I neurofilamenti sono componenti del citoscheletro dei neuroni particolarmente abbondanti negli assoni con la funzione di supporto strutturale e di mantenimento di forma e calibro degli stessi [1]. I neurofilamenti appartengono alla famiglia dei filamenti intermedi e tra questi ci sono neurofilamenti a catena leggera (NF-L), neurofilamenti a catena media (NF-M) e neurofilamenti a catena pesante (NF-H). In caso di danno assonale nel sistema nervoso centrale (SNC), si è visto che studiando i neurofilamenti nel liquido cerebro-spinale (LCS) è possibile prevedere l’andamento del danno assonale e della degenerazione dei neuroni. In uno studio su 12 pazienti con sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e su 11 con malattia di Alzheimer (AD), i neurofilamenti sono stati usati per la prima volta come biomarker di danno neurologico [2]. In seguito, i neurofilamenti sono stati trovati nel LCS di 60 pazienti con sclerosi multipla recidivante-remittente (SMRR) e ciò ha suggerito che possano essere usati come biomarker nel valutare l’attività della malattia. Tuttavia bisogna anche considerare che i livelli dei NF-L sono elevati anche in altri disordini neurologici severi e hanno la caratteristica di essere età-dipendenti.
Neurofilamenti nella sclerosi multipla
La presenza neurofilamenti NF nel LCS è stata oggetto di intensi studi da quando si è notato un livello elevato di NF-L in pazienti con SMRR. I NF-H sono stati utilizzati come biomarker nella SM e il livello sembra correlare con il livello di disabilità all’Expanded Disability Status Scale (EDSS) nei pazienti con SMRR e in quelli con sindrome clinicamente isolata (CIS); inoltre risultano aumentati nei pazienti con riacutizzazioni di malattia [3]. Tuttavia, comparando i NF-H con i NF-L si è visto che questi ultimi permettono una valutazione migliore dell’attività di malattia nella SM [4]. Infine, considerato che la ricerca di questi neurofilamenti nel LCS arrecava disagi ai pazienti sottoposti a puntura lombare, diversi studi hanno dimostrato che la ricerca di queste proteine anche nel siero riflette bene o un danno o una diffusione attraverso la barriera emato-encefalica (BEE). Per questa ragione, i NF-L possono essere ricercati anche nel sangue, ed essere poi valutati tramite tecniche immunoenzimatiche come ELISA o tramite elettrochemiluminescenza [5]. In uno studio con 373 soggetti, di cui 286 con SM, si è visto che i livelli di NF-L nel siero erano paragonabili a quelli presenti nel LCS e ciò è stato confermato in molti studi successivi [6]. Pazienti con neurite ottica (NO), sindrome radiologicamente isolata (RIS) e CIS sono considerati ormai tutti a rischio di sviluppare una forma definita di SM. Studi sul NF-L come predittore della conversione di queste sindromi in SM conclamata non hanno portato ancora molti risultati soddisfacenti. Per quanto concerne gli studi dei biomarker su pazienti con neurite ottica, si è notato che l’aumento dei livelli di NF-L non correlava con la gravità dei sintomi [7], ma è interessante notare come questo aumento potrebbe riflettere la presenza di un danno assonale silente. In uno studio retrospettico su pazienti con diagnosi di CIS, il livello di NF-L nel LCS mostrava un significativo aumento nei pazienti che successivamente sviluppavano SM. Tuttavia, questo aumento risultava essere un debole fattore di rischio di conversione in SM se comparato al numero delle bande oligo-clonali e alle lesioni in T2 alla risonanza magnetica (RM) [8].Questi risultati sono stati confermati in moltissimi altri studi in cui NF-L risultava aumentato anche nel siero dei pazienti. In contrasto con questi studi, un’indagine su 47 pazienti con CIS aventi alti livelli di NF-L nel LCS rispetto ai controlli, non trovava però differenze nei valori NF-L tra pazienti che convertivano e quelli che non-convertivano [9]. È evidente quindi che i NF-L sono validi biomarker di danno assonale e neuronale nella SM, e potrebbero essere utilizzati in modo da prevedere l’andamento a lungo termine dai primi stadi clinici della SM. Studi che confrontavano pazienti con SM ai controlli sani dimostravano un aumento generale dei livelli di NF-L nei pazienti e una correlazione con le riacutizzazioni [10], sottolineando il rapporto tra danno assonale e ricadute cliniche.
Riguardo la progressione di malattia, non sempre è stata riscontrata una correlazione con il peggioramento del punteggio alla scala EDSS [10,12].Nei pazienti con SMRR e SM progressiva, i livelli di NF-L erano più elevati in presenza di attività di malattia [13]. In uno studio di coorte su pazienti SMRR infatti, con elevati livelli di NF-L nel LCS, è stato evidenziato un peggioramento dell’evoluzione di malattia e una più frequente conversione a SM secondariamente progressiva [14].
