Un gruppo di specialisti statunitensi ha valutato un approccio definito “de-escalation”, traducibile in italiano con “decrementale”, nella gestione a lungo termine della sclerosi multipla nella pratica clinica. I risultati hanno indicato che nei malati più avanti in età questo approccio può avere un buon bilancio fra benefici e rischi.

Gli autori sono partiti dalla considerazione che nel 2022 per curare la sclerosi multipla sono disponibili più di 20 farmaci modificanti la malattia. Questo offre una scelta più ampia che in passato nel trattare ciascun malato in base a criteri come: frequenze delle recidive, lesioni rilevabili con la risonanza magnetica e livello di disabilità. Altri fattori che orientano le decisioni sono potenza dei farmaci, rischio di effetti indesiderati e costi. Per una malattia che dura per tutta la vita è necessario anche rivalutare periodicamente la cura, considerando tutti gli aspetti sopra elencati, che possono cambiare nel tempo. In particolare, Vollmer e colleghi ne citano uno, l’immunosenescenza, che consiste nelle variazioni della funzione del sistema immunitario che si verificano con l’invecchiamento. In una precedente ricerca, nella quale avevano valutato l’effetto dell’età sull’attività della malattia, avevano rilevato modificazioni della tollerabilità di alcuni farmaci. Perciò, in questo nuovo studio, hanno analizzato, in maniera retrospettiva, una casistica di malati con sclerosi multipla recidivante remittente trattati nella reale pratica clinica, per definire eventuali variazioni nel tempo del bilancio tra benefici e rischi delle diverse cure. Sono stati valutati casi che avevano ricevuto terapie orali, come dimetilfumarato e fingolimod, e infusive, come natalizumab e rituximab. La casistica è stata divisa in due gruppi: soggetti di età inferiore a 45 anni o di età maggiore o uguale a 45 anni. Gli autori hanno anche eseguito una revisione della letteratura per identificare sicurezza e rischi relativi all’interruzione della somministrazione dei farmaci modificanti la malattia. I risultati hanno indicato che i malati più giovani avevano una probabilità minore di presentare attività della malattia se trattati con farmaci somministrati per infusione, rispetto a quelli assunti per bocca. Dopo un’età media di 54.2 anni tale differenza non si è più rilevata. Considerando le due fasce di età, in quella inferiore ai 45 anni si è osservato un maggior rischio di attività della malattia nelle persone che assumevano i farmaci per via orale, rispetto chi riceveva quelli in infusione. Nella fascia di età maggiore o uguale a 45 anni non si è confermata tale differenza. La revisione della letteratura ha evidenziato che la frequenza degli effetti indesiderati, in particolare delle infezioni nei soggetti con disabilità più grave e trattamento più prolungato, aumenta con l’età. Inoltre, Vollmer e colleghi hanno identificato, come fattori utili a prevedere la riattivazione della malattia, età, stabilità clinica e attività rilevata alla risonanza magnetica. Nelle conclusioni gli autori hanno evidenziato che, nella loro casistica gestita nella pratica clinica, i farmaci modificanti la malattia a elevata efficacia nei malati più avanti in età forniscono meno vantaggi, a fronte di un aumento dei rischi. A loro parere, i risultati ottenuti integrano quelli degli studi clinici che, abitualmente, escludono i soggetti più anziani. Sulla base dei dati raccolti, Vollmer e colleghi hanno proposto un approccio decrementale del trattamento, nei malati più avanti in età, per bilanciare meglio benefici e rischi.

L’approccio decrementale  proposto da Vollmer e colleghi, vale a dire il passaggio da farmaci più potenti e con un maggiore rischio di eventi avversi ad altri con minore potenza e maggiore tollerabilità nei malati più anziani, si aggiungerebbe a quelli già impiegati: terapia incrementale, terapia di induzione e switch laterale. Ulteriori verifiche, eseguite su più ampie casistiche e che considerino farmaci con diverse caratteristiche di efficacia e di sicurezza, dovranno confermare il valore di tale approccio.                 

Source: Fondazione Serono SM