La sclerosi multipla può avere un esordio pediatrico quando si manifesta tra i 13 e i 18 anni, anche se esistono casi più rari che si manifestano al di sotto di questa età.

Il sistema nervoso degli adolescenti ha una notevole capacità compensativa al danno ed essendo più plastico presenta minori disabilità dopo ogni ricaduta. Tutto ciò fa comprendere quanto sia importante diagnosticare questa malattia già dai primi segni e sintomi e ancora di più iniziare una terapia che possa ritardare l’evoluzione della malattia e l’accumulo dei deficit residui.

Gli aspetti positivi hanno però un rovescio della medaglia: ricevere una diagnosi di malattia cronica in un’età molto particolare, quale è l’adolescenza, periodo fondamentale per la costruzione dell’identità e senza dubbio un momento della vita ben distante dal pensiero della malattia.

L’identità è un costrutto complesso su cui l’uomo riflette già dalla filosofia greca con Socrate, che tra i primi si pose il problema di comprendere come può quel qualcosa che ognuno sente come propria certezza, restare tale nonostante i mutamenti a cui va incontro durante la vita. L’identità nel tempo è stata sempre più associata alle appartenenze (religiosa, politica ecc.) ma queste scissioni possono essere superate se aggiungiamo l’aggettivo umana, ovvero l’identità che ci rende tutti uguali come esseri umani e contemporaneamente tutti diversi; in quanto ciascuno la svilupperà in senso proprio nel rapporto con gli altri e di conseguenza avrà la propria capacità di immaginare, la propria fantasia, il proprio pensiero non cosciente. “L’identità umana è data dunque dal pensiero in continuo movimento… fondando ciò che io sono: uno solo, non due (mente e corpo), non mille (appartenenze)” (Profeti, 2010).

L’unicità e l’originalità di ogni identità umana è dunque il frutto di un percorso dinamico in continuo divenire, che origina dalla nascita e prosegue per tutta la vita attraverso tappe fondamentali, una delle principali è proprio l’adolescenza. Anche definita “seconda nascita”, questa tappa presenta mutamenti fisici, psichici e relazionali tanto sconvolgenti da portare una trasformazione totale in ogni individuo.

È facile comprendere quanto tutto ciò possa essere rivoluzionario al punto da poter divenire un vero momento critico, non di per sé patologico ma estremamente delicato soprattutto per l’insorgenza di un nuovo aspetto, il confronto con l’altro, con un altro essere umano, uguale a sé ma diverso da sé.

Il rapporto con i pari e con l’altro sesso, l’innamoramento e l’esplorazione del desiderio per l’altro dal punto di vista affettivo e sessuale sono occasioni di crescita e costruzione di una propria immagine sana. L’identità si definisce maggiormente e nel farlo corre purtroppo anche il rischio di vivere vere e proprie crisi, qualora vada incontro a delusioni del desiderio, rapporti malati o eventi di vita eccezionali in grado di far vacillare questa nuova e delicata immagine. In particolar modo questo può avvenire se l’identità non ha fondamenta solide, se cioè non ha sperimentato al momento della nascita e dei primi anni di vita rapporti affettivi validi e separazioni dal proprio passato, che consentano lo sviluppo della capacità di immaginare nuove situazioni di rapporto e nuovi pensieri sia coscienti che inconsci, in grado di far evolvere la persona e di non farla “fissare” a determinati passaggi evolutivi, concetto ben espresso dalla Teoria della Nascita dello psichiatra Massimo Fagioli (1972).

Nel 2005 un importante studio pubblicato sulla Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza (Officioso et al.) definisce appunto quest’età di passaggio e la malattia cronica due “marker event”, due eventi importanti, decisivi, non soltanto dal punto di vista del cambiamento biologico ma soprattutto psicologico. Gli autori dello studio, così come tutto il mondo della psicologia, conoscono l’importanza per l’adolescente di sentirsi normale o perlomeno non imperfetto e l’idea della malattia, per come un ragazzo può considerarla, rischia di impoverire l’immagine di sé, non solo a livello di immagine corporea ma anche a livello di identità nel sua totalità.

Lo studio in questione ha confrontato 20 ragazzi con una patologia cronica e 20 ragazzi sani, tutti con un’età compresa tra i 13 e 19 anni, per osservarli e comprenderli dal punto di vista psicologico: che cosa potrebbe accadere nella mente e nella realtà di un adolescente a cui viene diagnosticata una patologia che lo accompagnerà nella vita?

Prima di arrivare alle conclusioni dello studio, è interessante soffermarci sulla premessa alla valutazione clinica psicologica e quindi ancora una volta sulle crisi che la risposta emotiva alla pubertà può comportare.