Le modificazioni alla RM (aumento del carico lesionale e atrofia cerebrale) sono considerate i dati più obiettivi per quanto riguarda l’andamento della malattia, e diversi studi hanno mostrato un importante valore predittivo dei livelli di NF-L nei confronti delle modificazioni radiologiche. Due studi di coorte, uno trasversale e uno longitudinale, tra pazienti con elevati livelli di NF-L e controlli sani, ha mostrato la correlazione tra tali livelli e la presenza di ricadute, peggioramento dell’EDSS e aumento del numero delle lesioni alla RM [6]. Queste evidenze indicano i NF-L come promettenti biomarker per la valutazione dell’attività di malattia.
Neurofilamenti e risposta al trattamento
Diversi studi, indipendentemente dal tipo di trattamento modificante il decorso della malattia (DMT), hanno mostrato una correlazione inversa tra i livelli di NF-L e l’efficacia del trattamento. Si sono riscontrati livelli stabili di NF nei campioni sierici e di LCS di pazienti naïve o che venivano indirizzati verso una terapia di pari efficacia, mentre i livelli sierici scendevano quando i pazienti venivano avviati al trattamento o cambiavano terapia verso farmaci con maggiore efficacia [13]. In uno studio di coorte in pazienti affetti da SM trattati in dall’inizio con natalizumab, i campioni liquorali raccolti al basale (prima del trattamento) e dopo 6 e 12 mesi, mostravano una significativa riduzione dei livelli di neurofilamenti, simili ai livelli dei controlli sani [15]. Questa osservazione è stata confermata anche da altri studi, basati su trattamenti differenti. In pazienti con SMRR stabile sottoposti a trattamento, il decremento dei livelli di NF-L si è dimostrato un valido indicatore di risposta ottimale al trattamento [16]. In un ulteriore studio su 59 pazienti con SM, di cui 33 trattati con interferone-beta (IFN-beta), 19 con natalizumab e i restanti senza trattamento, si è visto che i livelli di NF-L risultavano diminuiti in entrambi i gruppi sottoposti a trattamento rispetto ai non trattati, ma i livelli di quelli trattati con IFN-beta erano significativamente più alti di quelli dei pazienti trattati con natalizumab [17]. Si evidenziava quindi una chiara dimostrazione di come i NF-L fossero un ottimo indicatore per la risposta al trattamento nella SM, in particolar modo per i farmaci con più elevata efficacia terapeutica.
Neurofilamenti: quale futuro e come usare i NF-L in pratica clinica?
La maggior parte degli studi che si sono focalizzati sul ruolo dei neurofilamenti era di tipo retrospettivo. Saranno necessari studi prospettici basati su coorti costituite da un più ampio numero di pazienti. È stato dimostrato un fisiologico aumento dei valori di NF-L età-correlato. La SM non è l’unica patologia neurologica in cui si riscontrano elevati livelli di neurofilamenti. Ad esempio la SLA e la malattia di Creutzfeldt-Jacobs hanno livelli particolarmente elevati di NF-L. Sono disordini prevalentemente caratterizzati da neurodegenerazione assonale, che ci fanno supporre che i livelli elevati anche nella SM siano indicativi non solo del caratteristico danno infiammatorio, ma anche di una neurodegenerazione in corso. Quindi i NF-L non possono essere utilizzati come biomarcatore specifico di SM, ma in associazione ad altri biomarcatori (attività di malattia alla RM, presenza o meno di ricadute, peggioramento dell’EDSS, atrofia cerebrale) assumono un importante ruolo come indicatore della attività di malattia e della risposta al trattamento. Un recente studio ha mostrato come elevati livelli sierici di NF-L al momento delle nuove diagnosi di SM possano potenzialmente predire il carico lesionale e l’atrofia corticale alla RM a 10 anni [18]. Questo dato potrebbe suggerirci un intervento terapeutico subito aggressivo al momento della diagnosi in pazienti con livelli sierici elevati di NF-L e quindi la necessità di individuare un valore di cut-off. I pazienti con SM potrebbero essere monitorati tramite i livelli sierici di neurofilamenti a intervalli di 3-6 mesi, a seconda del decorso della malattia riducendo esami routinari neuroradiologici. Concludendo, i livelli sierici di NF-L potrebbero essere sistematicamente utilizzati come biomarcatori per monitorare la progressione, l’attività di malattia e la risposta al trattamento nei pazienti con SM.
Damiano Paolicelli – Dipartimento di Scienze Mediche di Base, Neuroscienze ed Organi di Senso, Azienda Universitaria Ospedaliera Consorziale – Policlinico di Bari
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Source: Fondazione Serono SM