Archives: Maggio 24, 2022

Il ruolo dei mitocondri nella progressione della sclerosi multipla

Negli ultimi anni la ricerca ha messo in luce come la disfunzione dei mitocondri, le centrali energetiche della cellula, ricopra un ruolo fondamentale nella progressione della sclerosi multipla e di altre malattie neurodegenerative, candidando i mitocondri a promettenti target terapeutici.

La sclerosi multipla è sempre stata considerata, prima di tutto, una malattia infiammatoria a carico di cervello e midollo spinale, le strutture del sistema nervoso centrale. Nonostante non ne siano state ancora individuate le cause, è chiaro che il sistema immunitario si attivi erroneamente contro componenti dell’organismo stesso, individuati nella mielina e nelle cellule che la producono: gli oligodendrociti. Questa reazione autoimmune instaura uno stato infiammatorio persistente in diverse aree del sistema nervoso centrale e provoca demielinizzazione, ovvero il deterioramento della mielina, una sostanza isolante che riveste le fibre nervose ed è fondamentale per una rapida conduzione degli impulsi nervosi. Solo negli ultimi anni si sta dando maggior peso anche all’aspetto progressivo della sclerosi multipla. Come accade per altre malattie neurodegenerative del sistema nervoso centrale, la sclerosi multipla è caratterizzata da un lento declino neurologico, effetto della graduale e irreversibile perdita di cellule nervose. Il prolungato attacco alla mielina, effettivamente, può arrivare a coinvolgere anche le sottostanti cellule nervose, danneggiandole irrimediabilmente. Eppure si è scoperto che il processo neurodegenerativo avviene anche indipendentemente dall’infiammazione. Per quanto gli esiti della neurodegenerazione si manifestino chiaramente solo negli stadi avanzati della malattia, le analisi di risonanza magnetica dimostrano che questo processo patologico si verifica sin dagli esordi e non necessariamente in corrispondenza delle lesioni demielinizzanti. Pertanto il fenomeno neurodegenerativo risulta il principale responsabile dei sintomi e del loro peggioramento nel tempo; sintomatologia che rende la sclerosi multipla la causa più comune di disabilità neurologica nei giovani adulti.

Ad oggi, non esistono cure risolutive per le malattie neurodegenerative. I passi avanti fatti nella comprensione dell’infiammazione e della risposta immunitaria nella sclerosi multipla hanno permesso lo sviluppo di terapie in grado di migliorarne il decorso nel breve-medio termine, riducendo significativamente il suo impatto sulla qualità della vita quotidiana dei pazienti. Ma non tutti i pazienti, al momento, traggono beneficio dai trattamenti farmacologici allo stesso modo. In base al decorso clinico, si distinguono fondamentalmente due forme di sclerosi multipla: la sclerosi multipla recidivante-remittente, caratterizzata dall’alternarsi di episodi acuti e periodi stabili, durante i quali si può avere anche un recupero parziale o totale dei sintomi, e le forme progressive, in cui i sintomi peggiorano lentamente senza ricadute evidenti. I farmaci attualmente disponibili hanno una buona efficacia nei pazienti recidivanti-remittenti perché i sintomi sono legati soprattutto all’infiammazione e alla demielinizzazione. Invece, nessuna terapia è in grado di arrestare l’irreversibile e continua perdita di cellule nervose. Per questo i soggetti con forme progressive e nelle fasi più avanzate della malattia, nei quali è la neurodegenerazione a prevalere, si dimostrano meno responsivi ai farmaci.

Dunque, risulta urgente comprendere i meccanismi che sottendono la neurodegenerazione nella sclerosi multipla, al fine di sviluppare terapie efficaci nel fermare la progressione della malattia e il manifestarsi di sintomi invalidanti.

