Archives: Giugno 28, 2022

Interazioni tra farmaci nella cura della sclerosi multipla

Uno studio eseguito in Germania ha valutato frequenza e rilevanza clinica delle interazioni fra i farmaci assunti dalle persone in cura per la sclerosi multipla. I risultati hanno indicato che in questi soggetti è frequente la somministrazione di più prodotti e, in oltre la metà dei casi, c’è un rischio almeno potenziale di interazione.

La somministrazione di più farmaci in uno stesso soggetto viene definito politrattamento e, nella maggior parte dei casi, si riferisce all’associazione di almeno 5 prodotti diversi. Il politrattamento è frequente soprattutto negli anziani, che spesso sono affetti da più di una patologia, e nelle persone che hanno malattie croniche gravi, inclusa la sclerosi multipla. In anni recenti si è significativamente prolungata la durata media della vita ed è aumentata anche la prevalenza della sclerosi multipla, fino a un numero stimato di 2.8 milioni di malati a livello mondiale. La fisiopatologia della sclerosi multipla è autoimmune e provoca danni a varie strutture del sistema nervoso centrale, diffondendosi nel tempo e determinando combinazioni di sintomi diverse da un caso all’altro. Non esiste una cura della malattia, ma ci sono trattamenti che, rispettivamente, controllano i sintomi o riducono la diffusione del danno e il peggioramento della disabilità. A ciò consegue che un malato di sclerosi multipla può dover assumere un farmaco modificante la malattia e uno o più prodotti per ridurre i sintomi. Se a queste cure se ne devono aggiungere altre per eventuali malattie associate, si configura un politrattamento. L’assunzione di più farmaci non crea solo problemi di accettazione da parte del malato, ma amplifica anche il rischio di interazioni tra le molecole assunte. Per definire il rischio di tali interazioni, Bachmann e colleghi hanno analizzato le informazioni relative a 627 malati di sclerosi multipla, nei quali hanno verificato il numero e la gravità delle interazioni eventualmente rilevate. Del totale della casistica, il 53.3% assumeva almeno 5 farmaci, considerando sia quelli prescritti dal medico che quelli acquistati direttamente dal malato, e il 38.6% assumeva almeno 5 farmaci tutti prescritti dal medico. In media, ogni soggetto riceveva 5.3 prodotti. Sempre riferendosi ai 627 casi considerati, si è osservato che il 63.8% ha avuto almeno un’interazione fra farmaci con una media di 4.6 interazioni per persona. Infine, meno del 4% delle interazioni verificatesi è stato moderato o moderato grave e, per la maggior parte, sono state lievi.

Nelle conclusioni gli autori hanno sottolineato che le prescrizioni di farmaci dovrebbero essere attentamente verificate per il rischio di interazioni, in modo da prevenirle. Secondo Bachmann e colleghi, sia i medici che i farmacisti dovrebbero essere più interessati al problema delle interazioni e alle soluzioni per evitarle.   

Source: Fondazione Serono SM


Sclerosi multipla, malattie vascolari e funzioni cognitive

Uno studio ha valutato gli effetti dell’associazione di malattie vascolari alla sclerosi multipla sulle evidenze raccolte con la risonanza magnetica e sull’efficienza delle funzioni cognitive. I risultati hanno indicato che, nelle persone con tali quadri, con la risonanza magnetica si osservano specifiche alterazioni, alle quali corrisponde una minore efficienza delle funzioni cognitive.  