Sono tre gli ambiti su cui soffermarsi: l’immagine del corpo, che cambia totalmente rispetto al corpo del bambino e richiede un duro compito da parte del ragazzo per essere nuovamente integrata con il proprio sé; le relazioni sociali e in particolare lo sforzo di liberarsi dalla sensazione di dipendenza da figure genitoriali e sperimentare una nuova autonomia; l’area della sessualità, che ogni persona deve poter sentire e sperimentare a suo modo.

Tutte e tre le aree vengono compromesse dalla diagnosi di sclerosi multipla: per il cambiamento in senso negativo dell’idea che si ha del proprio corpo, per la difficoltà a uscire da una dipendenza, avendo la persona reale necessità di essere sostenuta, e infine per l’impatto che tutto questo ha nel mettersi di fronte a un coetaneo con cui aprirsi anche dal punto di vista sessuale.

Per tali motivi lo studio sottolinea l’esigenza di una corretta valutazione psicologica delle risorse interne del soggetto ma anche delle risorse esterne, con un occhio in più per le dinamiche familiari. Attraverso specifici test atti a misurare le caratteristiche della personalità emerge che la madre è sempre molto coinvolta e che l’intero nucleo familiare sperimenta molteplici emozioni nei vari momenti della malattia, dall’esordio, alla diagnosi per poi arrivare alla cura.

Il dato interessante rispetto ai ragazzi coinvolti con la patologia è che i loro livelli di ansia e depressione sono più alti rispetto al gruppo di controllo e inoltre è spesso frequente un tratto ossessivo di personalità, ma è anche presente un livello di maturità appropriato all’età.

Dalla valutazione emerge un forte senso di responsabilità da parte dei giovani pazienti, mentre spesso le famiglie vivono sentimenti di colpa che li portano al bisogno di sentirsi attivi fino a iperproteggere e controllare il figlio, cosa che rischia di compromettere quello sviluppo dell’autonomia indispensabile, come già detto, per la costruzione dell’identità.

I caregiver così come i pazienti stessi devono essere accompagnati e sostenuti da personale esperto alla valutazione della persona nella sua interezza e complessità e non solo come espressione di una malattia, proprio per evitare di strutturare difese e rigidità.

Gli adolescenti devono potersi sentire soggetti attivi nel trattamento della propria salute, devono acquisire le competenze necessarie e trovare le proprie risorse interne per riconoscere e soddisfare bisogni ed esigenze.

La medicina stessa ha introdotto il concetto di transitional care per definire maggiormente “il processo attraverso il quale i/le giovani con patologie croniche sviluppano competenze e risorse per far sì che i loro bisogni di assistenza sanitaria siano soddisfatti nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta”.

Un accompagnamento alla presa di coscienza della propria malattia che però non interrompa il percorso di crescita ma anzi contribuisca a definire e potenziare maggiormente l’identità. Un cambiamento psichico di tale portata si produce con l’accostamento dell’esperienza all’autoriflessione, in casi di malattia organica la psicoterapia è il luogo di mentalizzazione di sé, un’opportunità di riflessione che altrimenti potrebbe essere complicata.

La maturazione psichica a cui l’adolescente con sclerosi multipla può giungere attraverso questo percorso coincide con la presa d’atto dei propri limiti, della propria vulnerabilità e della propria sostanza anziché con la realizzazione di ideali vuoti.

La sofferenza per uno stato psicologico e biologico è un aspetto della vita dell’essere umano, che sempre più spesso viene letto o solo come questione tecnica e medica o come deficit della persona, “nell’era della prestazione essere malati è una colpa” cita il titolo di un articolo del settimanale Left (n. 29/2021), che ci racconta il punto di vista della scrittrice e filosofa Susan Sontag. Nelle sue pubblicazioni riflette sulle figure e metafore che descrivono la malattia e nota come le parole che la circondano operino nell’immaginario collettivo una sottile degradazione del malato. Costretta entro la sfera biologica, la vita delle persone non si racconta più nella sua ricchezza e nella sua fragilità, non è più differenza da cui arricchirsi, ma solo qualcosa da cui trarre profitto.

Troppo spesso ci si dimentica che siamo tutti portatori di progetti, desideri e angosce, il mito della prestazione, della forza e dell’efficienza a tutti i costi escono dal campo economico per entrare nel campo sociale e delle relazioni e in questa corsa al successo, le persone con difficoltà sono le prime vittime.

“Accogliendo la fragilità”, conclude l’interessante articolo, “l’umano può tornare a rivitalizzare la sensibilità; e può tornare a riconoscere e rispettare anche i propri limiti, riconquistando il senso può vero della propria dignità” e della propria identità.

Source: Fondazione Serono SM