Recenti studi propongono come potenziale bersaglio terapeutico i mitocondri. La compromissione delle funzioni mitocondriali si è dimostrata cruciale nella progressiva perdita di cellule nervose durante il normale invecchiamento e in altre malattie neurodegenerative come il Parkinson e l’Alzheimer. Il coinvolgimento dei mitocondri nella neurodegenerazione è dettato, prima di tutto, dalla loro funzione di centrali energetiche. Questi compartimenti, presenti all’interno delle cellule di animali e piante, sono la sede della respirazione cellulare: una serie di reazioni biochimiche che permettono, tramite il consumo di ossigeno, di estrarre grandi quantitativi di energia dai nutrienti, primi fra tutti zuccheri e grassi. Una diminuzione della produzione di energia da parte dei mitocondri compromette significativamente il normale svolgimento delle funzioni vitali della cellula, determinandone anche la morte. Le cellule del sistema nervoso centrale sono molto sensibili a carenze energetiche e, una volta perse, non possono essere sostituite. Esse possiedono un fabbisogno energetico particolarmente elevato rispetto alle altre cellule dell’organismo, indispensabile a sostenere le loro complesse attività, tra cui la trasmissione degli impulsi nervosi. Nella sclerosi multipla, i tentativi di porre rimedio alle perdite di mielina e di ricostituirla portano a un incremento delle richieste energetiche delle cellule di cervello e midollo spinale. Si attivano, allora, meccanismi di compensazione per supportare le aumentate necessità energetiche, come la crescita in numero dei mitocondri, senza però alcun successo perché danneggiati e malfunzionanti.

Bisogna considerare, infatti, che la respirazione cellulare è un’arma a doppio taglio. Nonostante convenga dal punto di vista della resa energetica, servendosi dell’ossigeno, ha di contro la generazione di radicali liberi. Questi sono molto instabili e tendono a reagire con strutture vitali della cellula, danneggiandola anche in maniera irrimediabile. In condizioni normali esistono diversi sistemi in grado di neutralizzare i radicali liberi, che prendono il nome di antiossidanti. Tuttavia la loro efficacia viene meno durante l’invecchiamento e in condizioni patologiche dove si ha un’eccessiva produzione di radicali liberi, come durante l’infiammazione. E proprio l’infiammazione del sistema nervoso centrale è un tratto distintivo della sclerosi multipla. Nel cervello e nel midollo spinale, poi, si raggiungono facilmente alti livelli di radicali liberi a causa, appunto, dell’elevato fabbisogno energetico e del conseguente consumo di ossigeno. Sebbene costituisca soltanto il 2% del peso dell’organismo, solo il cervello consuma il 20% dell’ossigeno disponibile.

A livello delle singole cellule nervose, le strutture maggiormente esposte ai radicali liberi sono proprio i mitocondri, in quanto ne costituiscono, come detto, la principale sede di produzione. Sono colpiti soprattutto a livello del loro DNA, nel quale vengono contenute le informazioni essenziali per definire alcune delle proteine coinvolte nella respirazione cellulare. Ciò che contraddistingue questi organelli è il fatto di contenere materiale genetico in aggiunta a quello principale, presente invece all’interno del nucleo della cellula, una traccia che testimonia la loro antica origine batterica. Non sorprende quindi che, insieme a un aumento dei radicali liberi, negli stadi avanzati della sclerosi multipla vi sia un DNA mitocondriale altamente danneggiato e si assista a un’inefficiente respirazione cellulare, incapace di sostenere i tentativi di riparazione dei danni causati dai processi patologici in atto nel sistema nervoso centrale. Ma, essendo la neurodegenerazione già presente sin dalle fasi iniziali della malattia, se non addirittura prima della comparsa dei sintomi, si può ipotizzare che i mitocondri siano danneggiati ancor prima dell’instaurarsi dell’infiammazione, della demielinizzazione e dell’aumento di radicali liberi. L’interesse della ricerca si è rivolto nello studiare come difetti nel DNA mitocondriale, ereditati o acquisiti, possano predisporre a un maggior rischio di sviluppare la sclerosi multipla, rendendo i mitocondri meno capaci di produrre energia fin dall’inizio della malattia. Il contributo di mutazioni genetiche spiegherebbe la maggiore probabilità di sviluppare la malattia quando si ha la madre malata, rispetto a quando è il padre a essere colpito dalla sclerosi multipla. Questo perché il DNA mitocondriale viene trasmesso ai figli solo per via materna. Inoltre, l’importanza di alterazioni nel DNA mitocondriale è supportata dalla sovrapposizione nei sintomi tra la sclerosi multipla e un’altra patologia, la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON). Questa malattia ereditaria, dovuta a mutazioni nel DNA mitocondriale, è caratterizzata dalla degenerazione del nervo ottico e dalla perdita della visione centrale in entrambi gli occhi. Alcune delle persone affette dalla LHON sviluppano anche sintomi neurologici propri della sclerosi multipla, una condizione definita come malattia di Harding. Comprendere la disfunzione mitocondriale nella LHON potrebbe rivelare alcuni dei fattori che concorrono a danneggiare l’attività dei mitocondri nella sclerosi multipla e ad aiutare a definire il ruolo specifico di queste indispensabili strutture cellulari nel promuovere, o addirittura indurre, i processi neurodegenerativi.