Precedenti ricerche hanno rilevato che l’associazione di malattie vascolari alla sclerosi multipla comporta alterazioni nella struttura del cervello e che le persone che presentano tali quadri hanno una riduzione dell’efficienza delle funzioni cognitive. Definire i rapporti tra causa ed effetto di questi fenomeni è utile a programmare interventi che riducano il loro impatto sulla vita dei malati e a verificare l’efficacia degli interventi stessi. Per questo, Marrie e colleghi hanno eseguito uno studio mirato a verificare le relazioni fra patologie vascolari, alterazioni delle funzioni cognitive e modificazioni della struttura del cervello in malati di sclerosi multipla. Hanno arruolato nella ricerca persone affette dall’insieme di queste malattie e le hanno sottoposte a verifiche relative a pressione arteriosa, concentrazioni nel sangue dell’emoglobina glicata ed efficienza delle funzioni cognitive. Queste ultime sono state valutate utilizzando quattro diversi test standardizzati. I punteggi dei singoli test sono stati convertiti in punteggi-z compensati per età, sesso e livello scolastico. Inoltre, è stata eseguita una risonanza magnetica del cervello, con misurazioni dei volumi del talamo e dell’ippocampo e valutando la diffusività media della materia grigia e della materia bianca apparentemente normale. Anche tutti questi riscontri sono stati convertiti in punteggi-z compensati per età e sesso. Nell’analisi finale sono state poste in relazione le combinazioni delle valutazioni delle funzioni cognitive e della risonanza magnetica. Un metodo statistico specifico è stato usato per definire le relazioni fra il numero di malattie vascolari presenti e i dati relativi alle funzioni cognitive. I 105 soggetti considerati erano per l’84.8% di sesso femminile, avevano un’età media di 51.8 ± 12.8 anni e l’età alla comparsa dei sintomi della sclerosi multipla era di 29.4 ± 10.5 anni. Il 35.2% della casistica aveva riportato una patologia vascolare associata, il 15.2% ne aveva riferite due e l’8.6% tre o più. L’analisi della correlazione canonicale tra le variabili relative alle funzioni cognitive e quelle della risonanza magnetica ha identificato un paio di variate (traccia di Pillai = 0.45, p=0.035). In particolare, due dei test delle funzioni cognitive hanno fornito i dati più significativi, mentre il volume del talamo e la diffusività media nella materia grigia sono stati i riscontri della risonanza magnetica più importanti. La correlazione fra alterazioni delle funzioni cognitive e risultati della risonanza magnetica è stata di 0.50 e questi dati sono stati usati per un’ulteriore analisi, che ha dimostrato un’associazione tra la presenza di malattie vascolari, le evidenze della risonanza magnetica e le alterazioni delle funzioni cognitive.                         

Gli autori hanno concluso che i risultati della loro ricerca hanno dimostrato che la presenza di malattie vascolari, nei malati di sclerosi multipla, si associa a una riduzione dell’efficienza delle funzioni cognitive e che questa relazione è, almeno in parte, dovuta a modificazioni della struttura macroscopica o microscopica del cervello. 

Source: Fondazione Serono SM


La telemedicina in sclerosi multipla

L’emergenza COVID-19, con i relativi blocchi agli spostamenti e la riconversione delle strutture sanitarie, ha significativamente accelerato l’introduzione della telemedicina. Dinanzi alla complessità dei sintomi della sclerosi multipla, sono stati necessari specifici adattamenti alle tecniche convenzionali di telemedicina, che sono comunque già applicate da anni in ambito medico.

Il presupposto della telemedicina in sclerosi multipla è che non è purtroppo possibile condurre un esame obiettivo neurologico completo. Ad esempio, è impossibile usare un martelletto neurologico per controllare i riflessi, oppure effettuare un esame oculare completo. Anche la scala neurologica più frequentemente utilizzata per valutare lo stato funzionale globale in sclerosi multipla, l’EDSS (Expanded Disability Status Scale), non è fattibile a distanza, ma potrebbe essere almeno in parte rimpiazzata dal questionario Patient Determined Disease Steps (PDDS) che è stato specificatamente disegnato per ottenere punteggi equivalenti all’EDSS a partire da quanto riportato dalla persona affetto da sclerosi multipla. A tale questionario se ne potrebbero abbinare altri, sempre volti a indagare il percepito della persona con sclerosi multipla. Ovviamente, i questionari sarebbero da compilare a distanza e le loro variazioni potrebbero quindi essere interpretate come ricadute cliniche e/o progressione della disabilità. In caso di dubbio, si potrebbe sempre ricorrere a una visita in persona e all’esame RM.

Se quindi la telemedicina può essere adattata alla sclerosi multipla, il problema è quanto possa essere effettivamente utilizzata. Innanzitutto, come descritto in precedenza, è impossibile valutare in telemedicina la complessità dei sintomi della sclerosi multipla, in particolare nei casi a più grave disabilità. Ovviamente, se non si riconoscono i cambiamenti clinici (ricadute, progressione clinica ecc.), è impossibile prendere le decisioni terapeutiche giuste nei tempi necessari, con ritardi che implicherebbero ulteriori peggioramenti clinici.

Abbiamo poi imparato a conoscere le difficoltà nella trasmissione di video e audio che si possono presentare in corso di telemedicina, che quindi renderebbero la visita estremamente frammentata. Non tutti poi hanno accesso a sistemi informatici avanzati (telecamera di alta qualità, internet veloce), e quindi l’uso della telemedicina va a penalizzare una porzione di persone. Inoltre, le difficoltà causate dalla sclerosi multipla (disturbi di vista, coordinazioni e/o movimenti) possono rendere difficoltoso l’uso di strumenti tecnologici.

