fattore di rischio per lo sviluppo delle manifestazioni cliniche della sclerosi multipla si deve a Jean-Martin Charcot che nel 1879, nelle sue “Lectures on Disease of the Nervous System”, ipotizzò che cambiamenti negativi delle condizioni personali e sociali degli individui potessero contribuire al manifestarsi della malattia [2]. Uno dei primi studi che confermò un maggior numero di eventi stressanti nei pazienti con sclerosi multipla rispetto ai soggetti di controllo, affetti da altre malattie neurologiche o reumatologiche, fu pubblicato da Warren nel 1982 [3]. Gli ES ricorrevano nel 79% dei pazienti con sclerosi multipla contro il 54% dei controlli. Nel 1988 fu pubblicato uno studio prospettico di 55 pazienti con sclerosi multipla di tipo recidivante-remittente, sottoposti a test di rilevazione di ES ogni 4 mesi sino a quando si rilevava una riacutizzazione clinica di malattia. I pazienti furono seguiti per 20 mesi. Nei 25 casi in cui si verificò una ricaduta di malattia gli ES non erano più numerosi rispetto a quelli registrati in un gruppo di controllo di 30 soggetti, durante un periodo di durata comparabile [4]. Una metanalisi condotta nel 1999 da un gruppo di ricercatori dell’American Academy of Neurology sulle possibili correlazioni tra ES e sclerosi multipla concludeva che lo stress psicologico era implicato in qualche modo nell’attività di malattia in corso di sclerosi multipla, ma le evidenze scientifiche erano carenti, probabilmente a causa dei limiti metodologici dei vari studi. Infatti la stessa definizione di evento stressante non è unanimemente condivisa in quanto comprensiva di un’ampia gamma di evenienze (problemi di salute dei familiari più stretti, stress da lavoro, eventi correlati alla casa/auto, eventi morbosi non correlati alla sclerosi multipla, problemi finanziari, lutti, divorzio, matrimonio ecc.). D’altra parte potrebbe non essere l’evento in sé a definire le caratteristiche di ES, quanto la risonanza emotiva nel soggetto esposto, quindi le conseguenze psicologiche in grado di determinare. Le strategie di coping, che possono essere definite come l’insieme di tentativi comportamentali e cognitivi messi in atto da qualunque persona, per far fronte a una particolare condizione percepita come stressante, con lo scopo di superarla, di evitare l’esposizione a essa o di ridurne gli eventuali effetti negativi, sono differenti da individuo a individuo e rappresentano le differenze individuali nel modo di reagire a eventi di vita traumatici. Lo stesso nesso temporale tra un ES e le relative conseguenze è un parametro variabile e confondente in molti studi: nel caso per esempio di un lutto, vi possono essere effetti immediati legati alla perdita di un proprio caro, che può essere avvenuta in modo drammatico e improvviso oppure al termine di una lunga malattia; ma si possono avere effetti a distanza legati per esempio alla perdita del sostegno economico. Gli studi retrospettivi d’altra parte sono viziati da errori legati alle difficoltà dei pazienti a ricordare tutti gli ES.

Al fine di verificare se l’ipotesi di una correlazione tra stress e sclerosi multipla fosse plausibile dal punto di vista biologico, Mohr nel 2000 [5] pubblicò uno studio riguardante 36 pazienti con forma recidivante-remittente di sclerosi multipla osservati in modo prospettico, con controlli ogni 4 settimane per 100 settimane: fu dimostrata una correlazione tra sviluppo di nuove lesioni in risonanza magnetica (RM), captanti mezzo di contrasto, espressione di attività radiologica di malattia e l’occorrenza di ES acuti (lutti, separazioni, tracolli economici) nelle 8 settimane precedenti. La correlazione era più forte per “conflitti ed eventi traumatici di rottura”, quali separazioni, morte di una persona cara o perdita del posto di lavoro. In uno studio successivo pubblicato nel 2002 [6], l’85% delle esacerbazioni acute di malattia di 23 pazienti con sclerosi multipla, seguiti per oltre un anno in maniera prospettica, correlava con la comparsa di ES nelle settimane precedenti, al punto da far concludere gli autori che “lo stress è un potente trigger di attività clinico-radiologica di malattia” [7]. Gli studi successivi, effettuati con maggiore rigore metodologico confermano sostanzialmente l’associazione tra eventi stressanti e insorgenza di ricadute cliniche di malattia in corso di sclerosi multipla e/o formazione di nuove lesioni in RM.