Perciò, l’aumento delle richieste energetiche e la prolungata esposizione al danno da radicali liberi compromettono le attività dei mitocondri e favoriscono la morte delle cellule nervose, e, di conseguenza, la continua progressione delle malattie neurodegenerative, compresa la sclerosi multipla. Visto il loro coinvolgimento fin dall’inizio della malattia, terapie improntate sul miglioramento della funzionalità dei mitocondri potrebbero essere una vincente strategia neuroprotettiva, in grado di scongiurare la perdita di cellule nervose e il lento declino clinico. Si sta già sperimentando l’impiego di molecole con una nota azione antiossidante, in combinazione agli attuali trattamenti farmacologici, con l’obiettivo di proteggere i mitocondri dal danno da radicali liberi, come le vitamine del gruppo B, le vitamine E e K, l’acido lipoico e il coenzima Q10.

Oltre agli approcci nutraceutici e farmacologici, è importante condurre uno stile di vita sano. Una corretta alimentazione e un moderato esercizio fisico, infatti, possono contribuire in maniera significativa a bilanciare il rapporto tra radicali liberi e difese antiossidanti e a proteggere, quindi, i mitocondri anche nel sistema nervoso centrale, contrastando così la progressione dei sintomi.

Source: Fondazione Serono SM


Terapie cognitive della terza onda nella sclerosi multipla

Esperti britannici hanno eseguito una revisione della letteratura relativa agli studi che hanno valutato l’efficacia della terapia cognitiva della terza onda nelle persone affette da sclerosi multipla e con alterazioni delle funzioni cognitive. I risultati hanno dimostrato che questo approccio è promettente, ma necessita di ulteriori valutazioni.