In conclusione, è stato indubbiamente necessario sviluppare modalità di telemedicina per la sclerosi multipla, ma allo stesso modo la telemedicina non potrà sostituire completamente le visite e le interazioni in persona. Infatti, lo schermo di un computer o di un cellulare rappresenta una barriera tra il medico e la persona con sclerosi multipla, che non riescono quindi a formare il legame necessario all’alleanza terapeutica. Se durante i momenti peggiori dell’emergenza COVID-19 la telemedicina è stata la migliore soluzione possibile per mantenere un contatto con le persone con sclerosi multipla, il suo futuro è tuttavia più incerto. Probabilmente, si ricorrerà a modalità ibride, in cui telemedicina e visite in persona verranno combinate sulla base delle possibilità e delle necessità. La telemedicina potrebbe essere usata solo per rapidi controlli o per discutere i risultati di un esame, mentre le attività in persona tornerebbero ad avere un ruolo centrale. In attesa che usciamo dall’emergenza COVID-19, dobbiamo quindi sforzarci di offrire il miglior servizio possibile alle persone con sclerosi multipla e, in particolar modo, a quelle con maggior livello di disabilità, per le quali un ritardo o una mancanza sarebbero particolarmente inaccettabili.

Source: Fondazione Serono SM


Progressione indipendente dall’attività delle recidive nella sclerosi multipla

Un gruppo internazionale di esperti, del quale hanno fatto parte anche specialisti italiani, ha valutato la relazione tra i processi di atrofia a carico del cervello da una parte e, dall’altra,  le recidive e la progressione della malattia indipendente dall’attività delle recidive. I risultati hanno dimostrato che alla progressione indipendente dalle recidive si associa una più rapida evoluzione dell’atrofia.

Nella storia naturale della sclerosi multipla tuttora resta da comprendere se i processi di neurodegenerazione e di atrofia si correlino all’andamento delle recidive. Per questo, Cagol e colleghi hanno eseguito uno studio che ha valutato se la progressione della disabilità indipendente dall’attività delle recidive fosse associata ai danni al tessuto del cervello nelle persone con sclerosi multipla recidivante remittente. Si è trattato di una ricerca osservazionale, prospettica e di coorte, che ha previsto un periodo di osservazione di 3.2 anni (mediana). In particolare, i dati sono stati raccolti tra il gennaio 2012 e il settembre 2019 da una rete di Centri specialistici di terzo livello. Sono stati inclusi casi con controlli clinici regolari e con almeno due risonanze magnetiche, che permettessero la misurazione dei volumi delle diverse parti del cervello. I dati sono stati analizzati dal gennaio 2020 al marzo 2021. Sulla base dell’evoluzione clinica rilevata durante tutto il periodo di osservazione, i casi sono stati suddivisi in tre gruppi, caratterizzati rispettivamente da: presenza delle sole recidive o di soli episodi di progressione della malattia indipendente dalle recidive o di ambedue tali riscontri o da un quadro clinico stabile. Tra le variabili considerate c’è stata la differenza media tra i quattro gruppi riguardo alla percentuale annuale di modificazione (MD-APC) del volume del cervello e dello spessore della corteccia cerebrale. Inoltre, è stata misurata la frequenza dell’atrofia. Si sono analizzate 1904 risonanze magnetiche di 516 persone con sclerosi multipla recidivante remittente, per il 67.4% di sesso femminile, con età media 41.4 ± 11.1 e che, all’inizio del periodo di osservazione, avevano un valore mediano di EDSS di 2.0 (1.5-3.0). Le risonanze escluse per qualità inadeguata sono state 19. L’attività infiammatoria rilevabile con la risonanza si è associata a una maggiore frequenza di atrofia in diverse parti del cervello, mentre nei casi con frequenza annuale più elevata di recidive si è osservata soprattutto una riduzione del volume della materia grigia. Quando si sono confrontati i soggetti con quadro clinico stabile con quelli con progressione indipendente dall’attività delle recidive, si è osservato che in questi ultimi c’era una perdita maggiore di volume del cervello: MD-APC – 0.36; intervallo di confidenza al 95% da meno – 0.60 a – 0.12; p=0.02. Tale riscontro è stato posto in relazione soprattutto con una riduzione della materia grigia nella corteccia cerebrale. Nei malati che hanno avuto recidive si è osservata un’atrofia più diffusa a tutto il cervello con una MD-APC di – 0.18; intervallo di confidenza al 95% da meno – 0.34 a – 0.02; p=0.04, rispetto ai casi con quadro clinico stabile. Tale evoluzione è stata posta in relazione con una perdita di materia grigia, sia a livello della corteccia cerebrale, che in parti più profonde del cervello. Non si sono osservate differenze nella diffusione dell’atrofia tra i soggetti con recidive e quelli con progressione indipendente dall’attività delle recidive.                         