Non vi sono invece dati sufficienti per ritenere che eventi stressanti possano favorire lo sviluppo della sclerosi multipla o influenzare il decorso a lungo termine della malattia. Uno studio pubblicato nel 2003 che ha valutato in modo prospettico la relazione tra eventi stressanti e rischio di ricadute, in pazienti con forma recidivante-remittente di sclerosi multipla, ha dimostrato che l’occorrenza di un ES si associava a un rischio doppio di riacutizzazioni, rispetto al gruppo di controllo, nelle 4 settimane successive all’evento [8]. Gli autori concludevano che le modificazioni funzionali dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con il conseguente aumento delle concentrazioni ematiche degli ormoni glucocorticoidi (cortisolo) e del sistema simpatico indotte dallo stress, con maggior produzione di adrenalina e noradrenalina, potevano indurre infiammazione attraverso l’induzione di citochine pro-infiammatorie e l’attivazione di particolari subset di linfociti, in grado di aggredire le strutture nervose. Nei modelli animali di encefalite allergica sperimentale (EAE), malattia assimilabile alla sclerosi multipla umana, l’esposizione a condizioni di stress sembra in grado di determinare aumenti del cortisolo plasmatico, attraverso l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e la disregolazione del sistema immunitario, caratterizzata da un aumentato reclutamento di cellule linfocitarie di tipo T e B, ma anche di macrofagi e monociti, ad azione favorente l’infiammazione, e dalla produzione di sostanze denominate citochine, con azione proinfiammatoria, come l’interferon-γ (IFN-γ), l’interleuchina-17 (IL-17) e il TNFα (fattore di necrosi tumorale di tipo α). È stata inoltre descritta una ridotta funzionalità di cellule cosiddette regolatorie, di tipo linfocitario, definite Treg, che in condizioni fisiologiche controllano la proliferazione di cellule con azione infiammatoria e in grado di produrre citochine ad azione antinfiammatoria come l’interleuchina-10 (IL-10).

D’altra parte, è stato dimostrato come condizioni di stress cronico siano in grado di determinare riduzione delle risposte immunitarie e alterazioni disregolatorie dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con minor responsività dei recettori periferici del cortisolo: questa condizione favorirebbe l’insorgenza di infezioni e l’attivazione, secondo alcuni ricercatori, dei meccanismi infiammatori responsabili delle riacutizzazioni di malattia in corso di sclerosi multipla. Pertanto, ES acuti indurrebbero nei pazienti con sclerosi multipla una disregolazione del sistema immunitario attraverso modificazioni di vari subset di cellule linfocitarie in senso proinfiammatorio; eventi stressanti cronici, d’altra parte, sarebbero responsabili di una riduzione delle concentrazioni ematiche di anticorpi e di una maggiore vulnerabilità agli agenti patogeni che favorirebbero l’insorgenza di infezioni correlate alle riacutizzazioni di malattia [9].

Conclusioni

La gran parte degli studi clinici evidenzia una relazione tra stress e sclerosi multipla, supportata da studi sia di risonanza magnetica (aumento del numero di lesioni nelle settimane successive a un evento stressante) sia di tipo immunologico (produzione di citochine favorenti l’infiammazione, attivazione del sistema immunitario) e ormonale (aumento delle concentrazioni ematiche di cortisolo di origine surrenalica). Tali dati suggeriscono in ultima analisi la necessità di attuare appropriate strategie di intervento psicologico e psicoterapico, al fine di favorire una capacità ottimale di adattamento del paziente di fronte alle problematiche legate alla malattia.

Consigli pratici

La sclerosi multipla è una malattia che ha un notevole impatto emotivo nella vita del paziente. Per far fronte alle problematiche che la malattia induce, i pazienti mettono in atto strategie diverse. Senza dubbio le strategie di coping di tipo attivo, consistenti sostanzialmente nell’affrontare il problema, cercare aiuto e supporto sociale, permettono un miglior adattamento rispetto alle strategie passive, caratterizzate da comportamenti di evitamento del problema che possono sfociare nel tempo in un quadro depressivo. Tutto quanto sopra esposto sottolinea l’importanza di una valutazione globale dei pazienti con sclerosi multipla, che dovrebbe comprendere la valutazione dei disturbi dell’umore, dei tratti di personalità e del funzionamento cognitivo. Orientare gli interventi terapeutici, sia farmacologici sia psicosociali, per migliorare la depressione e l’ansia e affrontare le difficoltà cognitive possono favorire l’utilizzo di adeguate strategie di coping e migliorare la QoL complessiva dei pazienti.

Source: Fondazione Serono SM