Le terapie cognitivo-comportamentali definite della “terza onda” costituiscono un gruppo di approcci emergenti di psicoterapia che, secondo alcuni, costituiscono un’evoluzione e un’estensione dei trattamenti cognitivo-comportamentali tradizionali. Le terapie della terza onda privilegiano la promozione dei processi psicologici e comportamentali associati alla salute e al benessere, rispetto alla riduzione o all’eliminazione dei sintomi psicologici ed emozionali che, tipicamente, è considerato un beneficio collaterale. Piuttosto che concentrarsi sul contenuto dei pensieri della persona e sulle esperienze interiori, le terapie della terza onda si interessano di più dei contesti, dei processi e delle funzioni con le quali l’individuo si pone in relazione con le esperienze interiori. Zarotti e colleghi hanno eseguito una revisione della letteratura su questo specifico approccio, oggi certamente meno conosciuto rispetto alla terapia cognitivo-comportamentale tradizionale, nella gestione delle alterazioni delle funzioni cognitive che si presentano nelle persone affette da sclerosi multipla. È stata eseguita una ricerca degli articoli sull’argomento pubblicati fino al gennaio 2022. Delle 8.306 pubblicazioni inizialmente reperite, ne sono state selezionate 35, delle quali 20 riportavano i risultati di studi clinici controllati. Ne è emerso che, al gennaio 2022, 4 approcci della terza onda erano stati valutati in persone con sclerosi multipla: la terapia dell’accettazione e dell’impegno (Acceptance and Commitment Therapy: ACT), la terapia dialettico-comportamentale (Dialectical Behaviour Therapy: DBT), la riduzione dello stress basata sulla consapevolezza (Mindfulness-Based Stress Reduction: MBSR) e la terapia cognitiva basata sulla consapevolezza (Mindfulness-Based Cognitive Therapy: MBCT). La MBSR e la MBCT si sono dimostrate efficaci nell’aiutare i malati ad affrontare una serie di problemi psicologici per periodi fino a 3 mesi dopo l’intervento terapeutico. In base all’analisi eseguita, gli autori hanno verificato che sono necessari ulteriori adattamenti di trattamenti alle alterazioni delle funzioni cognitive specifiche della sclerosi multipla e che si deve verificare l’efficacia a lungo termine. Per il momento, sono disponibili limitate evidenze anche su DBT e ACT, ma sicuramente se ne raccoglieranno altre nei prossimi anni.

Nelle conclusioni gli autori hanno ricordato che la riabilitazione delle funzioni cognitive nei malati di sclerosi multipla può aiutare ad affrontare molte difficoltà psicologiche. Alcuni approcci della terapia cognitiva della terza onda aprono prospettive interessanti, ma necessitano di ulteriori verifiche.            

Source: Fondazione Serono SM


Allenamento ad alta intensità nei malati di sclerosi multipla

Un gruppo di esperti olandesi ha eseguito uno studio pilota per valutare la fattibilità di un allenamento funzionale ad alto volume e ad alta intensità in un piccolo gruppo di malati di sclerosi multipla. I risultati hanno indicato che tale programma è fattibile e potrebbe migliorare la capacità funzionale delle persone affette dalla malattia, ma andrà valutato su scala più ampia.

L’attività fisica in passato non è stata ritenuta utile nel malati di sclerosi multipla e alcuni pensavano che fosse anche controproducente. Da tempo tale visione è stata superata e programmi di esercizio, commisurati alla capacità funzionale del malato, vengono proposti come parte della cura, tanto che la diffusione di tali approcci è tra gli scopi dell’associazione 160 cm (https://160cm.it). L’obiettivo che si sono posti Derikx e colleghi è stato quello di valutare la fattibilità di un programma di allenamento funzionale ad alto volume e ad alta intensità in malati di sclerosi multipla e di verificare se tale programma migliori la loro capacità funzionale. Un altro obiettivo della ricerca è stato di valutare le modificazioni nel tempo della forza muscolare e della capacità aerobica dei partecipanti. Si è trattato di uno studio pilota articolato su un primo periodo di dodici settimane, nelle quali le persone con sclerosi multipla hanno partecipato al programma, e otto settimane successive, nelle quali gli stessi soggetti sono stati sottoposti a ulteriori controlli. L’intervento è consistito in tre sessioni settimanali, di tre ore ciascuna, durante le quali veniva eseguito un allenamento che comprendeva esercizi di resistenza, prove di durata ed esercizi di abilità. La fattibilità del programma è stata valutata mediante un questionario specifico. Altre verifiche hanno riguardato: la capacità funzionale, valutata con la misurazione del tempo della prova “alzati e vai” (Timed Up and Go Test), con la prova del cammino di 10 metri (10-Meter Walk Test) e con la prova del cammino di 6 minuti (6-Minute Walk Test). Sono state inoltre studiate: la capacità aerobica, misurata con la prova da sforzo cardiopolmonare (cardiopulmonary exercise test), e la forza muscolare, valutata con il test denominato “1 ripetizione della massima spinta delle gambe” (1 repetition maximum leg press). I risultati hanno dimostrato che sette soggetti hanno completato lo studio, partecipando in media al 93% delle sessioni previste dal programma. Si è registrato un unico evento indesiderato, che però non è stato posto in relazione con il programma. I riscontri raccolti dai partecipanti hanno giudicato in maniera positiva o molto positiva l’86% degli aspetti relativi alla fattibilità dell’intervento. Per quanto riguarda la soddisfazione dei soggetti arruolati nel programma di allenamento, complessivamente è stata quantificata con un punteggio di 8.9, su un intervallo compreso tra 1 e 10. Capacità funzionale, capacità aerobica e forza muscolare hanno mostrato miglioramenti al termine del programma di allenamento, ma non sempre si sono mantenuti nel tempo. Nelle conclusioni gli autori hanno evidenziato che il programma di allenamento funzionale ad alto volume e ad alta intensità da loro valutato è risultato fattibile in malati di sclerosi multipla. I riscontri raccolti sono stati promettenti, circa gli effetti sulla funzionalità dei malati e sulla loro forza muscolare, ma gli stessi autori hanno sottolineato la necessità di raccogliere altri dati, in uno studio su ampia popolazione e di lunga durata, per valutare il valore aggiunto che il programma può apportare. In attesa che si raccolgano nuove evidenze, un malato di sclerosi multipla che voglia svolgere dell’attività fisica è bene che concordi con il medico di riferimento quella compatibile con il suo stato funzionale.