Nelle conclusioni gli autori hanno evidenziato che, nella loro casistica di malati con sclerosi multipla recidivante remittente, la progressione della malattia indipendente all’attività delle recidive si è associata all’evoluzione dell’atrofia, soprattutto nella corteccia cerebrale. Queste evidenze sono molto importanti perché dimostrano che la sclerosi multipla evolve anche a prescindere dalla comparsa delle recidive e confermano la necessità di decidere le cure sulla base di riscontri oggettivi sui danni che la malattia provoca nel sistema nervoso centrale e non solo facendo riferimento alle manifestazioni cliniche.  

Source: Fondazione Serono SM


Quando la disabilità si fa grave: la pianificazione condivisa delle cure

La sclerosi multipla è una malattia cronica caratterizzata da un decorso variabile. I dati sulla mortalità indicano un eccesso di mortalità rispetto alla popolazione generale, costante negli ultimi 50 anni [1]. È stimata una riduzione media dell’aspettativa di vita di 6-14 anni rispetto alla popolazione generale [2], da correlare con la disabilità che si realizza nelle forme progressiva di malattia. La sclerosi multipla, purtroppo, nonostante la sempre maggiore disponibilità di terapie disease-modifying determina ancora disabilità gravissima. I dati del “Fondo Non Autosufficienza” permettono di stimare che nel 2017 più di 6200 persone con sclerosi multipla (circa il 5,5% del totale delle persone con sclerosi multipla in Italia) hanno una disabilità gravissima definita con Expanded Disability Status Scale (EDSS) ≥9,0 [3]. Nelle forme che decorrono con grave disabilità, i sintomi e le limitazioni funzionali coinvolgono diversi aspetti, come l’autonomia nei movimenti, la funzione visiva, il controllo degli sfinteri, la capacità di alimentarsi e la capacità di comunicare. Inoltre è frequente una compromissione delle funzioni cognitive che può sfociare fino alla diagnosi di demenza [4].

Questi disturbi possono stabilizzarsi anche per lunghi periodi, fino a 30 anni [5], permettendo un eventuale adattamento personale e una qualità della vita soddisfacente. D’altra parte, col passare del tempo, ulteriori peggioramenti, la comparsa di complicanze o di comorbilità, oppure le mutate condizioni socioassistenziali (ad es., cambiamenti familiari come perdita di familiari caregiver) rendono più difficoltoso questo adattamento continuo.

Può accadere di dover condividere la scelta di ricorrere a trattamenti di supporto vitale per evitare gravi complicanze, potenzialmente mortali. Questi trattamenti sono, ad esempio, la gastrostomia percutanea (PEG) o addirittura la tracheostomia in caso di insufficienza respiratoria. I trattamenti di supporto vitale possono assicurare anni di vita, tuttavia possono causare ulteriori sofferenze, compromettendo l’idea stessa di “vita dignitosa” che il paziente può avere. È necessario che al malato sia dato modo di riflettere sui propri valori, sulla propria spiritualità e interrogarsi per tempo sull’accettazione di tali misure, sullo scenario di un tipo di vita inedito, gravato di ancor maggiore dipendenza, sul significato personale di “vita dignitosa” e su chi possa aiutarlo a scegliere, a fornire consenso ai trattamenti quando non sarà più in grado di esprimersi. È altresì necessario che la persona malata si possa interrogare, e sia aiutata a farlo, anche sull’eventuale processo del morire e messa a conoscenza delle risorse di cure palliative disponibili.

La Legge Italiana 219/2017 [6] prevede la possibilità per il cittadino di prendere delle decisioni per interventi sanitari, che si possono immaginare in situazioni future, nell’ipotesi in cui la capacità di decidere e/o di esprimersi fosse perduta. Questa legge prevede due scenari.

Il primo è quello del cittadino che può essere in piena salute e che comunque non ha una malattia progressiva disabilitante/mortale, e che desidera esprimersi rispetto a scelte di cura future ipotetiche: in questo caso si parla di Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT). Le DAT possono essere redatte da qualunque cittadino adulto, adeguatamente informato e capace di decidere. Tramite esse il cittadino fornirà indicazioni sulle sue preferenze e volontà rispetto a potenziali trattamenti sanitari che desidera o non desidera ricevere, in particolare quelli più invasivi e che determinano condizioni particolari di vita, come la necessità di supporti ventilatori (manovre rianimatorie in gravi condizioni ad alta probabilità di esito infausto, respirazione meccanica, tracheostomia, nutrizione artificiale, dialisi ecc.).

Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza.

Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme esse sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento.

È ancora work in progress un registro nazionale immediatamente consultabile dai medici che potrebbero entrare in contatto con la persona e avere necessità delle DAT per prendere decisioni in urgenza.

Il secondo scenario è quello della Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC), che riguarda chi ha una malattia progressiva di cui si può intravedere la traiettoria. La PCC viene redatta dal malato insieme al proprio medico di fiducia in forma di un documento che viene conservato dal malato stesso tra la sua documentazione sanitaria e conservato dagli altri interessati indicati dal malato; se possibile viene archiviato in una cartella clinica e, soprattutto, nel fascicolo sanitario elettronico nelle regioni in cui è attivo, in modo da poter essere più prontamente disponibile per i sanitari che si prendono cura del malato.

Per entrambi gli scenari, è prevista la figura del “fiduciario”, ovvero di una persona che rappresenterà il malato nelle relazioni con il personale di cura al momento in cui sarà necessario, ovvero quando subentri la necessità di ricorrere alle disposizioni date dal malato per la sua incapacità (reversibile o irreversibile) a fornire il consenso a trattamenti.

In tale condizione di incapacità, i medici sono obbligati a prendere decisioni sulle terapie da iniziare o sospendere in ottemperanza a quanto dichiarato dal malato nella DAT o PCC disponibile.

Il fiduciario potrà discutere le decisioni con i medici, con l’obbligo morale e di legge di farsi garante delle preferenze del malato, rimanendo sempre nell’ottica della visione esistenziale di quest’ultimo. Questo significa che, laddove le DAT/PCC non prevedessero cosa fare in determinate scelte e non ci fossero altri strumenti di tutela legale (tutore o amministratore di sostegno), il medico di fiducia e il fiduciario dovrebbero portare il punto di vista del malato, ormai incapace di decidere, e aiutare a prendere decisioni sanitarie “con lui”, non “per lui”.

Si può anche scegliere più di un fiduciario, anche perché non è possibile sapere se la persona identificata in questo compito sarà necessariamente disponibile al momento del bisogno, ma dovrà essere chiaro un ordine di preferenza, per evitare che insorgano contrasti tra i fiduciari rispetto alle scelte.

Come detto per le DAT, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, la PCC può essere espressa mediante videoregistrazione o dispositivi che consentano al malato di comunicare.

DAT e PCC possono essere riviste, ripensate e ridiscusse nel corso del tempo. Questo perché le preferenze e la visione della vita possono cambiare, così come la scelta della persona che si vuole indicare come fiduciario.

Per questo è importante aggiornare regolarmente la PCC, per ripensare alle scelte e ridiscuterle con il medico di fiducia ed eventualmente con altri professionisti sanitari.

DAT e PCC hanno un profondo fondamento etico che si basa sul principio di autonomia della persona [7].

Le recenti raccomandazioni della European Academy of Neurology sulle cure palliative nelle persone con grave sclerosi multipla progressiva consigliano la PCC (indicata con il termine, più internazionalmente diffuso, di advance care planning [ACP]) in una fase precoce e che si instauri una regolare comunicazione con il malato e la sua famiglia/caregiver sulla traiettoria di malattia [8].

Proporre e aiutare il malato nel redigere la PCC necessita di alcune competenze che ancora non sono patrimonio diffuso tra i medici e che si ritrovano soprattutto in chi svolge medicina palliativa. Per questo, anche solo per i bisogni comunicativi, può essere vantaggioso avere la disponibilità di un servizio di cure palliative che si integri con le strutture neurologiche e riabilitative [9]. È necessario insistere sulla formazione su tali temi nell’ambito della formazione degli operatori sanitari e, più in generale, su una capillare informazione per i malati e per la cittadinanza tutta [9]. Infine la ricerca permetterà meglio di stabilire modalità efficaci e valutare elementi di facilitazione od ostacolo al processo di PCC [10].

Source: Fondazione Serono SM