Source: Fondazione Serono SM


Stress e sclerosi multipla

La relazione tra stress e sclerosi multipla è stata oggetto di molteplici ricerche e sembra essere bidirezionale: da una parte la malattia rappresenta di per sé una fonte di stress, a causa dell’esordio nelle fasi più produttive della vita, dell’imprevedibilità del decorso e dell’impatto sulla qualità della vita (QoL); dall’altra, è stato più volte ipotizzato che gli eventi stressanti possano avere un ruolo nella patogenesi della sclerosi multipla o nella comparsa delle ricadute. Il razionale biologico per sostenere tale relazione è rappresentato dall’ipotesi, documentata da ricerche condotte a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, che lo stress psicologico possa influenzare i meccanismi immunitari, interagendo con il sistema nervoso vegetativo e il sistema endocrino dell’organismo. Vi sono evidenze che sottolineano come il livello di QoL, espressione dello stato di benessere e di soddisfazione dell’individuo, sia un fattore di rischio per lo sviluppo di diverse condizioni patologiche; la ricorrenza di eventi stressanti (ES) nel corso della vita si associa a una maggiore esposizione a eventi morbosi e a un aumento della mortalità [1] . Tuttavia, nonostante i numerosi lavori pubblicati, le evidenze scientifiche di una forte relazione tra ES, insorgenza di sclerosi multipla, frequenza di riacutizzazioni cliniche e progressione della malattia sono controverse.

L’implicazione dello stress come potenziale fattore di rischio per lo sviluppo delle manifestazioni cliniche della sclerosi multipla si deve a Jean-Martin Charcot che nel 1879, nelle sue “Lectures on Disease of the Nervous System”, ipotizzò che cambiamenti negativi delle condizioni personali e sociali degli individui potessero contribuire al manifestarsi della malattia [2]. Uno dei primi studi che confermò un maggior numero di eventi stressanti nei pazienti con sclerosi multipla rispetto ai soggetti di controllo, affetti da altre malattie neurologiche o reumatologiche, fu pubblicato da Warren nel 1982 [3]. Gli ES ricorrevano nel 79% dei pazienti con sclerosi multipla contro il 54% dei controlli. Nel 1988 fu pubblicato uno studio prospettico di 55 pazienti con sclerosi multipla di tipo recidivante-remittente, sottoposti a test di rilevazione di ES ogni 4 mesi sino a quando si rilevava una riacutizzazione clinica di malattia. I pazienti furono seguiti per 20 mesi. Nei 25 casi in cui si verificò una ricaduta di malattia gli ES non erano più numerosi rispetto a quelli registrati in un gruppo di controllo di 30 soggetti, durante un periodo di durata comparabile [4]. Una metanalisi condotta nel 1999 da un gruppo di ricercatori dell’American Academy of Neurology sulle possibili correlazioni tra ES e sclerosi multipla concludeva che lo stress psicologico era implicato in qualche modo nell’attività di malattia in corso di sclerosi multipla, ma le evidenze scientifiche erano carenti, probabilmente a causa dei limiti metodologici dei vari studi. Infatti la stessa definizione di evento stressante non è unanimemente condivisa in quanto comprensiva di un’ampia gamma di evenienze (problemi di salute dei familiari più stretti, stress da lavoro, eventi correlati alla casa/auto, eventi morbosi non correlati alla sclerosi multipla, problemi finanziari, lutti, divorzio, matrimonio ecc.). D’altra parte potrebbe non essere l’evento in sé a definire le caratteristiche di ES, quanto la risonanza emotiva nel soggetto esposto, quindi le conseguenze psicologiche in grado di determinare. Le strategie di coping, che possono essere definite come l’insieme di tentativi comportamentali e cognitivi messi in atto da qualunque persona, per far fronte a una particolare condizione percepita come stressante, con lo scopo di superarla, di evitare l’esposizione a essa o di ridurne gli eventuali effetti negativi, sono differenti da individuo a individuo e rappresentano le differenze individuali nel modo di reagire a eventi di vita traumatici. Lo stesso nesso temporale tra un ES e le relative conseguenze è un parametro variabile e confondente in molti studi: nel caso per esempio di un lutto, vi possono essere effetti immediati legati alla perdita di un proprio caro, che può essere avvenuta in modo drammatico e improvviso oppure al termine di una lunga malattia; ma si possono avere effetti a distanza legati per esempio alla perdita del sostegno economico. Gli studi retrospettivi d’altra parte sono viziati da errori legati alle difficoltà dei pazienti a ricordare tutti gli ES.

Al fine di verificare se l’ipotesi di una correlazione tra stress e sclerosi multipla fosse plausibile dal punto di vista biologico, Mohr nel 2000 [5] pubblicò uno studio riguardante 36 pazienti con forma recidivante-remittente di sclerosi multipla osservati in modo prospettico, con controlli ogni 4 settimane per 100 settimane: fu dimostrata una correlazione tra sviluppo di nuove lesioni in risonanza magnetica (RM), captanti mezzo di contrasto, espressione di attività radiologica di malattia e l’occorrenza di ES acuti (lutti, separazioni, tracolli economici) nelle 8 settimane precedenti. La correlazione era più forte per “conflitti ed eventi traumatici di rottura”, quali separazioni, morte di una persona cara o perdita del posto di lavoro. In uno studio successivo pubblicato nel 2002 [6], l’85% delle esacerbazioni acute di malattia di 23 pazienti con sclerosi multipla, seguiti per oltre un anno in maniera prospettica, correlava con la comparsa di ES nelle settimane precedenti, al punto da far concludere gli autori che “lo stress è un potente trigger di attività clinico-radiologica di malattia” [7]. Gli studi successivi, effettuati con maggiore rigore metodologico confermano sostanzialmente l’associazione tra eventi stressanti e insorgenza di ricadute cliniche di malattia in corso di sclerosi multipla e/o formazione di nuove lesioni in RM.

Non vi sono invece dati sufficienti per ritenere che eventi stressanti possano favorire lo sviluppo della sclerosi multipla o influenzare il decorso a lungo termine della malattia. Uno studio pubblicato nel 2003 che ha valutato in modo prospettico la relazione tra eventi stressanti e rischio di ricadute, in pazienti con forma recidivante-remittente di sclerosi multipla, ha dimostrato che l’occorrenza di un ES si associava a un rischio doppio di riacutizzazioni, rispetto al gruppo di controllo, nelle 4 settimane successive all’evento [8]. Gli autori concludevano che le modificazioni funzionali dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con il conseguente aumento delle concentrazioni ematiche degli ormoni glucocorticoidi (cortisolo) e del sistema simpatico indotte dallo stress, con maggior produzione di adrenalina e noradrenalina, potevano indurre infiammazione attraverso l’induzione di citochine pro-infiammatorie e l’attivazione di particolari subset di linfociti, in grado di aggredire le strutture nervose. Nei modelli animali di encefalite allergica sperimentale (EAE), malattia assimilabile alla sclerosi multipla umana, l’esposizione a condizioni di stress sembra in grado di determinare aumenti del cortisolo plasmatico, attraverso l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e la disregolazione del sistema immunitario, caratterizzata da un aumentato reclutamento di cellule linfocitarie di tipo T e B, ma anche di macrofagi e monociti, ad azione favorente l’infiammazione, e dalla produzione di sostanze denominate citochine, con azione proinfiammatoria, come l’interferon-γ (IFN-γ), l’interleuchina-17 (IL-17) e il TNFα (fattore di necrosi tumorale di tipo α). È stata inoltre descritta una ridotta funzionalità di cellule cosiddette regolatorie, di tipo linfocitario, definite Treg, che in condizioni fisiologiche controllano la proliferazione di cellule con azione infiammatoria e in grado di produrre citochine ad azione antinfiammatoria come l’interleuchina-10 (IL-10).

D’altra parte, è stato dimostrato come condizioni di stress cronico siano in grado di determinare riduzione delle risposte immunitarie e alterazioni disregolatorie dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con minor responsività dei recettori periferici del cortisolo: questa condizione favorirebbe l’insorgenza di infezioni e l’attivazione, secondo alcuni ricercatori, dei meccanismi infiammatori responsabili delle riacutizzazioni di malattia in corso di sclerosi multipla. Pertanto, ES acuti indurrebbero nei pazienti con sclerosi multipla una disregolazione del sistema immunitario attraverso modificazioni di vari subset di cellule linfocitarie in senso proinfiammatorio; eventi stressanti cronici, d’altra parte, sarebbero responsabili di una riduzione delle concentrazioni ematiche di anticorpi e di una maggiore vulnerabilità agli agenti patogeni che favorirebbero l’insorgenza di infezioni correlate alle riacutizzazioni di malattia [9].

Conclusioni

La gran parte degli studi clinici evidenzia una relazione tra stress e sclerosi multipla, supportata da studi sia di risonanza magnetica (aumento del numero di lesioni nelle settimane successive a un evento stressante) sia di tipo immunologico (produzione di citochine favorenti l’infiammazione, attivazione del sistema immunitario) e ormonale (aumento delle concentrazioni ematiche di cortisolo di origine surrenalica). Tali dati suggeriscono in ultima analisi la necessità di attuare appropriate strategie di intervento psicologico e psicoterapico, al fine di favorire una capacità ottimale di adattamento del paziente di fronte alle problematiche legate alla malattia.

Consigli pratici

La sclerosi multipla è una malattia che ha un notevole impatto emotivo nella vita del paziente. Per far fronte alle problematiche che la malattia induce, i pazienti mettono in atto strategie diverse. Senza dubbio le strategie di coping di tipo attivo, consistenti sostanzialmente nell’affrontare il problema, cercare aiuto e supporto sociale, permettono un miglior adattamento rispetto alle strategie passive, caratterizzate da comportamenti di evitamento del problema che possono sfociare nel tempo in un quadro depressivo. Tutto quanto sopra esposto sottolinea l’importanza di una valutazione globale dei pazienti con sclerosi multipla, che dovrebbe comprendere la valutazione dei disturbi dell’umore, dei tratti di personalità e del funzionamento cognitivo. Orientare gli interventi terapeutici, sia farmacologici sia psicosociali, per migliorare la depressione e l’ansia e affrontare le difficoltà cognitive possono favorire l’utilizzo di adeguate strategie di coping e migliorare la QoL complessiva dei pazienti.

Source: Fondazione Serono SM